CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2019, n. 11682
Tributi – Accertamento – Contenzioso tributario – Motivazione – Obbligo di allegazione di atti
Rilevato che
1. D.C.A. e M.P. ricorrono con due motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 19/46/2012 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata in data 20/1/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello dei contribuenti, confermando la sentenza della C.T.P. di Caserta, sfavorevole a questi ultimi;
2. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
3. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 29 marzo 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
4. i ricorrenti hanno depositato memoria;
Considerato che
1.1. con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600/73 e 7 L. n.212/2000, nonché dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.;
secondo i ricorrenti, la C.T.R. avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione relativa alla mancata notifica degli atti su cui si fonda l’accertamento ed ai quali fa riferimento la motivazione dell’atto impositivo;
sostengono i ricorrenti che il ricorso, nell’avviso di accertamento, ad elementi offerti da altri documenti, non conosciuti dal contribuente, sarebbe legittimo solo se tali diversi atti sono ad esso allegati;
con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., e dell’art. 7 L. n. 448/2001, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c.;
nell’avviso di accertamento l’Ufficio dà atto che veniva stilata una perizia giurata ai sensi dell’art. 7 della legge n. 448/2001 per la rivalutazione dei terreni, ma che tale perizia è irrilevante perché successiva all’atto di vendita;
d’altro canto, la C.T.R. ha ritenuto che la perizia era sta inammissibilmente prodotta solo nel giudizio di appello e che, comunque, era inefficace ai fini fiscali, perché redatta dopo il rogito e smentita dalla scrittura privata rinvenuta presso la sede della società acquirente;
1.2. i motivi sono infondati e vanno rigettati;
1.3. con il primo motivo, i ricorrenti confondono il piano probatorio con quello della sufficienza motivazionale;
“in tema di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità integrativa delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi dell’art. 3, comma 3, della I. n. 241 del 1990, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva” (Sez. 5, Ordinanza n. 24417 del 05/10/2018);
nel caso di specie, l’avviso di accertamento è adeguatamente motivato, poiché contiene, non solo l’indicazione degli atti sui quali si fonda, ma anche le ragioni del provvedimento, con l’indicazione del contenuto della scrittura privata e delle circostanze del suo ritrovamento;
1.4. il secondo motivo è parimenti infondato;
preliminarmente, è opportuno chiarire che “in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dalla I. n. 69 del 2009), essendo la materia regolata dall’art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado” (Sez. 5, Sentenza n. 27774 del 22/11/2017);
nel giudizio tributario, dunque, la produzione di nuovi documenti in appello, ai sensi dell’art. 58 d.lgs. n. 546/1992, non incontra i limiti di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c., per cui deve ritenersi ammissibile la produzione della perizia nel giudizio di secondo grado;
ciò nonostante, deve rilevarsi che, come ritenuto dalla C.T.R., la perizia, non solo è stata redatta successivamente all’atto di compravendita, ma è comunque superata dalla scrittura privata rinvenuta presso la sede operativa della società, da cui risulta un prezzo di acquisto superiore rispetto a quello indicato nella perizia stessa;
in tema di plusvalenze realizzate mediante la cessione di terreni edificabili, l’opzione prevista dall’art. 7 della I. n. 448 del 2001 costituisce espressione di una scelta liberamente operata dal contribuente di rideterminare il valore del bene con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta altrimenti dovuta;
come in plurime occasioni chiarito da questa Corte, «l’imposta sostitutiva in esame è un’imposta volontaria, in quanto è frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene, con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza non affrancata; in cambio (per così dire), l’Amministrazione finanziaria riceve un immediato introito fiscale» (cfr. Cass. n. 24057/2015);
dalla ratio della norma risulta il presupposto implicito della redazione della perizia in vista di una vendita successiva, anche solamente eventuale;
inoltre, è stato anche chiarito che “in tema d’imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione delle plusvalenze di cui all’art. 81 (ora 67), comma 1, lett. a) e b) del d.P.R. n. 917 del 1986, nel caso di cessione di terreni edificabili e con destinazione agricola, la rideterminazione del valore di acquisto sulla base di una perizia giurata di stima, a norma dell’art. 7 della I. n. 448 del 2001, non limita il potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, come si evince dallo stesso art. 7, comma 6, ai sensi del quale tale rideterminazione costituisce valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale (principio enunciato in una fattispecie in cui il contribuente ha dichiarato nell’atto di vendita un prezzo inferiore a quello risultante dalla perizia di stima)” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 19465 del 30/09/2016);
la stima emergente dalla perizia giurata ed il pagamento della imposta sostitutiva identifica il nuovo valore minimo legale, così che l’alienante, al momento della vendita del terreno, si è affrancato dalla tassazione della plusvalenza generata ai sensi dell’art. 67, co. 1, lett a) e b) del d.P.R. n. 917/1986, salva la pattuizione di un prezzo di cessione superiore a quello stimato, nella quale ipotesi la plusvalenza va riconosciuta per la differenza tra il valore di stima della perizia e il maggior valore di cessione, come avvenuto nel caso di specie (sul punto vedi Cass. ord. n.2894/19);
in conclusione, se l’esercizio della scelta di rideterminare il valore del bene, con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, non preclude al contribuente, in caso di futura cessione, la facoltà di non attenersi al valore, quale indicato nella succitata perizia di stima, potendo essersi nel contempo modificate le condizioni relative all’andamento del mercato immobiliare e le stesse condizioni dell’immobile, d’altro canto il valore indicato nella perizia non limita l’accertamento dell’Ufficio, come si evince dal succitato L. n. 448 del 2001, art. 7, comma 6, secondo il quale la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni costituisce solo il valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale;
il ricorso, quindi, deve essere rigettato ed i ricorrenti devono essere condannati in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo;
sussistono i requisiti per porre a carico dei ricorrenti il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito;
sussistono i requisiti per porre a carico dei ricorrenti il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012.
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