CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 marzo 2020, n. 5833
Tributi – IRAP – Enti creditizi o finanziari – Quote delle svalutazioni dei crediti risultanti dai bilanci dei precedenti esercizi – Deducibilità cd. “noni pregressi” – Eccedenza d’imposta – Istanza di rimborso – Termine ex art. 38, del DPR n. 602/1973 – Decadenza
Rilevato che
con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Bologna, N.F. Spa (da ultimo incorporata da I.S.P. Spa), impugnò il silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia delle entrate alla sua istanza di rimborso, ex art. 38, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, della somma di euro 852.115,00, versata all’erario in eccedenza, a titolo d’IRAP, per l’anno 2006, sul rilievo che l’imposta avrebbe dovuto essere calcolata deducendo dalla base imponibile le quote delle svalutazioni dei crediti risultanti dai bilanci dei precedenti esercizi, in base al criterio di riparto previsto dell’art. 106, comma 3, t.u.i.r., nel testo ratione temporis vigente, secondo cui le svalutazioni iscritte a bilancio erano deducibili nell’esercizio corrente fine allo 0,60% del credito iscritto e, per la parte eccedente, in quote costanti nei nove (fino al 2000, sette) esercizi successivi (c.d. «noni pregressi»);
ai fini IRAP, l’art. 6, comma 1, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 – nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2004, n. 191 – stabiliva, in correlazione con l’art. 11 – bis del d.lgs. n. 446/1997, la deducibilità delle svalutazioni dei crediti operate dagli enti creditizi o finanziari entro gli stessi limiti previsti dalla citata disposizione del t.u.i.r.;
per il periodo d’imposta 2006, la contribuente, prudenzialmente (per scongiurare eventuali sanzioni), aveva provveduto (in data 20/06/2006 e in data 30/11/2006), al versamento degli acconti IRAP al lordo dei c.d. «noni pregressi», conformandosi al comunicato stampa dell’Agenzia delle entrate che, in data 19/06/2006, a commento delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 2, d.l. 12 luglio 2004, n. 168 (che aveva disposto, a decorrere dal periodo d’imposta 2005, l’irrilevanza, ai fini IRAP, di tali rettifiche di valore per le banche e gli istituti di crediti), aveva sostenuto che: «questi cambiamenti riguardano tra l’altro le riprese di valore su crediti verso la clientela e, per quanto concerne i componenti negativi, le svalutazioni dei crediti verso la clientela e i cosiddetti “noni pregressi”»;
ritenendo però non corretta l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate, sull’efficacia retroattiva della novella normativa con riferimento ai «noni pregressi», la contribuente, in data 23/05/2011, come suaccennato, chiese il rimborso della maggiore IRAP versata nel periodo d’imposta 2006;
la CTP di Bologna, con sentenza n. 131/2014, pur riconoscendo, nel merito, la fondatezza dell’istanza di rimborso, rigettò il ricorso, accogliendo l’eccezione di decadenza ex art. 38, del d.P.R. n. 602/1973, sollevata dall’ufficio;
interposto gravame sia dalla società (appello principale) che dall’Agenzia (appello incidentale) – limitatamente, quanto all’appello incidentale, alla riconosciuta fondatezza, in astratto, del diritto alla deduzione fatto valere dalla contribuente – la CTR dell’Emilia-Romagna, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello della società e ha rigettato quello dell’ufficio, sul rilievo che la società non fosse decaduta dal diritto al rimborso dell’IRAP versata in eccedenza, e che, quindi, la domanda di rimborso fosse fondata nel merito;
l’Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base di due motivi, cui l’intimata resiste con controricorso, illustrato con memoria;
Considerato che
con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 38, del d.P.R. n. 602/1973, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente stabilito che il termine di decadenza, per la presentazione dell’istanza di rimborso IRAP, decorra dalla data del versamento del saldo anziché da quella del versamento degli acconti, sebbene fosse pacifico che la misura degli acconti era stata determinata, dalla contribuente, alla stregua di valutazioni d’opportunità e di prudenza, ossia calcolando l’acconto IRAP 2006 senza dedurre le quote costanti delle svalutazioni dei crediti, in base a quanto indicato dal comunicato stampa dell’Agenzia delle entrate del 19/06/2006 in merito all’indeducibilità delle svalutazioni dei crediti alla clientela, benché la banca reputasse illegittimo il criterio suggerito dall’Amministrazione finanziaria;
con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2702, cod. civ., del principio di non contestazione di cui all’art. 115, cod. proc. civ., del principio di vicinanza della prova di cui agli artt. 88, 116, secondo comma, cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata: innanzitutto, per avere, erroneamente configurato, in capo all’ufficio, in materia di istanze di rimborso, il compito di dimostrare l’insussistenza del diritto al rimborso, con ciò ribaltando le regole sull’onere probatorio; in secondo luogo, per avere contra legem, reputato provata la spettanza del rimborso in base ad un elemento di conoscenza (il prospetto delle svalutazioni eccedenti il plafond non dedotto), che non costituiva un valido documento (ex art. 2702, cod. civ.) ai fini della decisione della controversia; in terzo luogo, per avere erroneamente fatto carico all’Amministrazione di contestare il quantum del rimborso, gravandola dell’onere d’eccepire la fallacia dei dati allegati dalla contribuente a dimostrazione dell’ammontare del credito dedotto, sebbene la documentazione contabile comprovante il presupposto e la misura del rimborso eventualmente dovuto fosse nell’esclusiva disponibilità della banca;
il primo motivo è fondato;
questa Corte (Cass. 4/04/2012, n. 5403) ha fissato i seguenti principi di diritto: «Anche in materia di IRAP, in relazione alle imprese bancarie, la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, poiché ad essa è stata riconosciuta rilevanza dall’art. 71, comma terzo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (poi divenuto art. 106, comma terzo, del medesimo d.P.R.) per rendere la disciplina fiscale più adeguata alle esigenze del mercato bancario ed assicurare pieno riconoscimento alle svalutazioni imputate al conto economico, e la relativa deduzione è soltanto rinviata, per noni, agli esercizi successivi, secondo il criterio di cui all’art. 106, comma terzo, citato, per evitare il superamento del limite massimo di deducibilità in ciascun esercizio. Ne consegue che l’indeducibilità ai fini dell’IRAP, introdotta dall’art. 2, comma secondo, del d.l. 12 luglio 2004, n. 168, convertito in legge 30 luglio 2004, n. 191, a partire dall’esercizio 2005, non attinge le quote (cd. noni pregressi) di competenza degli esercizi anteriori, in quanto relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci, ed oggetto, quindi, di una situazione giuridica sostanziale già consolidata; né è giustificabile un’interpretazione della disciplina in chiave retroattiva, in assenza di specifica previsione, poiché la stessa si porrebbe in contrasto con il canone ermeneutico di cui all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212»;
alla stregua di tali canoni giuridici, non è dubitabile che la contribuente avesse (astrattamente) titolo per chiedere il rimborso del credito IRAP correlato alla deduzione del «nono» di competenza del 2006, come correttamente ha stabilito anche la CTR, salva la necessità della verifica circa il maturare o meno del termine di decadenza (di 48 mesi) della domanda di rimborso (datata 23/05/2011), ai sensi dell’art. 38, del d.P.R. n. 602/1973, a seconda della sua decorrenza dal versamento degli acconti (avvenuto nel 2006) o dal versamento del saldo (avvenuto nel 2007);
il profilo giuridico cruciale della controversia si risolve grazie al chiaro insegnamento della Cassazione, a sezioni unite, che si è premurata di precisare che: «L’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte è rigoroso nella identificazione (di regola) nel giorno del versamento [il] dies a quo (come tale non computabile) del termine di decadenza per l’esercizio del diritto al rimborso dell’importo pagato. Si è, infatti, affermato, ad esempio, che: […] il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso, con riferimento ai versamenti in acconto, decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il diritto al rimborso derivi da un’eccedenza dei versamenti in acconto, rispetto a quanto risulti poi dovuto a saldo oppure qualora derivi da pagamenti cui inerisca un qualche carattere di provvisorietà, poiché subordinati alla successiva determinazione in via definitiva dell’obbligazione o della sua misura, mentre decorre dal giorno del versamento dell’acconto stesso, nel caso in cui quest’ultimo, già al momento in cui venne eseguito, non fosse dovuto o non lo fosse nella misura in cui fu versato, ovvero qualora fosse inapplicabile la disposizione di legge in base alla quale venne effettuato, poiché in questi casi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sorge sin dal momento in cui avviene il versamento (tra le altre, Cass. nn. 56 del 2000, 4282, 7926 e 14145 del 2001, 21557 del 2005, 13478 del 2008, 4166 del 2014) […].» (Cass. sez. un. 16/06/2014, n. 13676);
nel caso di specie, nel quale è pacifico che il maggiore tributo versato dalla società, per il 2006, è dipeso dalla mancata deduzione delle quote delle svalutazioni dei crediti anteriori al 2005 (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata), alla luce del principio giuridico appena enunciato, è chiaro che il dies a quo del termine di decadenza per l’esercizio del diritto al rimborso di quanto versato dalla contribuente in eccedenza, a titolo d’IRAP, decorra dal giorno in cui venne effettuato ciascuno dei due acconti (corrisposti nel 2006);
infatti, in base alle norme sulla deducibilità posticipata dei «noni» delle pregresse svalutazioni dei crediti verso la clientela, secondo l’interpretazione del dato normativo offerta da Cass. n. 5403/2012, gli acconti dell’imposta regionale sulle attività produttive avrebbero dovuto essere corrisposti al netto, anziché al lordo, dei «noni» di pertinenza del periodo d’imposta 2006, essendo certo, già al momento del versamento dell’acconto (recte: di ciascuno dei due acconti infrannuali), che esso non era dovuto in quella misura, ma in una misura («certa») minore (diminuita dei «noni») in quanto – appunto – prudenzialmente, ma contra legem, la contribuente non aveva sottratto i «noni» pertinenti al periodo d’imposta 2006, quali frazioni «certe» di componenti passive (altrettanto) «certe» rappresentate dalle svalutazioni dei crediti già riconosciute per effetto delle loro appostazioni nei bilanci anteriori, che possiedono valenza giuridica immediata, nel senso che determinano immediatamente la decurtazione del valore fiscale della produzione (sul punto vedi: Cass. n. 5403/2012);
e ciò indipendentemente dal diverso metodo «retributivo» di determinazione del valore della produzione che è la base imponibile dell’IRAP per i soli enti pubblici, secondo cui il quantum dell’imposta dovuta può essere determinato, di norma, solo al termine dell’anno fiscale, all’epoca del versamento del saldo (Cass. n. 18374/2019; artt. 10-bis e 16, d.lgs. n. 446/1997), per la dirimente ragione che le svalutazioni dei crediti e i correlativi «noni», deducibili in un arco pluriennale (definito da Cass. sez. un. 16/06/2006, n. 13916, come una specie di «maxiperiodo» d’imposta), come suaccennato, sono componenti passive «certe», le quali riducono il valore fiscale della produzione in misura sempre identica, indipendentemente dall’entità di quest’ultimo, determinato con le peculiari modalità previste per le banche dall’art. 6, d.lgs. n. 446/1997;
la commissione regionale ha errato, quindi, nel negare che la contribuente fosse decaduta dal diritto di chiedere il rimborso IRAP, sicché, in accoglimento del motivo del ricorso, la sentenza va cassata, con conseguente assorbimento della seconda censura; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso introduttivo;
ricorrono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese dei gradi di merito, perché gli orientamenti giurisprudenziali da cui è dipesa la soluzione della controversia sono andati consolidandosi successivamente all’instaurazione del giudizio; invece, le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito e condanna la contribuente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
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