CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 ottobre 2018, n. 24046
Tributi – Accertamento – Spese di sponsorizzazione – Detrazione di spese per la sponsorizzazione del marchio – Società distributrice del prodotto
Rilevato che
1 La società I. s.p.a. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento per Irpeg, Irap ed Iva relativi all’anno di imposta 2003, con cui l’amministrazione finanziaria aveva recuperato i costi per spese di sponsorizzazione ed accantonamenti per premi di fedeltà per gli agenti di commercio in dipendenza dei patti di non concorrenza.
La commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia respingeva il ricorso con sentenza che veniva impugnata dinanzi alla C.T.R. dell’Emilia Romagna.
I giudici di appello confermavano la sentenza di primo grado, sul rilievo che le spese di sponsorizzazione dovevano essere riconosciute solo limitatamente alle gare svoltesi in Italia, con esclusione di quelle effettuate all’estero – fondando la decisione sulle dichiarazioni del l.r. dell’ente secondo le quali le manifestazioni effettuate all’estero avrebbero dovuto costituire un veicolo pubblicitario nei confronti dei fornitori prevalentemente non italiani – nonché sul presupposto della carenza di prova da parte del contribuente di vendite ai privati nell’anno 2003; ciò in quanto, anche considerando la dichiarazione 2008, il fatturato relativo alle vendite ai privati era molto limitato in rapporto alle spese di sponsorizzazione, sì che queste sarebbero andate ad assorbire il margine di guadagno.
La C.T.R. escludeva, poi, che le spese di sponsorizzazione avessero favorito l’attività di intermediazione commerciale, poiché la società aveva svolto attività di agenzia e nessun vantaggio poteva essere procurato al marchio della società stessa in quanto i prodotti venduti recavano marchi esteri diversi. Con riguardo all’accantonamento delle somme denominate premio di fedeltà a titolo di patto di non concorrenza, che la società avrebbe dovuto corrispondere al termine dei contratti con gli agenti, i giudici statuivano che erano deducibili solo le quote accantonate per indennità di cessazione del rapporto di agenzia, rimanendo escluse le altre indennità per premio di fedeltà.
2. Avverso la sentenza della CTR, la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio con controricorso.
La contribuente ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Considerato che
3. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge in relazione agli articoli 108 e 109 del Tuir, censurando la pronuncia impugnata per aver subordinato il requisito dell’inerenza del costo pubblicitario alla tipologia dei destinatari del messaggio pubblicitario – escludendo i costi di pubblicità sostenuti per le gare svoltesi all’estero; la censura si incentra sul presupposto che il messaggio pubblicitario è normalmente rivolto ad un pubblico indistinto, nonché sulla valutabilità dell’inerenza con riferimento all’attività svolta dall’impresa, senza dover considerare l’entità dei costi sostenuti ovvero l’ambito geografico in cui la pubblicità viene promossa, risultando tali indici estranei alla valutazione dell’ inerenza.
4 Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione gli articoli 105 e 17 del Tuir, nonché dell’art. 1751 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c., atteso che il cit. art. 105 prevede espressamente la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti ed al quarto comma prevede che detta disposizione vale anche per gli accantonamenti relativi all’indennità di fine rapporto di cui all’art. 17 cit., il quale contempla le indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia delle persone fisiche e delle società di persone, nell’ambito delle quali va ricompresa l’indennità prevista dall’art. 1751 c.c. per la cessazione del rapporto di lavoro.
5 Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., nella parte in cui la CTR ha affermato che “la documentazione prodotta, da cui si evincevano le vendite ai privati, si riferiva all’anno d’imposta 2003 e che, comunque anche da quella relativa all’anno 2008 emergeva un esiguo fatturato nei confronti dei privati rispetto ai costi di sponsorizzazione, tale che detti costi assorbivano il margine di guadagno”.
Sotto il primo profilo, la società ricorrente evidenzia che l’anno di imposta in contestazione riguardava il 2003 e che la documentazione prodotta – che si riferiva proprio all’anno 2003 – dimostrava che una parte dei ricavi proveniva dalle vendite ai provati.
Sotto il secondo profilo, la ricorrente rileva la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui che le spese di sponsorizzazione sono state ascritte all’attività di intermediazione di clienti esteri, nonostante che dal bilancio emergessero ricavi derivanti da commissioni di intermediazione riconosciute per l’attività di collocazione e vendita sul mercato italiano di marchi esteri di notte società.
6. Il primo motivo è fondato, assorbito il terzo.
Il nucleo essenziale dell’intera vicenda in esame si incentra, invero, sulla questione della deducibilità, o meno, da parte della società I. dei costi di sponsorizzazione del marchio, deducibilità che dipende dalla loro inerenza, o meno, all’attività di impresa esercitata dalla contribuente, a tenore del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5.
7 A tal riguardo va, per vero, osservato che il cd. contratto di sponsorizzazione – fattispecie non specificamente disciplinata dalla legge – ricomprende tutte quelle ipotesi nelle quali un soggetto – detto “sponsorizzato” o, con terminologia anglosassone, “sponsee” – si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, marchiato, o anche a tenere determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale.
Da tali caratteristiche del rapporto, si evince, pertanto, che la sponsorizzazione – che, sotto il profilo concernente lo sponsorizzato, si concreta nella commercializzazione del nome e dell’immagine personale del soggetto – sì traduce, al contempo, per lo sponsor, in una forma di pubblicità indiretta, consistente nella promozione del marchio o del prodotto che si intende lanciare sul mercato.
Orbene, va osservato, al riguardo, che quella di inerenza è una nozione pregiuridica, di origine economica, legata all’idea del reddito come entità necessariamente calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione. Sotto tale profilo, pertanto, inerente è tutto ciò che – sul piano dei costi e delle spese – appartiene alla sfera dell’impresa, in quanto sostenuto nell’intento di fornire a quest’ultima un’utilità, anche in modo indiretto. A contrario, non è invece inerente all’impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell’imprenditore, ovvero del socio o del terzo. Se dal piano economico si passa, poi, a quello fiscale, da quanto suesposto discende che l’inerenza di un onere o di un costo all’impresa, in quanto si concreta in una componente negativa del reddito, si traduce – attraverso il meccanismo delle deduzioni – in un risparmio di imposta, giacché esso viene ad abbattere il reddito imponibile netto, in misura corrispondente all’entità della spesa o del costo deducibili.
8 Secondo il prevalente orientamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 108 (ex 74, secondo comma) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta.
Pertanto, le spese di sponsorizzazione costituiscono spese deducibili ove il soggetto, comunque, tragga dallo sfruttamento del segno distintivo un’utilità per il potenziale incremento della propria attività commerciale (Cass. n. 4518/13; 4516/13; n. 27198/2014; n. 6548/2012).
Le spesa di pubblicità o propaganda hanno una finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto. Le norme citate non impongono ai fini della inerenza un raffronto tra costi e ricavi e appare del tutto semplicistico correlare la prova della congruità della spesa al solo rapporto proporzionale tra i valori economici espressi nelle poste di bilancio, dovendosi l’inerenza determinare quale congruità della spesa in quanto riferibile a potenziali utilità o vantaggi futuri (ampliamento del settore di mercato; incremento della clientela; introduzione di nuovi prodotti o servizi) conseguibili dalla società.
Nella specie, la società contribuente vende i suoi prodotti non solo in Italia ma anche all’estero (anche per corrispondenza), il che consente di affermare che tra i destinatari del messaggio pubblicitario vi sono anche i consumatori finali, oltre che gli imprenditori del settore alimentare, il che dimostra una “diretta aspettativa al ritorno commerciale” ragionevolmente riconducibile all’attività di un pilota professionista, considerato anche il risalto mediatico degli eventi attraverso i sistemi di informazione.
In siffatta ipotesi, è, invero, di chiara evidenza che la pubblicizzazione del marchio o del prodotto si traducono innegabilmente in un potenziale vantaggio economico diretto per l’impresa sponsorizzante, potendone derivare, in conseguenza, un incremento della propria attività commerciale (Cass. 16826/07; 4899/2012).
8 La motivazione nella parte in cui ha sottolineato aspetti di incongruenza in punto di disallineamento tra clienti del contribuente e generalità dei consumatori interessati alle corse automobilistiche di quel tipo e l’operatività del contribuente in ambito italiano a fronte di manifestazioni sportive effettuate all’estero Paesi, non risulta rilevante, posta la visibilità internazionale degli eventi sportivi, come pure non rileva la proporzionalità del costo rispetto ai ricavi perché la valutazione di convenienza, che compete all’imprenditore, è effettuata ex ante.
In conclusione, l’esclusione della deducibilità dei costi sostenuti per le gare sportive svoltesi all’estero è illogica, atteso che i costi di sponsorizzazione si traducono per lo sponsor in una forma di pubblicità indiretta, consistente nella promozione del marchio e del prodotto che si intende lanciare sul mercato e l’inerenza va rapportata all’attività svolta dall’impresa (Cass. n. 3422/2012; n. 6548/2012).
§.9 La seconda censura è fondata.
In tema di imposte sul reddito d’impresa, “il cosiddetto premio fedeltà, istituito contrattualmente per apportare un beneficio integrativo del trattamento di fine rapporto dei dipendenti che abbiano maturato un’elevata anzianità di servizio in azienda all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, costituisce un costo deducibile, operando in costanza del rapporto di lavoro ed essendo rilevante nell’ambito dell’economia aziendale e dei relativi ricavi, atteso, peraltro, che ove venga meno per circostanze anormali, il beneficio viene recuperato alla disponibilità della società medesima (n. 7340 del 19/03/2008; n. 8135/2016).
Il ricorso va dunque accolto con riferimento al primo ed al secondo motivo, assorbito il terzo.
Le alterne vicende processuali giustificano la compensazione delle spese del giudizio di merito.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza
P.Q.M.
Accoglie il ricorso il ricorso con riferimento al primo ed al secondo motivo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente;
Compensa le spese della fase di merito;
Condanna l’Agenzia alla refusione delle spese di lite del presente giudizio sostenute dal contribuente, che liquida in euro 7.300,00, oltre rimborso forfettario, iva e c.p.a. come per legge.
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