CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 novembre 2020, n. 24316
Tributi – Accertamento – Imposte sui redditi – Indennità di espropriazione percepita da società commerciale – Tassazione separata – Esclusione – Qualificazione di plusvalenza tassabile – Legittimità
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria regionale per l’Umbria ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnazione proposta da V.N. avverso l’avviso di accertamento n. T3N010600360/2011, da V.N., quale legale rappresentante della So.Co.Be.Ru. Società Commerciale di B.R. di V.N. & C. S.n.c. avverso l’avviso di accertamento n. T3N020600358/2011 e da L.B. avverso l’avviso di accertamento n. T3N010600361/2011, aventi a oggetto recupero a tassazione ordinaria del maggior reddito della società, distribuito alle persone fisiche in qualità di soci, derivante dalla percezione di un’indennità di espropriazione, originariamente assoggettata a tassazione separata, in relazione all’anno di imposta 2006.
2. La CTR, dopo aver riunito gli appelli separatamente proposti dai tre contribuenti, ha rilevato che la natura di impresa commerciale della società contribuente escludeva l’applicabilità al caso di specie del disposto dell’art. 11, comma 5, della legge n. 413 del 1991, posto che tale previsione, laddove prevede la non tassabilità del provento derivante da indennità di espropriazione, si riferisce unicamente a soggetti che non esercitino attività imprenditoriale. Sotto diverso profilo, la CTR ha rilevato che la questione della sottoponibilità della plusvalenza a tassazione separata non era stata riproposta in appello.
3. Per la cassazione della citata sentenza V.N., in proprio e quale legale rappresentante della So.Co.Be.Ru. Società Commerciale di B.R. di V.N. & C. S.n.c. e B.L. hanno proposto ricorso affidato a due motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
4. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: «Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) con riferimento all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. (nullità della sentenza o del procedimento). Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. in correlazione con l’art. 324 c.p.c. (con riferimento all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.)» deducendo l’illegittimità della sentenza impugnata poiché emessa in violazione di precedente giudicato.
b. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 comma cinque L. 413/1991 (art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.). In via subordinata: eccezione di incostituzionalità della norma denunciata per violazione degli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione» deducendo l’erroneità della pronuncia impugnata, laddove ha escluso che la citata norma di legge si applichi alle imprese commerciali, prospettando in diversa ipotesi l’incostituzionalità di siffatta interpretazione.
2. L’Agenzia delle Entrate assume che i ricorrenti abbiano rinunciato in appello all’eccezione di giudicato, per non averla espressamente riproposta; argomenta l’insussistenza del giudicato, stante l’oggettiva diversità dei giudizi; svolge nel merito argomentazioni a suffragio della ritenuta correttezza della sentenza impugnata, concludendo per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
3. Il ricorso va respinto.
4. Il primo motivo è infondato. Nella memoria difensiva, depositata ai sensi dell’art. 380bis 1 cod. proc. civ., i ricorrenti, replicando alle argomentazioni svolte sul punto nel controricorso dell’Agenzia delle Entrate, danno espressamente atto di non aver riproposto l’eccezione di giudicato nelle conclusioni degli atti di appello, essendosi limitatati a farne cenno nella parte espositiva. In siffatta contingenza, la Corte osserva che, allorquando con la sentenza di primo grado venga respinta (espressamente o per implicito) un’eccezione di giudicato esterno e avverso tale capo non venga proposta espressamente impugnazione ai sensi dell’articolo 346 cod. proc. civ., in applicazione dei principi sui limiti devolutivi dell’appello e sul giudicato interno, l’eccezione deve ritenersi rinunciata e sul relativo capo si forma il giudicato parziale interno, con la conseguenza che l’eccezione, quand’anche fosse da ritenersi rilevabile d’ufficio, è definitivamente preclusa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 750 del 24/01/2000; id. Sez. 5, Sentenza n. 10330 del 01/07/2003).
5. Il secondo motivo è infondato, poiché questa Corte ha in via generale affermato che il presupposto impositivo del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma quinto, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si rinviene a livello oggettivo nella mera percezione della somma, che realizza una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi (Sez. 5, Sentenza n. 1429 del 22/01/2013), alla condizione che il terreno espropriato ricada nelle zone omogenee citate dal medesimo articolo (a prescindere dalla destinazione urbanistica: Sez. 5 – , Ordinanza n. 9228 del 03/04/2019).
Quanto al profilo soggettivo, questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 9110 del 19/04/2006, in motivazione) ha condivisibilmente affermato che il quinto comma dell’art. 11 individua i soggetti passivi dell’imposta sulle plusvalenze (considerate “redditi diversi”) solo nei “soggetti che non esercitano imprese commerciali”.
Se, infatti, il percettore è un’impresa commerciale, trova applicazione la disciplina originariamente prevista dall’art. 20, comma 5, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, in tema di determinazione del reddito delle persone giuridiche, per la quale “le plusvalenze patrimoniali concorrono a formare il reddito imponibile soltanto se sono state realizzate mediante operazioni speculative ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, o mediante cessione di beni destinati o comunque relativi alle attività commerciali esercitate” delle cui “sopravvenienze attive si tiene conto soltanto se inerenti a tali attività”. Disciplina che è poi confluita nel Titolo II del Dpr 22 dicembre 1986, n. 917, nella disciplina dell’Irpeg e, infine, in quella attuale dell’Ires a far data dall’entrata in vigore del d. lgs. n. 344 del 2003.
Tale ricostruzione del quadro normativo applicabile alla fattispecie consente, in primo luogo, di condividere l’opzione ermeneutica espressa dalla CTR, seppur in maniera assai sintetica.
Dall’altro deve valutarsi manifestamente infondata la prospettata questione di incostituzionalità dell’art. 11, comma 5, in esame, stante l’evidente razionalità legislativa concretizzatasi nella distinzione normativa tra soggetti imprenditori e non imprenditori che emerge dall’appena effettuata ricostruzione dell’inquadramento normativo generale sulla questione.
6. La soccombenza regola le spese.
7. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, va da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del grado, che liquida in euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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