CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 ottobre 2018, n. 24064
Tributi – Imposta di registro – Cessione d’azienda – Contratto di affitto – Valore dell’avviamento – Rettifica
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 55/01/11, emessa in data 17.09.2010, depositata in data 28.03.2011, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto dalla contribuente I. M.G.F. s.n.c. di M. M. & c. (già “Officina meccanica Levante s.n.c. di M. M. & c.”), annullando la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna n. 5/15/2010, compensando le spese per ambedue i gradi di giudizio. La controversia ha ad oggetto l’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro per l’anno 2007, con cui veniva rettificato il valore dell’avviamento dichiarato dalle parti nel contratto di cessione d’azienda, esercente l’attività di tornitura e fresatura meccanica, stipulato in data 26.01.2007, a rogito notaio E. di Bologna; l’atto faceva seguito ad un contratto di affitto d’azienda triennale, dall’1.01.2004 al 31.12.2006, stipulato tra la Officina Meccanica Levante s.n.c. di B. E. & c. e la I. M.G.F. s.n.c. di M. M. & c. (già “Officina meccanica Levante s.n.c. di M. M. & c.”), entrambe con sede in San Lazzaro di Savena (BO), quali parti coobbligate, con scrittura privata autenticata in data 15.12.2003; il prezzo di vendita dichiarato era di € 140.000,00, senza contemplare alcun valore di avviamento, che i contraenti ritenevano esauritosi nel corso dell’affitto d’azienda, poiché già considerato nel canone annuo di € 134.000,00, che era alla base dell’impegno della società titolare di cedere, alla scadenza naturale del contratto, l’azienda al prezzo prestabilito di € 140.000,00, lasciando facoltà all’affittuario di aderirvi o meno, secondo le modalità riportate nel contratto di affitto; in sede di giudizio di congruità, l’Ufficio determinava il valore dell’avviamento di € 699.000,00, e, quindi, il valore dell’azienda in € 839.000,00, conseguendone una maggiore imposta di registro di € 20.970,00, oltre sanzioni ed interessi; i contribuenti impugnavano, pertanto, la pretesa, sostenendo la congruità del prezzo stabilito in € 140.000,00, essendo il valore dell’avviamento già considerato nel canone di affitto dell’azienda e precisando che, al momento della cessione, il valore dell’avviamento andava riconosciuto a chi aveva gestito l’azienda fino a quel momento, ossia gli affittuari poi divenuti acquirenti; eccepivano, altresì, l’illegittimità dell’avviso di rettifica per carenza di motivazione, ritenendo inattendibile il criterio utilizzato per determinare il valore, basato su quanto stabilito dall’art. 2, d.P.R. n. 460 del 1996, che reca il Regolamento di attuazione delle disposizioni per l’accertamento con adesione ai fini delle imposte dirette ex art. 2, d. Igs. n. 564 del 1994, sostenendo che l’utilizzo del suddetto criterio al di fuori del campo di applicazione previsto dalla norma, ne inficiava la validità.
2. La CTP originariamente adita aveva rigettato il ricorso.
3. La CTR adita a seguito di appello proposto dalla società contribuente, ha ritenuto fondate le doglianze difensive; sul punto, i giudici di appello hanno circoscritto la materia del contendere, in base alle eccezioni delle appellanti, all’esistenza o meno di un valore di avviamento al momento del trasferimento, e, quindi, al tentativo di aver voluto porre in essere un elusione fiscale come contestato dall’Ufficio; premesso che le società sopra descritte, con atto 15.12.2003, a rogiti notaio E., avevano sottoscritto un contratto di affitto d’azienda con cui la “Officina meccanica Levante s.n.c. di M. M. & c.” cedeva in affitto alla “Società meccanica Levante s.n.c. di B. E. & c.” la propria azienda esercente attività di tornitura e fresatura meccanica sita in San Lazzaro di Savena (BO), e che l’affitto era fissato per tre anni, dall’1.01.2004 al 31.12.2006, ad un canone annuo di € 134.000,00, fisso ed immutabile per l’intera durata del contratto, osservava il Collegio di seconde cure che al punto 7) della scrittura privata era stabilito che la concedente (ossia la “Officina meccanica Levante s.n.c. di M. M. & c.”) alla scadenza naturale del contratto intendeva cedere l’azienda affittata, impegnandosi pertanto unilateralmente ad offrire quest’ultima in prelazione all’affittuaria (ossia la “Società meccanica Levante s.n.c. di B. E. & c.”) ad un prezzo di € 140.000,00, prezzo che si indicava come “comprensivo esclusivamente del valore dell’universalità dei beni oggetto dell’affittanza, senza contemplare alcun valore di avviamento essendosi esaurito nel corso dell’affittanza stessa”, escludendosi peraltro “tassativamente” dall’offerta di acquisto l’immobile che sarebbe rimasto di proprietà della concedente che, in caso di adesione dell’affittuaria, si impegnava a sottoscrivere con la stessa un contratto di locazione; al punto 10) della scrittura erano poi fissate le condizioni del contratto di locazione; con successiva scrittura privata a rogiti notaio E., in data 26.01.2007, le parti sottoscrivevano l’atto di cessione d’azienda, nel rispetto delle condizioni stabilite con l’accordo sottoscritto tre anni prima, cui faceva seguito il contratto di locazione dell’immobile ove era svolta l’attività di tornitura e fresatura meccanica.
Tanto premesso in fatto, la CTR ha ritenuto che la documentazione prodotta dalla società, specifica, senza dubbio, la volontà delle parti espressa in atti, resi pubblici con le registrazione di legge, non contestati per eventuali discrepanze con la contabilità delle due società e con le situazioni economiche ed i movimenti finanziari dei singoli soci; ha osservato come l’Ufficio non aveva indagato se effettivamente fosse stato pattuito tra le parti un corrispettivo per l’eventuale avviamento, superiore a quello inserito nel canone annuo d’affitto, e, qualora lo avesse fatto, non ne aveva prodotto i risultati; ha ancora, rilevato che, nel canone di affitto dell’azienda si era tenuto conto dell’avviamento considerandolo un elemento inscindibile dal complesso aziendale, sicché, con l’affitto era stato ceduto il godimento dell’avviamento soggettivo, ossia l’attitudine del complesso aziendale a produrre reddito per il tramite delle doti personali dell’imprenditore cedente; detto avviamento, si legge in sentenza, era destinato ad esaurirsi nel tempo, atteso che per tre anni la figura imprenditoriale è stata diversa, quindi riferibile ai nuovi operatori che hanno con la loro professionalità e capacità di relazioni gestito l’azienda che hanno poi acquistato, essendo stato poi documentato e dimostrato che l’importo convenuto annualmente per l’affitto di azienda era formato dalla quota riferibile all’avviamento, da quella della locazione dell’immobile e dall’uso di altri elementi, quali ad esempio i macchinari; nell’atto di cessione di azienda, si aggiunge in sentenza, i valori correnti erano da esprimere, come effettivamente avvenuto, relativamente a macchinari e rimanenze, atteso che per il fabbricato era stabilito un contratto di locazione e l’avviamento non era più una componente patrimoniale esistente, in quanto tra le parti era stato valutato e remunerato nei tre anni dalla gestione fatta con l’affitto d’azienda; la CTR ha, dunque, escluso di poter condividere la posizione dell’Ufficio, sia per la trasparenza degli accordi sia per l’assenza di elementi probanti a sostegno della pretesa, sicché la mere ipotesi non documentate, restavano mere ipotesi non idonee a contrastare efficacemente la volontà ed i valori espressi e documentati negli atti prodotti.
4. La “Officina meccanica Levante s.n.c. di M. M. & c.” e la I. M.G.F. s.n.c. di M. M. & c. (già “Officina meccanica Levante s.n.c. di M. M. & c.”), si sono costituite nei termini di legge mediante controricorso.
5. All’udienza in camera di consiglio del 18.07.2018, esauritasi la relazione da parte del consigliere designato, il ricorso è stato trattenuto in decisione, non avendo presentato peraltro conclusioni scritte la P.G. presso questa S.C.
Considerato in diritto
6. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso l’Ufficio, pel tramite della difesa Erariale, impugnando la decisione con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
6.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., per insufficiente ed illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene l’Ufficio, la decisione impugnata poggerebbe sul seguente iter logico: “Dal contratto d’affitto di azienda emergeva in modo incontrovertibile la volontà delle parti di cedere il godimento soggettivo dell’avviamento, inteso come attitudine del complesso aziendale a produrre reddito per il tramite delle doti personali dell’imprenditore, ed infatti era stato provato dalle parti che l’importo convenuto annualmente per l’affitto d’azienda era formato anche da una quota riferibile all’avviamento; correttamente, dunque, nel contratto di cessione, il prezzo era stato determinato esclusivamente in base al valore dei macchinari e delle rimanenze, posto che l’avviamento non era più una componente patrimoniale esistente, essendo lo stesso stato remunerato nei tre anni di affitto; in sostanza l’elemento di fatto determinante dal quale la CTR ha tratto la conclusione sarebbe rappresentato dalla presunta prova offerta dai contraenti circa il fatto che nella determinazione del canone d’affitto si sarebbe tenuto conto anche del valore dell’avviamento; tuttavia, osserva la difesa erariale, non soltanto la CTR non avrebbe specificato in alcun modo come sarebbe stato dimostrato e documentato che l’importo del canone di affitto si componeva anche di una quota relativa all’avviamento, ma anzi, tale conclusione risulterebbe palesemente contraddetta dalla clausola del contratto di affitto avente ad oggetto il canone; il riferimento, nel ricorso, al paragrafo 4.1. del contratto, in cui le parti determinavano il canone globalmente, senza alcuna specificazione né della metodologia utilizzata per la quantificazione, ne delle componenti in esso considerate; né, si aggiunge, ulteriori elementi potrebbero desumersi dagli articoli successivi della stessa clausola aventi ad oggetto, rispettivamente al paragrafo 4.2, la previsione di immutabilità del canone per tutta la durata del contratto è, al paragrafo 4.3, le conseguenze del mancato o ritardato pagamento del canone; in definitiva, secondo l’ufficio, la statuizione con la quale i giudici regionali hanno ritenuto provato e documentato quanto asserito dei contribuenti circa i criteri di determinazione del canone d’affitto, non solo sarebbe affetta da motivazione insufficiente, non essendo stata in alcun modo indicata quale fosse la fonte di tale convincimento, ma sarebbe anche palesemente illogica a fronte dell’inequivoco tenore letterale del contratto di affitto; lo stesso vizio si estenderebbe alla statuizione secondo la quale le parti correttamente, al momento della cessione del contratto, non avevano calcolato nella determinazione del prezzo il valore dell’avviamento, non costituendo questo una componente patrimoniale esistente in quanto già remunerato nei tre anni di affitto; orbene, si osserva in ricorso, la mancanza di qualsiasi riscontro documentale su tale punto, renderebbe anche tale conclusione della CTR sprovvista di adeguata motivazione, oltre che illogica rispetto alla clausola contrattuale di cui al paragrafo 4.1.; in mancanza di tale elemento fattuale risulterebbe dunque come la statuizione secondo la quale con il contratto le parti avevano inteso cedere il godimento dell’avviamento, resta frutto di una mera affermazione non supportata da alcuna idonea argomentazione a sostenerla sotto il profilo motivazionale; infine l’ufficio evidenzia come il comportamento dei contribuenti risulterebbe poco trasparente e motivato da un intento elusivo; se infatti la volontà espressa nei contratti di affitto e di cessione di azienda fosse stata effettivamente quella ritenuta dalla CTR, ne sarebbe derivato che con il primo contratto sarebbe stata effettuata una cessione simulata dell’avviamento, con anticipato versamento del relativo prezzo, su cui la parte cedente non avrebbe però provveduto a corrispondere all’Erario quanto dovuto in relazione alla plusvalenza in questo modo realizzata, con conseguente evasione delle relative imposte; ne discende pertanto, secondo l’ufficio, che, seguendo l’impostazione dei giudici regionali, l’Amministrazione finanziaria mai avrebbe potuto considerare il valore dell’avviamento ai fini delle relative imposte, non essendo mai stata formalizzata esplicitamente la volontà di provvedere alla sua cessione.
7. Le società contribuenti, come sopra rappresentate e difese, in sede di controricorso, deducendo sul motivo di ricorso, ne hanno anzitutto chiesto la inammissibilità; sarebbe chiara dal tenore dell’impugnazione la volontà di offrire al giudizio illegittimità una diversa ricostruzione dei fatti, inibita peraltro alla Corte di cassazione, risolvendosi la questione sollevata in una palese pretesa del riesame nel merito della controversia, oltre che delle valutazioni svolte dal giudice di appello; inoltre, il travisamento dei fatti in cui sarebbe incorso il giudice di appello sarebbe stato prospettato dall’ufficio come un mero quadro di riferimento in cui è stato inserito in specifico il motivo di impugnativa fatto valere; si osserva come l’argomento principale di doglianza risulterebbe costituito proprio dalla dedotta simulazione cui avrebbero fatto ricorso le parti contraenti per sottrarsi alla pretesa erariale, simulazione che risulterebbe essere l’architrave della intera linea difensiva dell’ufficio; l’intento elusivo infatti verrebbe prospettato come la ragione giustificativa di fondo dell’impugnazione che, nel tentativo di far apparire le contro ricorrenti al fine di screditarne l’immagine, avrebbe poi inteso ravvisare un saldo fondamento alla richiesta di cassazione della sentenza; diversamente, il giudice di appello ha rilevato che la tesi della macchinazione già in passato avanzata all’Ufficio rimarrebbe sempre una mera ipotesi dunque una congettura, pertanto sfornita del benché minimo suffragio probatorio; sul punto, osservano le controricorrenti, è sufficiente obiettare come la soluzione in concreto accolta dalle contribuenti, ossia l’affitto d’azienda con patto di prelazione avente ad oggetto il suo eventuale successivo acquisto, costituisca una prassi assolutamente comunemente invalsa nel settore, prassi che è data per nota dal legislatore tant’è che fa parte di quelle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza ai sensi dell’articolo 115, co. 2, c.p.c.; non sarebbe nemmeno sostenibile che l’operazione sia stata architettata a costo zero atteso che il valore dell’avviamento, considerato come ricompreso nel corrispettivo dell’affitto, è stato per sempre assoggettato ad Iva, fattore quest’ultimo che, per il principio della alternatività Iva-registro, comporta automaticamente l’inapplicabilità di tale ultima imposta in via proporzionale; in definitiva, da qualsiasi profilo si voglia valutare la censura di una costruzione contrattuale realizzata solo a fini elusivi, semplicemente insinuata ma ben presente nella prospettazione della parte ricorrente, non si potrebbe peraltro non concludere come tale prospettazione non soltanto non regge ad un vaglio anche solo superficiale, ma soprattutto determina l’inammissibilità del ricorso tendendosi ad accreditare con l’impugnazione il travisamento da parte del giudice di appello dei fatti fonte della lite, il che presupporrebbe una richiesta di riesame del merito al giudice di legittimità, ciò che è come noto precluso.
7.1. In sede di controricorso, è stata altresì eccepita l’infondatezza nel medesimo, anzi tutto quanto al profilo della asserita insufficiente motivazione della decisione gravata; premesso che, al fine di dar conto dei criteri cui hanno fatto ricorso i contraenti per calcolare il valore dell’avviamento, gli stessi hanno fatto capo al cosiddetto metodo misto patrimoniale-reddituale con stima autonoma dell’avviamento, soluzione comunemente adottata dalla dottrina specie quando la valutazione dell’avviamento fa capo ad aziende di piccole dimensioni con buona redditività, laddove diversamente l’ufficio avrebbe preteso di applicare il criterio valutativo previsto dal legislatore ai soli fini dell’accertamento con adesione (senza peraltro considerare che si tratta di criterio da utilizzarsi in via residuale, ossia come non sia possibile determinare il valore di avviamento sulla base gli elementi desunti degli studi di settore, dunque sicuramente fuori dal campo di applicazione della normativa di cui al D.l. n. 564 del 1994 tra l’altro abrogato dal decreto legislativo n. 218 del 1997), non potrebbe nemmeno trascurarsi come l’ufficio non avrebbe neppure motivato la propria pretesa omettendo di argomentare a contrasto il criterio valutativo accolto dalle parti contribuenti, ciò che era suo onere fare; ne consegue dunque, che a fronte di due prospettazioni confliggenti, i giudici di appello hanno accolto quella maggiormente argomentata fondata su solide basi non solo dottrinali, e non invece quella dell’ufficio semplicemente affermata e dunque arbitraria ed apodittica, pertanto inapplicabile al caso in esame, atteso che la pretesa dell’amministrazione ha risentito in termini ineluttabili del sospetto di fondo che ha chiaramente finito per inficiarla; in sostanza, l’amministrazione si sarebbe a priori rifiutata di prestar fede alla volontà delle parti malgrado quanto emergente degli atti fosse stato consacrato in atti pubblici registrati e non contestati per eventuali discrepanze con la contabilità societaria e con le situazioni economiche e dei movimenti finanziari dei singoli soci; da qui dunque la inaccettabilità della censura di insufficienza della motivazione, risultando per contro dalla sentenza dettagliatamente scanditi tutti i passaggi logici attraverso i quali si era giunti alla conclusione favorevole ai contribuenti; né varrebbe incontrario obbiettare che la CTR, senza motivo, avrebbe dato credito al fatto che nella determinazione del canone d’affitto le parti hanno tenuto conto anche del valore dell’avviamento; ed invero la tesi accolta dai giudici di appello sarebbe comunque preferibile sulla scorta dell’argomento dirimente derivante dalla stessa esecuzione avuta dagli accordi tra le parti, considerata come noto nell’articolo 1362 del codice civile; né ancora varrebbe all’assunto il richiamo alla clausola del contratto d’affitto avente ad oggetto l’entità del canone pattuito in quanto solo globalmente considerato; sul punto si osserva, il silenzio mantenuto dai contribuenti circa la metodologia utilizzata per la quantificazione riferita all’avviamento, non costituirebbe una lacuna insuperabile ma sarebbe stato comunque oggetto di puntuali chiarimenti in sede d’appello, non rilevando il fatto che le relative delucidazioni siano intervenute in quella sede, ben potendo i contribuenti dimostrare l’infondatezza delle pretese dell’amministrazione anche sulla base di criteri non utilizzati dall’ufficio; la sentenza dunque sarebbe argomentata in stretta aderenza alle evidenze documentali espressamente richiamate e doverosamente interpretate dei giudici anche al fine di ricostruire la volontà reale delle parti con conseguente assolvimento dell’obbligo motivazionale in termini di completezza; ciò si aggiunge, come noto anche in base ad una giurisprudenza di legittimità consolidata, il giudice non deve confutare ogni argomento delle parti indicando solo gli argomenti su cui si fonda il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi quelli incompatibili con la decisione adottata; ne discende, conclusivamente che la censura svolta è incompatibile con il sindacato del giudice di legittimità che non può risolversi nel difforme apprezzamento dei fatti di causa richiamati nella sentenza impugnata.
7.2. Infine, sempre con riferimento al motivo di ricorso, le parti contribuenti ne hanno invocato la infondatezza sotto il profilo della asserita illogicità della motivazione; sul punto, si osserva nel controricorso, la circostanza che nel paragrafo 4.1. del contratto concluso tra le parti non si è fatta espressa menzione del prezzo attribuito all’avviamento, non rende assolutamente illogica la sentenza per il sol fatto che non risulterebbe provato che le parti abbiano realmente inteso cedere anche il godimento dell’avviamento; deve infatti essere richiamato il disposto dell’articolo 1363 del codice civile, di cui i giudici di appello mostrano di aver fatto corretto uso, avendo legato la portata volitiva della clausola nel regolamento contrattuale all’articolo 7, dove la prelazione risultava esercitabile al prezzo di € 140.000 senza contemplare alcun valore di avviamento essendosi esaurito nel corso dell’affittanza stessa; non risulterebbero pertanto elementi atti a censurare la sentenza come illogica, tanto più che risponde proprio alla logica riconoscere al concedente, da parte dell’affittuario, un corrispettivo per l’avviamento aziendale trasmesso dal primo al secondo e correlativamente considerare quel beneficio (l’avviamento) esaurito nel corso degli anni in cui la gestione aziendale è stata affidata agli affittuari.
8. Il ricorso è inammissibile e comunque infondato.
9. La sentenza della CTR non presta il fianco alle censure di vizio motivazionale svolte dall’Ufficio. Ed invero, le censure complessivamente svolte dalla difesa Erariale alla sentenza impugnata, come correttamente rilevato dalle controricorrenti, tentano di offrire al giudizio illegittimità una diversa ricostruzione dei fatti, inibita peraltro a questa Corte, risolvendosi la questione sollevata in una palese pretesa del riesame nel merito della controversia, oltre che delle valutazioni svolte dal giudice di appello. Ed invero, deve qui essere ribadito che il ricorso per cassazione con il quale si facciano valere vizi della motivazione della sentenza deve contenere la precisa indicazione di carenze o di lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato ovvero la specificazione di illogicità, consistente nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Con detto motivo non può invece essere fatto valere il contrasto della ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di merito con il convincimento e con le tesi della parte, poiché, se si opinasse diversamente, il motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. finirebbe per risolversi in una richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al giudice di merito (tra le tante: Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448 – 01).
10. Nel caso in esame, come correttamente dedotto dalle controricorrenti, il presunto travisamento dei fatti in cui sarebbe incorso il giudice di appello sarebbe stato prospettato dall’ufficio come un mero quadro di riferimento in cui è stato inserito in specifico il motivo di impugnativa fatto valere. Ed invero, l’argomento principale di doglianza risulta costituito proprio dalla presunta simulazione cui avrebbero fatto ricorso le parti contraenti per sottrarsi alla pretesa erariale, donde l’intento elusivo è stato prospettato come la ragione giustificativa di fondo dell’impugnazione. Sul punto, il giudice di appello ha adeguatamente confutato la tesi della macchinazione, osservando come la stessa fosse rimasta una mera ipotesi, sfornita di qualsivoglia conforto probatorio. La censura di una costruzione contrattuale realizzata solo a fini elusivi, dunque, è stata solo semplicemente insinuata dall’Ufficio, determinando l’inammissibilità del ricorso, tendendosi ad accreditare con l’impugnazione il travisamento da parte del giudice di appello dei fatti fonte della lite, il che presupporrebbe una richiesta di riesame del merito al giudice di legittimità, ciò che è come noto precluso.
11. Il ricorso è peraltro da ritenersi infondato anche con riferimento agli argomenti sviluppati dalla parte ricorrente sia in termini di insufficienza della motivazione che in termini di asserita illogicità della stessa.
12. Ed infatti, quanto alla asserita insufficienza motivazionale, i giudici di appello non hanno ritenuto fondata la prospettazione delle parti contribuenti senza fornire alcuna motivazione, ma hanno implicitamente disatteso il criterio valutativo previsto dal legislatore ai soli fini dell’accertamento con adesione, criterio – come evidenzia correttamente la parte contribuente – da utilizzarsi in via residuale, ossia ove non sia possibile determinare il valore di avviamento sulla base gli elementi desunti degli studi di settore, dunque sicuramente fuori dal campo di applicazione della normativa di cui al D.l. n. 564 del 1994 tra l’altro abrogato dal decreto legislativo n. 218 del 1997; e, in ogni caso, l’ufficio non risulta aver motivato la propria pretesa, avendo omesso di argomentare a contrasto il criterio valutativo accolto dalle parti contribuenti, come era suo onere fare. Deve, invero, essere ribadito che i criteri per la determinazione del valore degli immobili, fissati dall’art. 2 del regolamento, reso col d.P.R. 31 luglio 1996, n. 460, per l’attuazione dell’accertamento con adesione di cui al d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito in legge 30 novembre 1994, n. 656, hanno la funzione di fornire le indicazioni minime cui l’amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura che conduce a quella definizione degli obblighi tributari, e non costituiscono, pertanto, valido criterio al di fuori di tale tipo di accertamento. Se, infatti, è possibile che l’accertamento con adesione si realizzi per valori superiori a quelli indicati dal detto art. 2 del d.P.R. n. 460 del 1996, è comunque ovvio che il contribuente vi aderisca quando esso si attesti su un importo inferiore a quello che potrebbe legittimamente emergere con autonomo accertamento ordinario e nel successivo contenzioso. Pertanto, se ai detti criteri un qualche rilievo indiziario può essere attribuito, esso è nel senso che il valore effettivo non è inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione, e non nel senso, opposto, che non possa essere superiore ad esso (Sez. 5, Sentenza n. 3505 del 17/02/2006, Rv. 587711 – 01).
In definitiva, i giudici di appello hanno accolto la tesi della parte contribuente, non invece quella dell’ufficio semplicemente affermata e fondata su “mere ipotesi”, dunque arbitraria ed apodittica, pertanto inapplicabile al caso in esame. Emerge palesemente infatti come l’amministrazione si è a priori rifiutata di prestar fede alla volontà delle parti, malgrado quanto emergente degli atti fosse stato consacrato in atti pubblici registrati e non contestati per eventuali discrepanze con la contabilità societaria e con le situazioni economiche e dei movimenti finanziari dei singoli soci. Non può quindi ritenersi fondata la censura di insufficienza della motivazione, risultando per contro dalla sentenza impugnata scanditi tutti i passaggi logici, attraverso i quali si è giunti alla conclusione favorevole ai contribuenti. Analogamente, come ben evidenziato in sede di controricorso, non sarebbe sufficiente obbiettare che la CTR, senza motivo, avrebbe dato credito al fatto che nella determinazione del canone d’affitto le parti hanno tenuto conto anche del valore dell’avviamento. La tesi accolta dai giudici di appello è comunque preferibile sulla scorta dell’argomento dirimente derivante dalla stessa esecuzione avuta dagli accordi tra le parti, considerata come è noto nell’articolo 1362 del codice civile. O, ancora, non potrebbe essere considerato rilevante il richiamo alla clausola del contratto d’affitto avente ad oggetto l’entità del canone pattuito in quanto solo globalmente considerato, atteso che, come ben sottolineato nel controricorso, il silenzio mantenuto dai contribuenti circa la metodologia utilizzata per la quantificazione riferita all’avviamento, non è una lacuna insuperabile, ben potendo i contribuenti dimostrare l’infondatezza delle pretese dell’amministrazione anche sulla base di criteri non utilizzati dall’ufficio.
13. Nessuna “insufficienza motivazionale” è dunque rilevabile nel caso in esame, atteso che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Sez. L, Sentenza n. 2272 del 02/02/2007, Rv. 594690 – 01).
La sentenza è pertanto argomentata in stretta aderenza alle evidenze documentali espressamente richiamate e doverosamente interpretate dei giudici anche al fine di ricostruire la volontà reale delle parti con conseguente assolvimento dell’obbligo motivazionale in termini di completezza.
14. Infine, non è ravvisabile l’asserita illogicità della motivazione.
Il fatto che nel paragrafo 4.1. del contratto concluso tra le parti non si è fatta espressa menzione del prezzo attribuito all’avviamento, non rende assolutamente illogica la sentenza per il sol fatto che non risulterebbe provato che le parti abbiano realmente inteso cedere anche il godimento dell’avviamento.
Deve, a tal proposito, essere ricordato che il motivo di ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della sentenza impugnata a norma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve articolarsi con la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni in cui sia incorso il giudice di merito, ovvero con la specificazione di illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune, od ancora nell’indicazione della mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi dell’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e dell’insanabile contrasto degli stessi. Con detto motivo non può, invece, farsi valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al convincimento della parte ed in particolare non può proporsi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisti, poiché tali aspetti di giudizio, essendo interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, di modo che sono estranei al suddetto motivo di ricorso, che altrimenti si risolverebbe in una istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito (Sez. 2, Sentenza n. 11121 del 06/10/1999, Rv. 530486 – 01).
Orbene, sotto tale profilo, correttamente i controricorrenti hanno richiamato il disposto dell’articolo 1363 del codice civile, di cui i giudici di appello mostrano di aver fatto corretto uso, avendo legato la portata volitiva della clausola nel regolamento contrattuale all’articolo 7, dove la prelazione risultava esercitabile al prezzo di € 140.000 senza contemplare alcun valore di avviamento essendosi esaurito nel corso dell’affittanza stessa. A fronte di tale apparato argomentativo, non emergono elementi atti a censurare la sentenza come illogica, tanto più che – come correttamente evidenziato dalle parti controricorrenti – risponde proprio alla logica riconoscere al concedente, da parte dell’affittuario, un corrispettivo per l’avviamento aziendale trasmesso dal primo al secondo e correlativamente considerare quel beneficio (l’avviamento) esaurito nel corso degli anni in cui la gestione aziendale è stata affidata agli affittuari.
15. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, il ricorso dell’Ufficio dev’essere respinto, con conseguente integrale conferma dell’impugnata sentenza.
16. Alla soccombenza nel giudizio di legittimità deve, invece, seguire la condanna dell’Amministrazione finanziaria al pagamento delle spese di giudizio che vengono liquidate come da dispositivo in misura media, in base ai parametri disciplinati dal DM 55/2014, recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247”, complessivamente in € 4.000,00 per compensi in ragione del valore della causa (scaglione da € 26.001 a 52.000), oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna l’Ufficio al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 4.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
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