CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2019, n. 11704
Licenziamento – Comunicazione – Prova – Indennità di mobilità – Domanda – Termine di decadenza
Rilevato che
1. con sentenza del 30 luglio 2013, la Corte di Appello di Lecce, in riforma della decisione del Tribunale in sede, dichiarava il diritto di D.P.S. alla indennità di mobilità richiesta con domanda dell’8 agosto 2008 e condannava l’INPS al pagamento della medesima oltre accessori;
2. ad avviso della Corte territoriale: la domanda all’ente assicuratore per la concessione dell’indennità di mobilità prevista dall’art. 7 della legge 23 luglio 1991 n. 223 a favore dei dipendenti da imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale o da imprese che cessino l’attività o riducano il personale per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, deve essere proposta entro il termine di decadenza di 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro; l’onere della prova in ordine alla data di comunicazione del licenziamento – nel caso in esame diversa ed anteriore a quella della comunicazione del collocamento in mobilità avvenuta l’8 agosto 2008 – gravava sull’istituto che aveva eccepito la predetta decadenza non essendo esigibile il rispetto di un termine decadenziale da parte dell’assicurato se non a decorrere dalla data di conoscenza da parte sua dell’evento individuato dalla legge come dies a quo del decorso del detto termine e non essendo, peraltro, neppure comprensibile come il lavoratore potesse fornire la prova di un fatto negativo (il non aver ricevuto prima dei sessantotto giorni la lettera di comunicazione del licenziamento);
3. per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’INPS affidato a due motivi cui resiste lo S. con controricorso; il Procuratore Generale ha depositato requisitoria in cui ha concluso per il rigetto del ricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza;
Considerato che
4. con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 73, comma 2, 129, comma 5, del R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827 conv. con modificazioni in L. 6 aprile 1936 n. 1155, 7, comma 12, della legge n. 223/1991, con riferimento agli artt. 2964 e 2968 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo errato la Corte territoriale nel far decorrere il termine di decadenza di 68 giorni dalla comunicazione del licenziamento e non dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta il Io maggio 2008, circostanza quest’ultima non contestata e riscontrata dagli stessi giudici di merito; si evidenzia, altresì, come il decorso di un termine di decadenza debba essere ancorato ad un dato oggettivo e non ad uno stato soggettivo del lavoratore o ad un comportamento del datore di lavoro violandosi, altrimenti, il disposto dell’art. 2968 cod. civ. trattandosi di decadenza prevista dalla legge in una materia, quale quella previdenziale, sottratta alla disponibilità delle parti. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., con riferimento al combinato disposto degli artt. 73, comma 2, 129, comma 5, del R.D.L. n. 1827/1935 conv. con modificazioni in L. n. 1155/1936, 7, comma 12, della L. n. 223/1991 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) in quanto, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza, a fronte della eccezione di decadenza per tardività della domanda sollevata dall’INPS, gravava sull’assicurato dimostrare di averla tempestivamente proposta, nel caso in esame, quindi, provare il fatto negativo costituito dalla addotta omessa comunicazione della risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro;
6. entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. Le disposizioni normative rilevanti ai fini del decidere dispongono quanto segue: il R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 73, comma 2, convertito con modificazioni nella L. n. 1155 del 1936, prevede che “L’indennità di disoccupazione è corrisposta a decorrere dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione dal lavoro“; il successivo art. 77, comma 1, dispone che “Per conseguire il diritto all’indennità di disoccupazione, il disoccupato deve farne domanda nei modi e termini stabiliti dal regolamento”; l’art. 129, comma 5, prevede che “Cessa il diritto nell’assicurato di essere ammesso al godimento dell’indennità di disoccupazione (…) qualora siano decorsi sessanta giorni da quello d’inizio della disoccupazione indennizzabile (…) senza che l’assicurato medesimo abbia avanzata domanda di ammissione al pagamento dell’indennità“.
Vale ricordare, inoltre, che questa Corte ha affermato il principio secondo cui <<L’indennità di mobilità, di cui all’art. 7 della legge 23 luglio 1991 n. 223, costituisce un trattamento di disoccupazione che ha la sua fonte nella legge, ma non sorge nel lavoratore in via automatica, presupponendo, come tutti i trattamenti previdenziali, la presentazione di una domanda all’INPS – che non potrebbe altrimenti attivarsi non conoscendo le relative condizioni – entro i termini di decadenza stabiliti dalla normativa in materia di disoccupazione involontaria, applicabile per l’indennità di mobilità in virtù dello specifico richiamo operato nel comma dodicesimo del citato art. 7 (sì che tale normativa deve considerarsi inserita a tutti gli effetti formali e sostanziali nella nuova norma istitutiva dell’indennità di mobilità), così com’è dimostrato, d’altra parte, dalla disposizione di cui all’art. 20-ter della legge 23 maggio 1997 n. 135, che ha introdotto una sanatoria per le domande di concessione dell’indennità presentate anteriormente al 31 marzo 1992, per le quali si fosse già avverata la “decadenza” dal relativo diritto>> (Cass. SU n. 17389 del 6 dicembre 2002). Il termine di decadenza applicabile, quindi, è quello, previsto dall’art. 129 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 cit. per l’indennità di disoccupazione, di sessanta giorni dall’inizio della disoccupazione indennizzabile, e cioè dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione del rapporto di lavoro. Ne consegue che, anche per la domanda di indennità di disoccupazione, il termine di decadenza non può che decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro (sulla decorrenza dalla cessazione del rapporto di lavoro vedi anche Cass., 9 settembre 2011, n. 17389, Cass. n. 15770 del 24 giugno 2013 e, più di recente, Cass. n. 17404 del 29 agosto 2016). Si è, peraltro, precisato che detta decadenza ha carattere generale perché soddisfa l’esigenza di assicurare all’INPS la possibilità di effettuare tempestivi controlli in ordine alla effettiva sussistenza dello stato di disoccupazione di tutti i lavoratori in genere (in tal senso, v. Cass., 19 dicembre 1985, n. 6503).
A questo punto occorre precisare che per giurisprudenza costante di questa Corte, ai sensi dell’art. 2119, comma secondo, cod. civ., la cessazione del rapporto di lavoro non deriva automaticamente dal fallimento dell’imprenditore (o dalla liquidazione coatta amministrativa dell’azienda), e, ove vi sia cessazione dell’attività aziendale, il rapporto di lavoro entra in una fase di sospensione (Cass. n. 13693 del 30/05/2018; Cass. 7473 del 14/05/2012).
Orbene, nel caso de quo, come osservato dalla Corte territoriale, solo con missiva dell’8 agosto 2008 del Centro per l’impiego di Galatina venne comunicato allo S. – già collocato in cassa integrazione a zero ore – il suo inserimento nelle liste di mobilità (dunque, l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro) ragion per cui la domanda di mobilità presentata lo stesso 8 agosto 2008 era tempestiva mancando la prova di una precedente comunicazione al lavoratore del suo licenziamento ovvero di un diverso e più risalente dies a quo cui ancorare la decorrenza del termine decadenziale e la prova d’una diversa e anteriore data di comunicazione del licenziamento – che, come è noto, è atto recettizio non può che gravare ex art. 2697, secondo comma c.p.c. su chi eccepisce la decadenza, vale a dire sull’INPS, mentre la mera negazione, da parte dell’odierno controricorrente, del fatto costitutivo dell’avversa eccezione costituisce non già una controeccezione, bensì una mera difesa (in quanto tale di per sé inidonea a modificare l’ordinaria ripartizione dell’onere probatorio);
7. il ricorso, per quanto esposto, va rigettato;
8. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dello S.;
9. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.