CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 ottobre 2018, n. 23993
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Riscossione – Cartella di pagamento
Rilevato che
il contribuente G.P. proponeva ricorso avverso la cartella esattoriale con la quale, a seguito di controllo automatizzato ex artt. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54-bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, della dichiarazione fiscale relativa ai redditi percepiti nell’anno di imposta 2002, gli era stato richiesto il pagamento della somma di € 139.655,89 per omesso versamento di Irpef relativa a redditi sottoposti a tassazione separata, oltre interessi e sanzioni.
A sostegno dell’impugnazione, il contribuente deduceva di essere incorso in errore nella compilazione del quadro RM della predetta dichiarazione, nella quale aveva riportato il conseguimento di un’indennità risarcitoria per esproprio di un terreno già assoggettata a ritenuta a titolo di imposta ai sensi dell’art. 11, comma 7, della l. 30 dicembre 1991, n. 413.
Lo stesso contribuente aveva presentato, a seguito della liquidazione automatizzata dell’imposta e della conseguente iscrizione a ruolo, una dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8, I. n. 322 del 1998, che, tuttavia, non aveva avuto seguito.
L’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano 3 si opponeva alla domanda giudiziale del contribuente, argomentando che, con l’indicazione della suddetta indennità nel modello unico e con la mancata presentazione di una dichiarazione rettificativa nei termini di cui all’art. 2, comma 8-bis, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, il medesimo aveva manifestato la volontà di sottoporre l’indennità a tassazione separata.
La CTP di Milano, con sentenza n. 296/44/2008, depositata il 21.11.2008, accoglieva il ricorso. Tale decisione veniva confermata dalla CTR della Lombardia, la quale, con sentenza n. 11/18/2011 del 13.12.2010/13.1.2011, respingeva l’impugnazione dell’Ufficio sul rilievo che l’inclusione della predetta indennità nel modello unico non poteva essere interpretata quale esercizio della facoltà di assoggettare la stessa a tassazione ordinaria e non a ritenuta a titolo d’imposta, ma quale “evidente errore” del contribuente; come tale, essa era emendabile, trattandosi di dichiarazione non negoziale ma avente natura di mera esternazione di scienza, al pari della dichiarazione integrativa e correttiva; in ogni caso, la facoltà di emenda non era esercitabile soltanto nelle forme e nei termini previsti per la dichiarazione integrativa o rettificativa, ma anche in sede giudiziale, quale attività difensiva volta ad opporsi alla maggior pretesa tributaria dell’amministrazione, onde, in definitiva, la possibilità di rettifica della dichiarazione dei redditi non era affatto preclusa dal decorso del termine previsto dall’art. 2, comma 8-bis del d.P.R. n. 322 del 1998.
Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate con unico motivo. Resiste con controricorso il contribuente.
Ritenuto che
1. Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. in relazione all’articolo 2, comma 8-bis del d.P.R. 22 luglio 1988, n. 322, assumendo l’erroneità della decisione impugnata laddove la CTR ha escluso che il contribuente potesse emendare la dichiarazione esclusivamente entro il termine decadenziale previsto dalla norma citata, coincidente con il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.
Va immediatamente precisato, in tale prospettiva, che le doglianze dell’Agenzia non sono rivolte tanto a contestare l’emendabilità in sé della dichiarazione, attribuendole, in ipotesi, natura di manifestazione di volontà irretrattabile rivolta ad esercitare una delle opzioni impositive consentite dall’ordinamento, ma ad affermare la possibilità di correggere la dichiarazione, frutto di errore del contribuente, esclusivamente entro i limiti modali e temporali delineati dall’art. 2, comma 8-bis citato.
Nel solco della medesima impostazione argomentativa, inoltre, l’Agenzia riconosce che al contribuente, una volta versata la somma richiesta dall’Erario, sarebbe comunque spettata anche la facoltà di formulare successiva istanza di rimborso ex art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, esercitabile in termini più ampi rispetto a quello discendente dall’art. 2, comma 8-bis cit.
2. Ciò posto, il ricorso appare infondato.
In ordine alla questione controversa, le Sezioni Unite di questa Corte, (Sez. U, 30/06/2016, n. 13378, Rv. 640206 – 01) hanno statuito che «In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8-bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria».
Seguendo tale linea interpretativa, la Corte ha valorizzato una serie di elementi valutativi di indubbia pregnanza, quali la natura giuridica della dichiarazione fiscale, intesa quale mera esternazione di scienza; il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.; il disposto dell’art. 10 dello Statuto del contribuente – secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede -, nonché il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, concludendo che ciò comporta l’inapplicabilità, in tale ultima sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa.
Poiché, infatti, oggetto del contenzioso giurisdizionale è l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente, non si verte né in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 cit.,2 di richiesta di rimborso ex art. 38 cit., onde non può escludersi il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo fornendo prova delle circostanze rilevanti, quali, fra l’altro, errori od omissioni presenti nella dichiarazione fiscale.
Ne consegue che deve essere riconosciuta al contribuente la possibilità, anche in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco (anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato) allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’art. 2 d.P.R. n. 322/98 e dall’istanza di rimborso di cui all’art. 38 d.P.R. n. 602/73.
3. La sentenza impugnata appare aver fatto buon governo dei suddetti principi ed il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Il consolidarsi dell’orientamento di legittimità sopra illustrato soltanto in epoca successiva alla proposizione del ricorso, con particolare riferimento alla citata decisione delle Sezioni Unite, giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del giudizio.
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