CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2019, n. 11761
Tributi – IVA – Credito – Rimborso – Provvedimento di diniego – Disciplina società di comodo – Applicazione
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la I.G. di P.N. e C. s.a.s., impugnando la sentenza resa dalla CTR Basilica indicata in epigrafe che aveva rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la pronunzia con la quale era stato annullato il provvedimento di diniego di rimborso di IVA per l’anno 2013.
Secondo la CTR la società contribuente, avendo ottenuto l’accoglimento dell’istanza disapplicativa per l’anno 2012, non poteva ritenersi soggetta al test di operatività per l’anno 2013, avendo l’Agenzia delle Entrate adottato apposito provvedimento con il quale era stato riconosciuto a detta società di disapplicare la disciplina in tema di società di comodo senza onere di previo obbligo di presentazione dell’istanza di interpello, avendo ottenuto l’accoglimento dell’istanza medesima con riferimento ad un precedente periodo di imposta, non essendo intervenute modificazioni per i periodi di imposta successivi.
La parte intimata si è costituita con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Con il primo motivo l’Agenzia deduce la nullità della sentenza impugnata che non aveva affrontato le questioni poste in sede di appello, ove era stata dedotta la questione relativa alla nullità della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva riconosciuto che la società contribuente aveva richiesto ed ottenuto l’interpello disapplicativo tanto con riferimento alla disciplina sulle società di comodo – mediante provvedimento della Direzione generale delle entrate – che per quella prevista in favore delle società in perdita sistematica – mediante la sentenza resa dalla CTP di Potenza n. 796/01/2015.
La ricorrente deduce di avere evidenziato in appello che il primo interpello avrebbe riguardato l’anno 2006 e che l’istanza relativa all’anno 2012, presentata per la disapplicazione della normativa sulle società in perdita – estranea all’oggetto del contendere, nel quale si discuteva di disapplicazione della normativa sulle società di comodo -, sarebbe stata disattesa con provvedimento a sua volta impugnato all’interno di un procedimento non ancora definito, risultando pendente innanzi a questa Corte. Aggiunge di avere in quella sede ulteriormente evidenziato la diversità fra le normative in tema di società di comodo e in materia di società in perdita e che anche su tale questione il giudice di appello non si sarebbe in alcun modo pronunziato, rifacendosi alla motivazione del giudice di primo grado, per di più aggiungendo apoditticamente un riferimento alla circostanza che non vi erano state modificazioni rispetto agli anni di imposta successivi.
La censura è fondata ed assorbe l’esame del secondo motivo di ricorso.
Ed invero, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia – cfr. Cass. n. 23940/2017.
Orbene, nel caso di specie il giudice di appello non ha offerto alcuna specifica risposta alle censure esposte dall’Agenzia, riproducendo il contenuto decisorio della sentenza di primo grado – che aveva ritenuto decisivo l’accoglimento dell’istanza di interpello relativa all’anno 2012 (invece contestato dall’Agenzia quanto all’anno al quale si sarebbe riferita l’istanza accolta) – e di fatto omettendo di pronunziarsi sulle questioni alla stessa specificamente demandata dall’appellante.
Anche in relazione alla diversità della ragione giustificatrice dell’istanza di rimborso rappresentata, secondo l’Agenzia, dal ricadere la società contribuente fra le società di comodo e non fra quelle con perdite sistematiche (ragione per la quale sarebbe stato accolto, sempre a dire dell’Agenzia, l’interpello della medesima società, unicamente per l’anno 2006, ma non per l’anno 2012).
Ciò rende evidente che i riferimenti, operati dalla CTR, a provvedimenti diversi da quelli ai quali si riferiva l’Agenzia e l’apoditticità delle affermazioni concernenti l’assenza di modificazioni fra l’anno al quale si sarebbe riferita la prima istanza di interpello denotano un apparato motivazionale assolutamente inintelligibile.
La sentenza impugnata risulta solo formalmente è dotata di un apparato motivazionale che, tuttavia, è inidoneo ad offrire risposta alcuna alle censure esposte dalla parte appellante, in tal modo non apparendo decisivi i rilievi difensivi esposti dalla contro ricorrente in memoria per superare le aporie motivazionali avanti evidenziate.
Sulla base di tali considerazioni, assorbenti rispetto all’esame del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Basilicata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Basilicata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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