CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2018, n. 10523
Inquadramento previdenziale dell’attività espletata – Contributi Inps e somme aggiuntive – Opposizione a cartella esattoriale – Rigetto dell’opposizione e condanna dell’opponente all’adempimento dell’obbligo contributivo – Vizio di ultrapetizione – Non sussiste
Rilevato
1. che, con sentenza in data 11 luglio 2012, la Corte di Appello di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato la nullità dell’iscrizione a ruolo e della cartella esattoriale opposta e, dichiarando parzialmente fondata la pretesa dell’INPS per contributi e somme aggiuntive, ne ha rideterminato l’importo, in riferimento a contributi per il periodo gennaio 1993-dicembre 1997, in euro 804.469,20 oltre somme aggiuntive e sanzione una tantum, alla stregua dell’inquadramento nel terziario dell’attività espletata dalla società (deposito per conto terzi in magazzini frigorifero);
2. che avverso tale sentenza la s.r.l. C. d. (già V.C. s.r.I.) ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, al quale ha opposto difese, con controricorso, l’Inps anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a.,
Considerato
3. che la parte ricorrente deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., assumendo che la Corte di merito avrebbe deciso su pretesa estranea al giudizio, prendendo in esame un titolo della pretesa contributiva formatosi in ambito extraprocessuale (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2699 cod. civ., 115 cod. proc. civ., 111 Cost., per avere escluso l’efficacia di giudicato del giudicato penale, evocato a suffragio delle tesi difensive, e per non avere dato conto neanche delle ragioni per disattendere il quadro indiziario e probatorio derivante dal predetto giudicato penale sulla natura, come industriale, dell’attività di impresa della F. (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 49 legge n. 88 del 1989 e dell’art. 2195 cod.civ., nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito erroneamente valutato l’attività esercitata, diretta alla produzione di freddo, di natura industriale (terzo motivo); violazione dell’art. 3 legge n. 335 del 1995, per l’omesso rilievo della prescrizione del credito contributivo (quarto motivo, erroneamente numerato come quinto);
violazione e falsa applicazione delle leggi n. 662 del 1996, 388 del 2000, e del combinato disposto della legge n. 88 del 1989 e l’art. 8, comma 3, legge n. 335 del 1995, per avere la Corte di merito attribuito valenza sanzionatoria alla condotta datoriale concretizzatasi nell’inesatta dichiarazione in ordine all’attività svolta (quinto motivo, come da corretta sequenza numerica);
4. che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;
5. che, come chiarito in più occasioni (v., fra le tante, Cass. Sez. U, n. 17931 del 2013), il ricorso in Cassazione deve essere articolato in motivi specifici riconducibili, in maniera immediata ed inequivoca, ai vizi tassativamente indicati dall’art. 360 cod.proc.civ.;
6. che, sebbene alcuna formula sacramentale sia richiesta, nel caso si denunci l’omessa pronuncia sui motivi di gravame, la deduzione dell’error in procedendo deve fare riferimento alla violazione della norma processuale che si assume violata (art. 112 cod.proc.civ.) e alla nullità della decisione derivante dalla relativa violazione, con osservanza, peraltro, degli obblighi di autosufficienza che pongano la Corte di legittimità in condizione di essere anche giudice del fatto processuale;
7. che, in ogni caso, la Corte di merito ha motivato sul lamentato vizio di ultrapetizione, correttamente informandosi al principio già ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui l’ente previdenziale convenuto nel giudizio di opposizione a cartella di pagamento può chiedere, oltre al rigetto dell’opposizione, anche la condanna dell’opponente all’adempimento dell’obbligo contributivo, portato dalla cartella, sia pure nella minore misura residua ancora dovuta, senza che ne risulti mutata la domanda con la conseguenza che non costituisce domanda nuova – come tale inammissibile – la domanda di pagamento della minor somma ancora dovuta dal debitore, anche se formulata nell’atto di appello dall’ente previdenziale limitatosi, in primo grado, a chiedere la declaratoria di legittimità della cartella medesima ed il rigetto dell’opposizione; (cfr., da ultimo, Cass. n. 11515 del 2017 e i precedenti ivi richiamati);
8. che, quanto alla censura fondata sul giudicato penale e sul compendio probatorio acquisito in quel giudizio, è sufficiente affermare che non risulta allegata, al ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ., la evocata sentenza penale passata in giudicato sulla quale sono incentrate le censure svolte e neanche risulta indicata la sede processuale, nelle fasi di merito, in cui risulterebbe prodotta, a tanto conseguendo la delibazione di inammissibilità del motivo;
9. che, quanto all’inquadramento nel settore terziario, la Corte di merito, con ampia disamina in ordine all’attività complessivamente espletata dalla società, di gestione di magazzini frigorifero per conto terzi, ha rimarcato che, nella specie, la custodia in magazzini frigorifero era funzionale alla mera conservazione dei prodotti senza che ciò potesse comportare, diversamente dalla criogenesi, un prodotto in uscita diverso da quello di provenienza e che, anche all’esito dell’istruttoria espletata, fino alla ridistribuzione la merce conservata nelle celle frigorifero non subiva nessuna forma di lavorazione, se non in via del tutto marginale (come per la disossatura dei prosciutti, incidente solo per lo 0,195 sul totale degli incassi evinti dai bilanci dell’impresa o come il rigiro, con cadenza periodica, delle grosse forme di formaggio, senza costi aggiuntivi per l’attività di stagionatura risultanti dalle fatture);
10. che l’ampio iter argomentativo della Corte di merito, per pervenire alla corretta classificazione dell’attività espletata dall’impresa, a fronte della denuncia come «lavorazione di carni stagionate», apprezzando, dal compendio probatorio acquisito in causa, l’attività prevalente e le attività svolte solo marginalmente, in considerazione dell’incidenza sul fatturato globale, sulla distribuzione del personale tra le attività, sull’impegno profuso per profili marginali connessi alla conservazione delle merci nelle celle frigorifero, è immune da censure;
11. che il motivo incentrato sull’omesso rilievo della prescrizione neanche coglie nel segno considerato che la decisione del primo giudice, nel senso del parziale accoglimento dell’eccezione di prescrizione, non è stata gravata e tanto ne preclude l’esame, in questa sede di legittimità, perché divenuta ormai irretrattabile;
12. che anche l’ultimo motivo non è meritevole di accoglimento non versandosi, nella specie, ratione temporis, nell’ambito temporale applicativo del regime introdotto dalla legge n. 388 del 2000 (e la relativa distinzione tra evasione e omissione contributiva) sibbene nell’ambito di efficacia della legge n. 662 del 1996 prevedendo, al più, l’invocata disciplina introdotta dal legislatore del 2000, un meccanismo di conguaglio (art. 116, comma 18, legge n. 388 del 2000);
13. che, come già affermato da questa Corte, con la sentenza 3 febbraio 2016, n. 2112, in materia di sanzioni per il ritardato o l’omesso pagamento di contributi previdenziali, resta escluso che in una controversia relativa alle sanzioni civili e interessi per omesso versamento di contributi dovuti all’INPS, possa rilevare lo ius superveniens di cui all’art. 116 della legge n. 388 del 2000, contenente norme più favorevoli ai contribuenti, atteso che nessuna di tali disposizioni induce a ritenerne la retroattività, e il riferimento, al comma 18, ai crediti già accertati al 30 settembre 2000, esclude la deroga al principio di irretroattività quanto all’obbligo d’immediato pagamento delle predette sanzioni, limitandosi la norma a prevedere un meccanismo di conguaglio per la differenza tra il dovuto e il calcolato ai sensi dei commi precedenti;
14. che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 8.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.
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