CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2019, n. 11675
Dichiarazione dei redditi – Accertamento – Anagrafe tributaria – Spese incrementative – Presunzione semplice – Inversione dell’onere della prova
Considerato che
L’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente C. A. avviso di accertamento con cui procedeva, con metodo sintetico, alla rettifica della dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2002, sulla base di spese incrementative.
In particolare, l’accertamento traeva origine da informazioni dell’anagrafe tributaria, da cui risultava che la contribuente aveva acquistato quote della società C. srl per l’importo di euro 530.660, come da una scrittura datata 1.12.2006, mentre i redditi dichiarati dalla stessa non erano congrui con tale capacità di spesa.
La contribuente impugnava l’avviso deducendo che l’acquisto di quote era, in realtà, simulato, per cui la spesa non era mai stata sostenuta, e che la scrittura cui esso si riferiva era stata redatta per neutralizzare gli effetti di altra scrittura del 2004 di cessione di tali quote da parte della contribuente, anch’essa simulata, in vista di un’operazione di finanziamento presso una banca, poi non perfezionatasi.
La CTP di Caserta annullava l’accertamento.
L’ufficio appellava la sentenza e la CTR della Campania, con la sentenza impugnata, rigettava l’appello.
Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre la contribuente sulla base di quattro motivi.
La contribuente si è costituita con controricorso.
Ritenuto che
Con il primo motivo l’ufficio deduce violazione del quarto, quinto e sesto comma dell’art. 38 dpr 600 del 1973, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.; motivazione insufficiente ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Con il secondo motivo deduce difetto di motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. in ordine alla prova dell’esistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte alla base dell’incremento patrimoniale.
La sentenza della CTR è carente perché ha ritenuto fondata- la semplice affermazione secondo cui l’intera operazione era simulata, a fronte di una dichiarazione nell’atto pubblico notarile di compravendita secondo cui il corrispettivo era stato pagato, e perché Proc. n. 6843/13 non ha tenuto in alcun conto ¡1 fatto che, se la contribuente poteva fornire una prova contrarla, questa poteva consistere nella disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, mentre nella specie nessuna prova In tal senso è stata fornita.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 2700 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c.
Con il quarto motivo deduce difetto di motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. in ordine alla dichiarazione di avvenuto pagamento contenuta nel contratto di acquisto e ritenuta dalla CTR “eccezione nuova”.
La sentenza della CTR è illogica laddove ai fini probatori, in relazione alla presunta insussistenza dell’incremento patrimoniale, fa prevalere la semplice dichiarazione della parte rispetto a quanto dichiarato nell’atto di acquisto.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente, attesa la medesima tematica prospettata sotto vari profili, sono fondati.
Questa Corte, in fattispecie del tutto analoga, ha avuto modo di affermare (sez. V, n. 13339 del 2017) che Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, in materia di accertamento dell’imposta sui redditi e al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del DPR n. 600 del 1973, art. 38, la sottoscrizione di un atto notarile (nella specie una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto a quello ignoto, restando poi sempre consentita, a carico del contribuente, la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anziché quella onerosa apparente (Cass., sentenze nn. 8665 del 2002, 5991 e 23252 del 2006; ordinanza n. 19637 del 16 settembre 2010, ud. 24/6/2010).
II principio per cui la prova contraria può essere data dal contribuente è stato affermato anche da Sez. V, n. 21442 del 2014, secondo cui In tema di accertamento del reddito con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38, sesto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è ammessa la prova contraria da parte del contribuente, che può consistere anche nella dimostrazione che i beni o gli importi contestati quali indici di capacità contributiva non siano effettivamente entrati nella sua disponibilità, in quanto derivanti da un atto simulato, che non ne implica la corrispondente e reale disponibilità economica.
E da Sez. V, n. 5991 del 2006 che ha affermato che In tema di accertamento dell’imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – che consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali (art. 2727 cod. civ.) l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nella specie, l’esborso di rilevanti somme di denaro per l’acquisto di beni) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva) -, la presunzione semplice genera l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà; in particolare, nella specie, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l’effettuata acquisizione di beni non denota una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita anziché quella onerosa apparente.
Tali principi sono stati ribaditi anche di recente da questa Corte (sez V n. 1761 del 2019 e, ancora più specifica, sez. V, n. 872 del 2019).
Ora, la sentenza impugnata ha disatteso questi principi, perché ha ritenuto che la dichiarazione del pagamento delle quote, contenuta nell’atto notarile, non rappresentasse prova presuntiva idonea a fondare l’accertamento.
Tra l’altro, lo stesso non costituisce fatto nuovo, perché fin dall’avviso di accertamento l’attribuzione del maggior reddito si fondava in maniera determinante su questa spesa.
Il contribuente in controricorso cita giurisprudenza che, a suo avviso, confermerebbe la sua tesi, e cioè che se è dimostrato che non c’è stato pagamento, l’accertamento viene meno.
Sotto questo profilo, la giurisprudenza sopra citata ammette la prova a proprio favore da parte del contribuente, ma la stessa deve essere fornita, tanto più quando esiste una dichiarazione incorporata in un atto pubblico che dà atto del fatto che la spesa è stata sostenuta.
Nella specie, invece, la CTR ha dato per ammessa tale prova contraria senza indicare sulla base di quali elementi concreti. Anzi, ha dato credito alla tesi del contribuente sulla base della motivazione per cui “non vi è motivo di non credere e dubitare” che le quote erano state cedute per un motivo diverso da una reale compravendita, fornendo così una motivazione carente dal punto di vista giuridico.
Le stesse sentenze citate dal contribuente in controricorso, poi, non appaiono decisive in suo favore: la sentenza di questa Corte n. 8665 del 2002, addirittura, risolve un caso di fatto analogo al presente in favore dell’Amministrazione, affermando che, quando l’accertamento si fonda su un atto pubblico in cui si attesta il pagamento della somma, è onere del contribuente fornire la prova contraria, che non può consistere neppure nella produzione di documentazione bancaria per dimostrare l’inesistenza di trasferimenti di denaro corrispondenti; la sentenza n. 23252 del 2006 decide anch’essa in favore dell’Amministrazione, stabilendo che l’acquisto oneroso di un bene, e quindi la corrispondente capacità di spesa, costituisce fondatamente indizio del possesso di un reddito; la sentenza n. 2218 del 2008 non appare pertinente e non riguarda neppure una controversia tributaria; la sentenza n. 14367 del 2007 non appare, ugualmente, favorevole alla tesi del contribuente, ma anzi conferma la tesi dell’ufficio, ed afferma principi che divergono da quelli affermati dalla CTR nel presente caso.
La sentenza deve, pertanto, essere cassata, con rinvio della causa alla CTR della Campania, anche per la pronuncia sulle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata, con rinvio del procedimento alla CTR della Campania, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.
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