CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 ottobre 2018, n. 24116
Licenziamento per giusta causa – Malattia – Svolgimento attività inconciliabili con tale stato
Premesso
che con sentenza n. 70/2016, depositata il 23 settembre 2016, la Corte di appello di Trento ha respinto il reclamo di D.I. S.r.l. e confermato la sentenza, con la quale il Tribunale di Rovereto, pronunciando a seguito di opposizione della società e confermando l’ordinanza emessa nella fase di urgenza, aveva accertato, con le pronunce conseguenti, la illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato a S.P., con lettera del 29/9/2014, per avere il lavoratore svolto, in periodo di malattia, attività inconciliabili con la sussistenza di tale stato;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.I. S.r.l. con otto motivi, assistiti da memoria, cui il lavoratore ha resistito con controricorso;
Rilevato
che con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 1, commi 51-57, I. n. 92/2012, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte, pur a fronte del diritto costituzionale alla prova nell’ambito di un procedimento a cognizione piena, trascurato la richiesta di rinnovazione o di supplemento della consulenza d’ufficio disposta nella fase sommaria del procedimento;
– che con il secondo, deducendo la violazione degli artt. 2014- 2106, 2110, 2119, 2697, 2729 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto illegittimo il licenziamento nonostante il lavoratore, che ne era gravato, non avesse assolto l’onere della prova circa la compatibilità dell’attività svolta con lo stato di malattia e nonostante la comprovata inesistenza della malattia denunciata;
– che con il terzo, deducendo la violazione degli artt. 111, comma 2, Cost., 2104- 2106, 2110, 2119 cod. civ., 101, 115, 116, 194 e 195 cod. proc. civ., nonché 90 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto illegittimo il licenziamento senza considerare il fatto che la condotta posta in essere dal lavoratore era stata imprudente e, in ogni caso, tale da pregiudicare o ritardare la guarigione, alla stregua di una valutazione da compiersi ex ante e sotto un profilo meramente potenziale; con il medesimo motivo censura inoltre la sentenza per non avere considerato la lacunosità e la contraddittorietà della consulenza medico-legale con riferimento al ritardo o al pregiudizio per la guarigione e per avere altresì affermato che l’acquisizione di un documento proveniente dal medico curante del lavoratore, in violazione peraltro del principio del contraddittorio, non aveva arrecato alcun pregiudizio alla difesa del datore di lavoro;
– che con il quarto motivo, deducendo la violazione degli artt. 191, 194 e 195 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto corretta la decisione del consulente d’ufficio di non tenere in considerazione le testimonianze acquisite, nonostante che il giudice di primo grado, nel formulare il quesito, avesse chiesto esplicitamente un accertamento “letti gli atti e i documenti di causa”, nella nozione di atti processuali essendo compresi i verbali contenenti le dichiarazioni dei testi escussi;
– che con il quinto, deducendo la violazione degli artt. 2110 cod. civ. e 41 del d.lgs. n. 81/2008, in relazione all’art. 360 n. 3, la ricorrente censura la sentenza per non avere la Corte di appello fatto applicazione del principio di diritto, secondo il quale il lavoratore è tenuto ad offrire al proprio datore la prestazione di lavoro parziale a cui sarebbe potuto risultare idoneo, prima di svolgere analoga o anche più gravosa attività per suo conto;
– che con il sesto, deducendo la violazione dell’art. 196 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3, la ricorrente censura la sentenza per avere deciso sulla base di una consulenza tecnica lacunosa e contraddittoria, che, quindi, doveva necessariamente essere rinnovata o integrata;
– che con il settimo, deducendo la violazione dell’art. 195 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 4, la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto non necessario che il consulente d’ufficio prendesse posizione sulle specifiche e circostanziate osservazioni dei consulenti della società, riducendo la motivazione sul punto ad una mera e apodittica clausola di stile;
– che con l’ottavo, deducendo la violazione dell’art. 18 I. n. 300/1970 in relazione all’art. 360 n. 3, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che la media degli straordinari dovesse essere inclusa nel conteggio per la determinazione della misura mensile della retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore licenziato;
Osservato
che il primo e il sesto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per sostanziale identità delle censure proposte, sono infondati, posto che – come più volte affermato da questa Corte – il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronuncia sul punto (cfr., fra le altre, Cass. n. 22799/2017);
– che il secondo e il terzo motivo risultano inammissibili, in quanto, pur denunciando entrambi il vizio di cui all’art. 360 n. 3, non contengono – nell’inosservanza dell’art. 366, comma 1°, n. 4 cod. proc. civ. – la specifica indicazione delle affermazioni in diritto della sentenza impugnata che motivatamente si reputano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione che di esse è stata fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da non consentire alla Corte di cassazione di adempiere il proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della violazione denunciata (cfr., fra le molte, Cass. n. 3010/2012);
– che, in realtà, i motivi in esame si risolvono nella inammissibile sollecitazione ad una rilettura e ad una nuova valutazione delle risultanze probatorie, difforme da quella della sentenza impugnata, là dove la Corte di merito, con ampia e articolata motivazione, ha ritenuto dimostrato lo stato di malattia del lavoratore (cfr. pp. 20-23) ed escluso che le modeste e sporadiche attività desumibili dai filmati dell’agenzia di investigazioni, ad essi avendo ristretto il materiale di prova utile ai fini della decisione per l’inattendibilità dei testi del datore di lavoro, potessero avere avuto effetti sul processo di guarigione dalla malattia diagnosticata (cfr. pp. 27-29);
– che i motivi quarto, quinto e settimo risultano anch’essi inammissibili e in particolare: il quarto, per difetto di autosufficienza, poiché non riporta le dichiarazioni testimoniali non considerate dal consulente d’ufficio e che, secondo l’assunto della ricorrente, avrebbero condotto ad un diverso esito del giudizio, fermo restando che si tratta delle deposizioni dei testimoni che la Corte, nell’esercizio delle prerogative proprie del giudice di merito, ha valutato come inattendibili (pp. 25-26); il quinto, in quanto non si confronta con la specifica ragione posta dalla Corte di appello a fondamento del rigetto del corrispondente motivo di gravame (p. 33), così da essere privo di riferibilità alla decisione impugnata; il settimo, poiché la ricorrente non indica quali affermazioni in diritto contenute in sentenza giustificherebbero la censura che con il motivo in esame le viene rivolta, così da risultare anch’esso carente di specifica riferibilità alla decisione impugnata, dovendosi comunque rilevare che la Corte non si è limitata all’affermazione di p. 35, secondo cui il c.t.u. “ha spiegato con chiarezza e coerenza logica le proprie difformi conclusioni” (rispetto a quelle del consulente di parte della società) “indicando i criteri medico-legali di efficienza causale applicati”, ma tali conclusioni ha in dettaglio esaminato in altra parte della sentenza, confrontandole con quelle del consulente di parte (pp. 29-30) e chiarendo, con adeguata motivazione, come dall’acquisizione della relazione del medico curante del lavoratore non fosse derivato – diversamente da quanto dedotto nell’ambito del terzo motivo di ricorso – alcun pregiudizio al diritto di difesa di D.I. e al contraddittorio fra le parti (pp. 30-31);
– che, infine, l’ottavo motivo è infondato, essendosi la Corte uniformata al consolidato orientamento, secondo il quale l’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 l. n. 300/1970 deve essere liquidata in riferimento alla retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore al tempo del licenziamento, comprendendo nel relativo parametro di computo non soltanto la retribuzione base, ma anche ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento (con esclusione, quindi, dei soli emolumenti eventuali, occasionali od eccezionali), in quanto altrimenti verrebbero ad essere addossate al lavoratore le conseguenze negative di un illecito altrui (Cass. n. 19956/2009): previo avvenuto accertamento da parte della Corte di merito – non oggetto di censura con il motivo in esame – del fatto che il lavoratore aveva costantemente percepito emolumenti per lavoro straordinario (p. 35);
Ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
– che di esse va disposta la distrazione ex art. 93 cod. proc. civ. in favore dell’avv. D.R., come da sua dichiarazione e richiesta
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, somma di cui dispone la distrazione in favore dell’avv. D.R..
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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