CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 ottobre 2018, n. 24074
Tributi – Accertamento – Procedimento – Contenzioso tributario – Eccezione di decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio del potere impositivo – Natura – Eccezione in senso stretto – Conseguenze
Motivi in fatto
L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione, formulando tre motivi, nei confronti di B.S. avverso la sentenza della CTR della Sicilia n.237/18/10 depositata il 28.7.2010 emessa in controversia concernente impugnazione di un avviso di accertamento operato sulla scorta di un pvc della Guardia di Finanza con cui l’ufficio determinava maggior reddito ai fini Irpef, Irap e Iva per l’anno di imposta 2001, derivante da fatture per operazioni inesistenti.
La C.T.R. Sicilia accoglieva l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza di primo grado (che aveva rigettato il ricorso introduttivo) sul presupposto che l’ufficio fosse decaduto dal potere impositivo non potendo avvalersi della proroga prevista dall’art. 10 della legge 289/2002 e che l’eccezione di decadenza fosse proponibile in ogni stato e grado del giudizio nonché rilevabile d’ufficio.
Resiste il contribuente con controricorso
Ritenuto in diritto
1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.
La sentenza della CTR si è pronunciata solo sull’eccezione di decadenza del contribuente, soccombente in primo grado e non ha esaminato gli altri motivi di impugnazione.
In particolare non è stata emessa alcuna statuizione sul merito della pretesa impositiva, sicchè nessun giudicato interno si è formato.
2. Col primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2969 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per avere ritenuto la CTR che l’eccezione di decadenza dal potere impositivo dell’Ufficio fosse rilevabile in ogni stato e grado del giudizio ed anche d’ufficio, con consequenziale conclusione in favore della non tardività dell’eccezione proposta da parte del contribuente.
3. Col secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce violazione dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c. avendo il giudice deciso su una questione non rilevabile d’ufficio – l’eccezione di decadenza – tardivamente proposta.
4.1 motivi possono essere trattati congiuntamente.
Le censure sono fondate.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte la decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio di un potere nei confronti del contribuente, in quanto stabilita in favore e nell’interesse esclusivo di quest’ultimo in materia di diritti da esso disponibili, configura un’eccezione in senso proprio che, in sede giudiziale, deve essere dedotta dal contribuente, non potendo essere rilevata d’ufficio dal giudice (v. tra le altre cass. n. 18019 del 2007).
Nella specie è incontestato che l’eccezione di decadenza non sia stata formulata dal ricorrente nel ricorso introduttivo ma in una memoria integrativa.
La decadenza dell’Amministrazione dal potere di accertamento, non rilevabile d’ufficio in quanto rimessa alla disponibilità della parte, non può essere eccepita dal contribuente mediante la presentazione di motivi aggiunti, in quanto l’integrazione dei motivi di ricorso è consentita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e, siccome tale ultima disposizione pone una preclusione processuale, non può essere ricollegato alcun effetto sanante al comportamento dell’Amministrazione di accettazione del contraddittorio nel merito. (Cass. 16803/2017; Cass. 12442/2011).
5. Con il terzo motivo l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge 289/2002 nonché degli artt. 9 e 15 della medesima legge ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c. per avere la CTR ritenuto che la proroga biennale non si applicasse all’ufficio in quanto al contribuente era stato notificato il processo verbale di constatazione che gli aveva precluso l’accesso al condono.
La censura è fondata
6. La l. n. 289 del 2002, art. 10, comma 1, sotto la rubrica “proroga di termini” prevede che “per i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni recate dagli artt. da 7 a 9 della presente legge, in deroga alle disposizioni della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 3 i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e successive modificazioni, e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 e successive modificazioni, sono prorogati di due anni”. Questa Corte, occupandosi della questione se la proroga decretata dall’art. 10 si applichi o meno ai contribuenti, a cui in base ai pregressi art. 7 e 9 sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo ovvero avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto ovvero dell’imposta regionale sulle attività produttive, nonché invito al contraddittorio di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5, relativamente ai quali non è stata perfezionata la definizione ai sensi degli artt. 15 e 16, ha già avuto modo di statuire che “in tema di condono fiscale, la proroga biennale dei termini di accertamento, accordata agli uffici finanziari dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 10, opera, «in assenza di deroghe contenute nella legge» sia nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi delle disposizioni di favore di cui alla suddetta legge, pur avendovi astrattamente diritto, sia nel caso in cui non abbia potuto farlo, perché raggiunto da un avviso di accertamento notificatogli prima dell’entrata in vigore della legge” (Cass. 1007/2018; 3782/16; 16613/15; 22921/14).
6. E’ dunque inconfutabile l’errore di diritto in cui è incorso il decidente d’appello allorché ha ritenuto inapplicabile nella specie la proroga dei termini di accertamento disposta dall’art. 10 I. 289/02 in ragione della pregressa notificazione di un processo verbale di constatatazione che avrebbe precluso alla parte di avvalersi delle disposizioni agevolative previste dalla medesima legge 289/02.
Alla luce dei principi sopra ricordati e che qui si intende riaffermare, le doglianze sollevate dalla difesa erariale sono fondate, di talché la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice competente che dovrà riesaminare il merito della controversia tenendo in considerazione i principi sopra ricordati e provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e per l’effetto annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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