CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2019, n. 11623
Tributi – Controversie relative a cartella esattoriale emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, non preceduta da precedente atto di accertamento – Definizione della lite pendente ai sensi dell’art. 39, co. 12, D.L. n. 98 del 2011 – Ammissibilità
Rilevato che
Il contribuente avv. B.R. proponeva opposizione avverso la cartella esattoriale relativa all’importo di € 9.908,70 a titolo di saldo Irap 2004 ed accessori, determinato sulla base del controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/73 della dichiarazione presentata dal contribuente e non versato.
La CTP di Napoli, pronunciandosi nel costituito contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, rigettava il ricorso.
La CTR della Campania, con sentenza n. 350/44/11 in data 27.10/18.11.2011, rigettava l’appello del contribuente, confermando la decisione di prime cure. Ritenevano, in particolare, i giudici di appello che il ricorrente in opposizione non avesse assolto all’onere di dimostrare l’insussistenza del presupposto impositivo ai fini Irap, per di più a fronte di una dichiarazione che evidenziava elementi di segno opposto, fra i quali rivestiva peculiare rilievo l’esistenza di compensi corrisposti a terzi per prestazioni direttamente afferenti l’attività professionale, dell’importo di € 21.864,00 (cfr. il quadro RE del mod. Unico 2005); elemento che, secondo la Commissione regionale, avvalorava la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione.
I giudici di appello rimarcavano, altresì, come significativa la mancata esibizione da parte del contribuente del registro dei beni ammortizzabili, che avrebbe consentito, se del caso, allo stesso di dimostrare che i beni non eccedevano il limite per fruire dell’esenzione dall’imposta.
Con il ricorso di legittimità, affidato a tre motivi, il contribuente ha impugnato la predetta sentenza e, altresì, il diniego di definizione della lite pendente ex art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011, notificatogli in data 19.9.2012 dall’A.d.E. (prot. n. 147055), diniego fondato, in particolare, sul rilievo che la cartella impugnata non rientrava fra gli atti definibili ai sensi dell’art. 39, comma 12, d.l. citato.
Resistono con controricorso l’A.d.E. ed Equitalia Sud s.p.a.
Considerato che
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la sussistenza di «error in iudicando in relazione all’art. 2697 cod. civ. e motivazione erronea ed insufficiente». In tale prospettiva, il vizio della sentenza impugnata andrebbe ravvisato nell’affermazione che incombe sul contribuente, ricorrente in opposizione avvero una cartella esattoriale, l’onere di dimostrare l’insussistenza del presupposto impositivo ai fini Irap, gravando, invece, sull’Ufficio, quale attore in senso sostanziale, l’onere di provare l’esistenza dell’autonoma organizzazione.
2. Il secondo motivo di ricorso contempla la contestazione di un «errar in iudicando in relazione agli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446/97». Il ricorrente censura la decisione impugnata in quanto la stessa ha ritenuto che la sussistenza del presupposto impositivo si fondasse non soltanto sul mancato raggiungimento della prova contraria da parte del contribuente, ma, altresì (e prima ancora), sull’esistenza di un compendio dimostrativo a sostegno delle pretese dell’Amministrazione, in ragione del fatto che i compensi erogati a terzi per prestazioni professionali raggiungevano una «somma non trascurabile» e che la mancata esibizione del registro dei beni ammortizzabili non consentiva di affermare che i beni strumentali non superassero il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale in assenza di organizzazione.
3. Con il terzo motivo, viene dedotto il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 39 d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. con modif. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
Ritiene il Collegio che tale motivo vada esaminato per primo, per ragioni di priorità logica.
Va premesso, ai fini dell’inquadramento della questione in esame, che, in pendenza del giudizio e con riferimento alla cartella di pagamento impugnata, il contribuente ha proposto istanza di definizione della lite ai sensi del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. con modif. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, alla quale l’Agenzia delle entrate ha opposto il proprio diniego, notificato al contribuente in data 19.9.2012 e motivato sulla base del rilievo che la cartella di pagamento emessa a seguito di liquidazione effettuata con procedura automatizzata, ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600/73, secondo l’Ufficio non rientrava nelle ipotesi di definizione ex art. 39, comma 12, cit.: indicazione, come esplicitato in atti, da intendersi nel senso che la stessa non costituiva “atto impositivo” ma atto di mera riscossione.
Ciò posto, va ulteriormente osservato che l’art. 39, comma 12 d.l. n. 98 del 2011 prevedeva che la definizione delle controversie potesse avvenire entro i termini indicati dallo stesso art. 39, d.l. n. 98/11 e succ. mod. con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’articolo 16 della l. 27 dicembre 2002, n. 289 e che, ai sensi del comma 5 del predetto art. 16, «dalle somme dovute ai sensi del presente articolo si scomputano quelle già versate prima della presentazione della domanda di definizione, per effetto delle disposizioni vigenti in materia di riscossione in pendenza di lite».
Proprio in tale prospettiva, al fine di dare atto del pagamento del dovuto, il ricorrente ha precisato di aver già versato nelle more del giudizio gran parte delle somme portate dalla cartella impugnata, di entità tale da non rendere necessario il versamento di ulteriori importi a conguaglio per raggiungere l’ammontare dovuto per la definizione; tale allegazione non risulta contestata dall’Ufficio.
Sulla base di tali premesse, il ricorrente, richiamandosi agli artt. 39, comma 12 d.l. 98/11 e 16, comma 8, I. 27 dicembre 2002, n. 289, a norma dei quali, ove la definizione della lite sia richiesta in pendenza del termine per impugnare, «la sentenza può essere impugnata unitamente al diniego della definizione», ha dedotto l’illegittimità del predetto diniego di definizione, attesa la natura (anche) impositiva della cartella.
4. Deve essere, preliminarmente, rilevata l’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso il diniego di definizione della lite pendente. Ai sensi, invero, dell’art. 16, l. n. 289/02, richiamato dall’art. 39, d.l. n. 98/11, l’impugnazione del provvedimento di diniego della definizione della lite, va proposta «dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite», e quindi, per le liti pendenti in fase di legittimità, davanti alla stessa Corte di Cassazione. In tale ipotesi la Corte è, pertanto, competente in unico grado, ed è eccezionalmente investita della pienezza del giudizio, con conferimento quindi di compiti ulteriori rispetto a quelli che tradizionalmente e necessariamente la caratterizzano, quale appunto l’eccezionale competenza a decidere in unica istanza sull’impugnativa del provvedimento adottato dall’amministrazione sulla domanda di definizione.
4. Ciò posto, il motivo è, altresì, fondato.
L’art. 39, comma 12, d.l. n. 98/2011 così recita: «12. Al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9, le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi della L. 21 dicembre 2002, n. 289, art. 16.
A tale fine, si applicano le disposizioni di cui al citato art. 16, con le seguenti specificazioni: a) le somme dovute ai sensi del presente comma sono versate entro il 31 marzo 2012 in unica soluzione; b) la domanda di definizione è presentata entro il 31 marzo 2012; c) le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente comma sono sospese fino al 30 giugno 2012. (…)».
Dovendo, dunque, farsi riferimento all’ambito della procedura di definizione della lite fiscale pendente di cui all’art. 16 l. n. 289/02, va osservato che, in base al comma 3, lett. a) di tale disposizione, «per lite pendente» si intende «quella in cui è parte l’Amministrazione Finanziaria dello Stato avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione».
A tale riguardo, è noto che l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 48 del 2011, ha escluso la definibilità dell’avviso di liquidazione e del ruolo, in quanto la natura di tali atti non li renderebbe riconducibili nella categoria degli atti impositivi, in quanto finalizzati alla riscossione dei tributi e degli accessori (paragrafo 4.2: «in linea generale, non sono definibili le liti fiscali aventi ad oggetto i ruoli emessi per imposte e ritenute indicate dai contribuenti e dai sostituti di imposta nelle dichiarazioni presentate, ma non versate. I controlli su tali versamenti sono disciplinati espressamente dalla lettera f) del comma 2 dell’art. 36-bis del d.P.R. 29.9.1973 n. 600. Al recupero delle imposte non versate non si provvede, infatti, mediante atto impositivo che presupponga la rettifica della dichiarazione, ma con atto di mera riscossione, ricognitivo di quanto indicato dal contribuente o dal sostituto nella dichiarazione»). Pertanto, per l’Agenzia delle Entrate rientrano nella categoria degli atti definibili quelli che assolvono anche alla funzione di atto di imposizione, oltre che di riscossione.
5. Tuttavia, secondo l’orientamento di legittimità che questo Collegio condivide, «in tema di condono fiscale, rientrano nel concetto di lite pendente, con possibilità di definizione agevolata ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. in l. n. 111 del 2011, le controversie relative a cartella esattoriale emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, non preceduta da precedente atto di accertamento, la quale, come tale, è impugnabile non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente» (cfr., da ultimo, Sez. 5, n. 23269 del 27/09/2018, Rv. 650738 – 01; conf. Sez. 5, n. 32132 del 12/12/2018, Rv. 651785 – 01).
In tale prospettiva, l’orientamento qui condiviso valorizza il fatto che, in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del citato art. 36-bis d.P.R. n. 600/73, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante, con conseguente sua impugnabilità ex D.P.R. n. 546 del 1992, art. 19, anche per contestare il merito della pretesa impositiva (Sez. 5, n. 1263 del 22/01/2014, Rv. 629155 – 01).
In tal senso, non è dubitabile che l’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dia origine ad una controversia definibile in forma agevolata, ai sensi della l. n. 289 del 2002, art. 16, proprio in quanto detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale, non essendo preceduta da avviso di accertamento, ha natura di atto impositivo (Sez. 5, n. 31055 del 7/12/2017; id., n. 28611 del 13/09/2017; Sez. 6 – 5, n. 1295 del 25/01/2016, Rv. 638632 – 01). Pertanto, è di per sé irrilevante la circostanza che la cartella contenga la liquidazione di imposte dichiarate e non versate, una volta che, da un lato, si tratta del primo atto con cui l’Amministrazione ha esercitato la propria pretesa nei confronti della contribuente, e, dall’altro, quest’ultima ha instaurato una controversia effettiva, facendo valere, nell’impugnare la cartella il proprio diritto alla emendabilità, in sede contenziosa, della dichiarazione (Sez. 5, n. 22672 del 17/07/2014).
6. Da quanto premesso discende che la motivazione del provvedimento di diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria alla definizione agevolata successivamente richiesta in corso di causa dalla contribuente ai sensi dell’art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011, in relazione al medesimo rapporto tributario, deve ritenersi non conforme a diritto.
Pertanto, il motivo di ricorso va accolto, con annullamento del provvedimento di diniego di definizione agevolata della lite.
Gli ulteriori motivi di impugnazione avverso la citata sentenza della CTR devono, conseguentemente, essere dichiarati inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse.
6. Le spese processuali dell’intero processo, atteso l’esito; vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso; annulla il provvedimento di diniego di definizione agevolata della lite ai sensi dell’art. 39, comma 12, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. con modif. dalla I. 15 luglio 2011, n. 111; dichiara inammissibili gli altri motivi di ricorso per sopravvenuta carenza di interesse; compensa integralmente tra le parti le spese processuali dell’intero processo.
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