CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 ottobre 2022, n. 28575
Lavoro – CCNL Turismo Pubblici Esercizi – Differenze retributive – Insussistenza – Impugnativa di pronuncia doppia conforme – Rigetto
Rilevato che
Con sentenza dell’ 1 ottobre 2021, la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da A.A.F.H. avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato la domanda da lui formulata nei confronti della D.R.M. & F. s.r.l., volta ad ottenere l’accertamento del proprio diritto all’inquadramento nel IV livello del CCNL Turismo Pubblici Esercizi, superiore al V formalmente attribuitogli, per l’attività di cameriere svolta dal gennaio 2011 al 4 settembre 2016, con conseguente condanna della società alla corresponsione della somma di euro 50.419,86 per differenze retributive;
in particolare, la Corte, condividendo l’iter argomentativo del primo giudice, ha escluso che fosse stata raggiunta la prova circa le prestazioni di lavoro straordinario di cui si chiedeva e, quanto alla formulata richiesta di: scatti di anzianità, quattordicesima mensilità del 2012/2013, indennità di ferie del 2011, 2013 e 2014, festività soppresse e lavoro domenicale, ne ha ritenuto la novità;
avverso tale pronunzia propone ricorso A.A.F.H., affidandolo a due motivi;
resiste, con controricorso, la D.R.M. & F. s.r.l.
Considerato che
Premessa la asserita ammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 348 cod. proc. civ. (erroneamente rubricata quale primo motivo di ricorso), con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 cod. proc. civ. per errata interpretazione della domanda avente ad oggetto le differenze retributive per scatti di anzianità;
con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 2697 cod. civ. circa il pagamento della 14ma mensilità;
– i due motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico — sistematiche, oltre ad essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine, da un lato, alla ritenuta novità della domanda relativa agli scatti di anzianità, dall’altro all’assenza in primo grado della domanda relativa alla quattordicesima;
va preliminarmente rilevato che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis, è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod.proc.civ., in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate “Per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, ma anche a quella di cui all’art. 348 ter,ult. co. cod. proc. civ., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cessazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d, doppia conforme (v. sul punto, Cass, n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014);
quindi, non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità tutte quelle censure che attengono alla ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici di merito e che lamentano una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo della critica alla valutazione giudiziale delle risultanze di causa, sia perché formulate in modo difforme rispetto ai principi enunciati da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, che ha rigorosamente interpretato il novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. limitando la scrutinabilità al c.d. “minimo costituzionale”, sia nella parte in cui quanto attingono questioni di fatto in cui la sentenza di appello ha confermato la pronuncia di primo grado;
relativamente, poi, alla denunziata violazione dell’art. 2697 cod. civ., va osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plulimis, Cass. n. 18092 del 2020) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in particolar modo in quanto, pur veicolando parte ricorrente la censura per il tramite della violazione di legge, essa, in realtà mira ad ottenere una rivisitazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità;
deve, quindi, osservarsi, quanto alle censure prospettate, che l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass. 342/2021);
nella specie, la Corte ha negato che fosse stata avanzata la domanda relativa agli scatti di anzianità, che ha correttamente qualificato come nuova, né può accedersi alla tesi di parte ricorrente, secondo cui la richiesta stessa sarebbe stata desumibile dal contesto complessivo della della domanda, che peraltro, non è trascritta nelle sue parti salienti;
quanto alla quattordicesima, in difetto di allegazioni di segno contrario, la produzione da parte dello stesso ricorrente della busta paga asseverante l’intervenuta corresponsione della relativa indennità è stata correttamente ritenuta rilevante dalla Corte reputandosi al contrario priva di rilievo la mancata sottoscrizione della busta paga stessa e non essendo stato addotto alcun elemento di prova di segno contrario;
alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve, quindi, essere respinto;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dì cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5000,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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