CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 settembre 2018, n. 21572
Pagamento dell’indennità di malattia – Esonero dell’INPS – Insussistenza dell’obbligo datoriale al versamento della relativa quota contributiva
Rilevato che
1. con sentenza in data 5 aprile 2012, la Corte di Appello di Roma, per quanto in questa sede rileva, ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato non dovuto il credito di cui alle cartelle di pagamento opposte dalle s.p.a. E. Distribuzione, E. Produzione, E. Trade, E.Si Servizi Integrati, con le quali era stato richiesto il pagamento di contributi per indennità di maternità;
2. per la Corte capitolina l’art. 6 della legge n. 138 del 1943, che esonera l’I.N.P.S. dal pagamento dell’indennità di malattia quando il datore di lavoro è tenuto, in base a contratto collettivo, a corrispondere la retribuzione durante la malattia del dipendente, era applicabile anche all’indennità di maternità, con la conseguenza che all’esonero dell’INPS dall’erogazione faceva riscontro l’insussistenza dell’obbligo datoriale al versamento della relativa quota contributiva,
3. avverso tale sentenza l’INPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a., ha proposto ricorso affidato ad un motivo, al quale hanno opposto difese le s.p.a. E. Distribuzione, E. Produzione, E. Trade, E.Si Servizi Integrati, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria; Equitalia Nord s.p.a. è rimasta intimata.
Considerato che
4. con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 20, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 2008), degli artt. 22, comma 2 e 79 del decreto legislativo n. 151 del 2001 e 6 della legge n.143 del 1938 e dell’art. 1, comma 1 del d.P.R. n. 145 del 1965, per avere la Corte di merito ritenuto che la prima delle due disposizioni citate, nell’interpretare autenticamente l’art. 6 cit. ha previsto che «i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo», si applicasse anche ai trattamenti e ai contributi per maternità, con la conseguenza che, avendo il successivo comma 2, lett. a), dell’art. 20 cit. previsto l’obbligo per «le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto» di versare «la contribuzione per maternità» soltanto «a decorrere dal 1° gennaio 2009», nessuna contribuzione a tale titolo poteva l’INPS richiedere per il periodo precedente;
5. ritiene il Collegio si debba accogliere il ricorso;
6. con numerose decisioni questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le società che derivano la loro genesi dal processo di trasformazione dell’E., sono obbligate al pagamento della contribuzione per maternità anche per il periodo anteriore al 1° gennaio 2009, nonostante il versamento diretto del trattamento dovuto alle lavoratrici madri, non essendo estensibile a tali contributi l’esonero previsto dall’art. 20, d.l. n. 112 del 2008 (conv. in legge n. 133 del 2008), con riferimento ai contributi per malattia, in favore dei datori di lavoro che abbiano corrisposto direttamente ai lavoratori la relativa indennità (cfr., fra le tante, Cass. n. 15394 del 2017 e numerose successive conformi; da ultimo Cass. 10 aprile 2018, n.8861);
7. le richiamate decisioni hanno sottolineato che l’obbligo, per tali società, di corrispondere ai propri dipendenti il trattamento di maternità discende dai contratti collettivi, e non già dall’art. 1, d.P.R. n. 145 del 1965, disposizione ormai priva di efficacia diretta, in quanto legata all’esistenza dell’ente pubblico economico denominato E.N.E.L., venuto meno a seguito della trasformazione in società per azioni, per effetto del d.l. n. 333 del 1992, e poi ulteriormente scomposto in più società a seguito della liberalizzazione del mercato elettrico, realizzata dalla legge delega n. 128 del 1999 e dal successivo decreto legislativo n. 79 del 1999, conformemente agli obblighi derivanti dalla direttiva 96/92/CE;
8. il principio che informa la materia degli obblighi contributivi delle società partecipate da enti pubblici si compendia nell’affermazione secondo cui nessuna deroga all’ordinaria obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali può discendere dalla origine di tali soggetti, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (in tal senso cfr. Cass. n. 8591 del 2017; Cass. n. 4274 del 2016; Cass. n. 27213 del 2013);
9. sulla scorta di Cass., Sez.U., n. 10232 del 2003 e di Corte cost. n. 47 del 2008, va riaffermato che il fondamento della previdenza sociale sta nel principio di solidarietà e che il concetto di sinallagma, inteso quale equilibrio di obbligazioni corrispettive, risulta insufficiente alla rappresentazione del sistema previdenziale, accompagnandosi all’apporto contributivo delle categorie interessate il costante intervento finanziario dello Stato e quindi della solidarietà generale, con la conseguenza che, non esistendo tra prestazioni e contributi un nesso di reciproca giustificazione causale e ben potendo dunque persistere l’obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro anche quando per tutti o per alcuni dei lavoratori dipendenti l’ente previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni, il rinvio ai criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per le malattie, contenuto nell’art. 15, legge n. 1204 del 1971, in tema di corresponsione dell’indennità di maternità, non consente di per sé di estendere ai contributi per la maternità l’esonero dall’obbligo contributivo previsto per i datori di lavoro tenuti a versare l’indennità di malattia;
10. dalle decisioni appena richiamate è dato ricavare un principio di generale relativo alla natura sostanzialmente impositiva della contribuzione previdenziale pubblica ed all’assenza di una stretta correlazione tra obbligo contributivo e prestazione alla stessa sottese;
11. l’individuazione delle previsioni contrattuali collettive quali fonti esclusive dell’obbligo di corresponsione dell’indennità di maternità da parte della società controricorrente assolve al compito di giustificare la persistenza di tale obbligazione a seguito del venir meno dell’efficacia precettiva del disposto dell’art. 1, d.P.R. n. 145 del 1965 e, trattandosi di obbligazione di fonte collettiva, e non più legale, il suo adempimento non può logicamente essere invocato al fine di garantire l’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali relativi all’indennità di maternità;
12. neanche si appalesano dubbi di legittimità costituzionale per una pretesa disparità di trattamento tra le società derivate dalla trasformazione dall’ente pubblico e quelle generatesi dallo scorporo delle prime, posto che l’efficacia precettiva dell’art. 1, d.P.R. n. 145 del 1965 deve ritenersi venuta meno a seguito della trasformazione dell’E. in società per azioni;
13. nessun indizio può trarsi, dall’art. 20, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, cit., in ordine alla volontà del legislatore di assoggettare le società rivenienti dal processo di trasformazione dell’E. al pagamento dei contributi per maternità solo a far data dal Io gennaio 2009, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata: tale obbligo, infatti, doveva ritenersi immanente al sistema in ragione dei rilievi di ordine sistematico dianzi enunciati, restando naturalmente salva la facoltà del legislatore di renderlo manifesto attraverso un’apposita disposizione di legge a carattere meramente ricognitivo(cfr. in tal senso, tra le tante, Corte cost. nn. 230 del 2016, 346 del 2010, 401 del 2007);
14. argomenti contrari neanche possono trarsi dall’art. 3, comma 2, della legge n. 218 del 1990, che, oltre i diritti quesiti, ha fatto salvi «gli effetti di leggi speciali e quelli rinvenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza», giacché tale disposizione, originariamente introdotta per i dipendenti degli enti creditizi e successivamente estesa anche ai dipendenti dell’E. in virtù del d.l. n. 198 del 1993, si riferisce espressamente ed esclusivamente alle situazioni giuridiche dei dipendenti degli enti pubblici oggetto di trasformazione in soggetti di diritto privato e non può in alcun modo costituire la base normativa per attribuire situazioni di vantaggio in favore dei loro datori di lavoro;
15. la sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto enunciati, provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
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