CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2019, n. 11641
Tributi – IVA – Importazione di merce di provenienza extracomunitaria – Utilizzo di deposito fiscale virtuale – Pagamento dell’IVA all’estrazione della merce – Meccanismo di “reverse charge” mediante emissione di autofattura – Legittimità
Fatti di causa
L’Ufficio delle Dogane di Pisa emise un avviso di rettifica dell’accertamento nei confronti di T.L., titolare della ditta individuale “Moda e accessori”, contestandole irregolarità nella importazione di merce di provenienza extracomunitaria, ed in particolare l’irregolare utilizzo del deposito IVA gestito in modo “virtuale” da A. Trasporti. In tal guisa, secondo l’Ufficio, la contribuente non avrebbe potuto servirsi della sospensione dell’IVA ai sensi dell’art. 50-bis, comma 4, del d.l. n. 331/1993, conv. in legge n. 427/1993, né tantomeno assolvere l’imposta con il meccanismo del c.d. reverse charge, mediante emissione di autofattura all’atto dell’estrazione dei beni dal deposito, come invece la L. aveva fatto. L’ufficio richiese quindi in via solidale alla predetta importatrice e al titolare del deposito IVA il pagamento dell’IVA non assolta in Dogana. La contribuente propose ricorso dinanzi alla C.T.P. di Pisa, che l’accolse integralmente con sentenza del 27.11.2009. La C.T.R. della Toscana respinse l’appello proposto dall’Ufficio con sentenza del 12.12.2012, confermando la prima decisione.
L’Agenzia delle Dogane ricorre ora per cassazione, sulla base di otto motivi. L’intimata non ha resistito.
Ragioni della decisione
1.1 – Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza per falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Secondo la C.T.R, la contribuente ha affermato di aver introdotto i beni nel deposito e questa affermazione non sarebbe stata contraddetta. Rileva la ricorrente che, al contrario, l’Ufficio aveva sempre specificamente contestato la mancata introduzione della merce in magazzino.
1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c., e ancora dell’art. 50-bis, del d.l. n. 331/1993, conv. in legge n. 427/1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Rileva la ricorrente che, trattandosi nella specie, di agevolazione fiscale, l’onere della prova circa la fruibilità della stessa grava sulla contribuente, spettando all’Agenzia fornire elementi indiziari, la cui valenza è stata invece esclusa dalla C.T.R., che non li ha comunque esaminati.
1.3 – Con il terzo motivo, si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Osserva la ricorrente che la C.T.R. non ha proceduto all’esame di quei fatti che, secondo la propria tesi, costituivano la prova presuntiva della mancata introduzione della merce nel deposito.
1.4 – Con il quarto motivo, si lamenta l’insufficienza della motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La C.T.R., secondo l’Agenzia, non ha fornito una adeguata spiegazione circa il proprio convincimento della mancanza di prova della non introduzione della merce nel magazzino.
1.5 – Con il quinto motivo, ancora, si denuncia la contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella parte in cui la C.T.R. ha dapprima affermato che la G.d.F. di Prato, all’atto di un sopralluogo disposto dal P.M. ed eseguito il 27.4.2009, aveva riscontrato che alcune fatturazioni erano state emesse con data antecedente alle importazioni, per poi giungere all’integrale rigetto dell’appello, giacché questo, almeno per quelle specifiche operazioni, avrebbe dovuto invece essere accolto.
1.6 – Con il sesto motivo, ancora, si denuncia l’error in procedendo per violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 111, comma 6, Cost.. La contraddittorietà di cui al motivo che precede, infatti, rileva anche sotto il profilo della nullità processuale, trattandosi nella sostanza di motivazione totalmente illogica.
1.7 – Con il settimo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 50-bis, del d.l. n. 331/1993, conv. in legge n. 427/1993, del principio del divieto di abuso del diritto, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Pur ammettendo che la merce sia stata effettivamente introdotta nel deposito in discorso, la C.T.R. ha errato – secondo la ricorrente – nel non rilevare l’elusività del comportamento della contribuente.
1.8 – Con l’ottavo motivo, infine, si denuncia la violazione degli artt. 17 e 67 – 70 del d.P.R. n. 633/1972, nonché dell’art. 50-bis, del d.l. n. 331/1993, conv. in legge n. 427/1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Ha errato la C.T.R. nel ritenere che la pretesa per cui è causa comporti una duplicazione dell’imposizione, non essendo invece sufficiente, ai fini dell’assolvimento dell’IVA da parte dell’importatore, l’utilizzo del sistema dell’inversione contabile.
2.1 – Va anzitutto dichiarata l’inammissibilità del quarto e del quinto motivo, con cui si è denunciata l’insufficiente e contraddittoria motivazione, facendosi evidentemente riferimento – anche nell’argomentazione, e non solo in rubrica – al tenore letterale del previgente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. invece riformato dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012, e comunque non risultando conformi le denunce in discorso all’insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 8053/2014.
3.1 – Ciò posto, va esaminato, per pregiudizialità logica, l’ottavo motivo. Esso è infondato.
Infatti, sulla scorta di Cass. n. 15980/2015 e della giurisprudenza della Corte di Giustizia, questa Corte ha più volte affermato il principio per cui “L’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all’art. 50-bis, comma 4, lett. b), del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif., dalla I. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sebbene tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’ IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13, a tenore della quale detta violazione può essere punita, in relazione allo scarto temporale tra la dichiarazione e l’autofatturazione, con una specifica sanzione per il ritardo – non fissa e che può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purché sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito” (così, Cass. n. 12231/2017; nello stesso senso, Cass. n. 17815/2015, Cass. n. 18928/2018, nonché, sostanzialmente, Cass. n. 24447/2018).
È quindi evidente che, stante la legittimità, per l’ordinamento nazionale, del meccanismo dell’inversione contabile, ai fini dell’assolvimento dell’IVA (v. Cass. n. 19098/2016), correttamente la C.T.R. ha ritenuto costituire una illegittima duplicazione dell’imposta la pretesa di recupero dell’IVA non versata direttamente in Dogana dalla Lupo, come invece preteso dall’Ufficio, atteso che non può revocarsi in dubbio che, ontologicamente, l’IVA all’importazione e l’IVA interna (nella specie, assolta con l’autofatturazione, come è pacifico) siano la medesima imposta.
4.1 – Ciò posto, tutti i restanti motivi di ricorso, tranne il sesto (che verrà esaminato nel par. seguente), sono inammissibili per difetto d’interesse.
Infatti, essi mirano a censurare la decisione della C.T.R. o in relazione alla questione dell’introduzione della merce nel deposito (primo, secondo e terzo motivo), ovvero riguardo alla natura elusiva del comportamento della contribuente nell’utilizzo del c.d. reverse charge (settimo motivo), questioni oramai prive di decisività, una volta chiarito che tale modalità di assolvimento dell’IVA da parte dell’importatore è legittima (v. Cass. n. 19098/2016).
5.1 – Venendo infine al sesto motivo, dalla lettura delle ultime due righe della motivazione della sentenza d’appello emerge indubitabilmente l’assoluta contraddittorietà tra la stessa motivazione e il dispositivo, perché da un lato si afferma che “Salvo che per quelle fatturazioni la cui data risulta anteriore alle importazioni, si ritiene di dover confermare le decisioni di Primo Grado riguardanti sia il tributo che le sanzioni”, e dall’altro, in dispositivo, si respinge l’appello tout court, confermando la decisione impugnata.
Da quanto precede, risulta evidente come il sesto motivo sia fondato, perché si tratta di affermazioni logicamente inconciliabili, sicché il decisum si pone in contrasto con il c.d. minimo costituzionale (Cass., Sez. Un., n. 8053/2014). Nel negare l’utilizzabilità del reverse charge per “quelle autofatturazioni la cui data risulta anteriore alle importazioni”, la C.T.R. ne ha correttamente (seppur implicitamente) ritenuto il carattere fraudolento, sicché avrebbe almeno dovuto accogliere, in parte qua, l’appello della parte pubblica.
6.1 – In definitiva, accolto il sesto motivo, il ricorso è rigettato nel resto. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, che procederà all’individuazione specifica delle autofatturazioni fraudolente, come riscontrate dalla G.d.F. nel corso del sopralluogo del 27.4.2009, e deciderà, conseguentemente (e limitatamente ad esse e alle relative sanzioni, stante l’intervenuto giudicato sulle restanti operazioni, per effetto della presente decisione), sull’appello dell’Ufficio.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo, rigetta il ricorso nel resto. Cassa in relazione e rinvia alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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