CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 settembre 2021, n. 23881
Cessione d’azienda con accollo dei debiti da parte del cessionario – Prova del credito vantato da un terzo nei confronti del cedente – Mancata sottoscrizione dei libri contabili obbligatori da parte del cedente dell’azienda – Irrilevanza – Trasmissione del debito al cessionario accollante
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza n. 617/2011 il Tribunale di Avellino, decidendo sulla domanda proposta da F. V. nei confronti di D.G. M. e A. C. – diretta ad ottenere la condanna al pagamento della somma di lire 15.000.000, per l’esercizio dell’attività professionale di tenuta della contabilità e della redazione di bilanci ed attività connesse per gli anni dal 1993 al 1996 svolta in favore dell’A., titolare dell’omonima azienda commerciale poi ceduta alla D.G., con l’accollo dei relativi debiti -, l’accoglieva, condannando le convenute, in solido, al pagamento dell’importo di euro 7.230,40, oltre interessi legali dalla domanda.
2. Pronunciando sull’appello formulato dalla D.G. M. e nella costituzione del solo appellato F. V., la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 741/2016 (pubblicata il 24 febbraio 2016), previa dichiarazione della contumacia di A. C., accoglieva il gravame e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava la domanda iniziale proposta dal F., lo condannava al pagamento delle spese del doppio grado ed ordinava allo stesso la restituzione di quanto eventualmente corrisposto all’appellante in esecuzione della sentenza di prime cure.
A fondamento dell’adottata decisione la Corte partenopea riteneva non provata la ragione di credito del F. atteso che la mancata sottoscrizione del libro inventari da parte dell’A., rendendo inesistente il documento, aveva determinato la compromissione della possibilità di considerare le relative risultanze quale elemento costitutivo fondante la responsabilità dell’acquirente dell’azienda D.G..
3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, F. V.. Nessuna delle parti intimate ha svolto attività difensiva in questa sede.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione degli artt. 112, 342 e 346 c.p.c., sul presupposto che l’appello non conteneva alcuna censura circa l’inefficacia, per gli effetti di cui all’art. 2560 c.c., del libro degli inventari per omessa sottoscrizione da parte della cedente, che, invece, la Corte di appello aveva ritenuto sussistente, dal momento che nel gravame si poneva riferimento ad un’annotazione in coda al bilancio con richiamo “dell’allegato A del libro mastro debiti non firmato né siglato”.
Pertanto, l’impugnata sentenza avrebbe dovuto considerarsi esorbitante dai limiti di quanto devoluto con l’appello, così incorrendo nella violazione del citato art. 112 c.p.c., in base al rilievo che, con il gravame, era stato dedotto che il libro mastro debiti e gli allegati erano inefficaci per omessa sottoscrizione, nel mentre il giudice di secondo grado aveva esaminato un diverso documento – l’inventario – ed aveva d’ufficio escluso il suo valore probatorio per gli effetti di cui all’art. 2560, comma 2, c.c., perché difettante di sottoscrizione, la quale, però, era stata apposta nella pagina non depositata, immediatamente successiva a quella dove era richiamato il bilancio al 31 dicembre 2006 e nella quale era riportato il conto profitti e perdite che chiudeva il bilancio stesso.
2. Con la seconda censura il ricorrente deduce – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione dell’art. 2560, comma 2, c.c., sostenendo che, poiché lo scopo di detta norma è quello di dare comunicazione al cessionario delle passività inerenti all’azienda acquistata, al fine di fargli conoscere di quali debiti egli possa rispondere solidalmente con l’alienante, anche le risultanze del solo libro giornale, che è uno dei libri contabili obbligatori, assolvono a tale scopo, per cui ricorre anche in questo caso l’ipotesi contemplata dalla medesima norma, configurandosi tale iscrizione sul libro giornale come elemento costitutivo sufficiente della responsabilità dell’acquirente.
3. Con la terza ed ultima doglianza il ricorrente ha prospettato – sempre con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione degli artt. 2717 e 2709 c.c., sostenendo che la mancata sottoscrizione dell’inventario da parte dell’imprenditore non impedisce che esso possa far prova contro l’imprenditore che doveva sottoscriverlo. Da ciò sarebbe dovuta conseguire l’erroneità dell’impugnata sentenza laddove la Corte di appello, essendosi limitata ad esaminare il libro degli inventari, giudicandolo inopponibile all’imprenditore perché non sottoscritto, aveva inteso avvalersi della sola annotazione del credito verso esso ricorrente contenuta nell’inventario, trascurando di considerare che lo stesso credito era annotato sul libro giornale. In tal modo si sarebbe venuta a verificare la violazione dell’art. 2709 c.c., perché, per accogliere l’appello e rigettare la sua domanda originaria contro l’imprenditore, era stato scisso il contenuto delle risultanze dei libri contabili obbligatori.
4. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, perciò, essere respinto.
Diversamente da quanto con esso denunciato, la Corte partenopea non è incorsa nelle dedotte violazioni processuali, poiché la stessa si è proprio pronunciata sul motivo di gravame relativo alla mancata sottoscrizione dei libri contabili obbligatori, ravvisando l’erroneità del convincimento raggiunto dal primo giudice sull’allegato A del libro mastro debiti, la cui tenuta non era giustificata dalle dimensioni dell’azienda e che, invece, la documentazione prodotta era risultata priva di sottoscrizione sia della cedente che dell’acquirente. Al riguardo, la Corte di secondo grado ha ritenuto, con una motivazione assorbente con riferimento alla ravvisata fondatezza del proposto primo motivo di appello, che “a monte” veniva in rilievo la circostanza che il debito controverso risultava apposto in chiusura del libro degli inventari per l’anno 1996, il quale, tuttavia, non recava la firma dell’A. (senza che, a tal fine, possa avere rilevanza il fatto – dedotto dal ricorrente – che l’inventario era stato sottoscritto in una pagina non depositata, poiché la relativa circostanza non faceva parte del “thema disputandum”).
5. Ad avviso del collegio sono, invece, fondati il secondo e terzo motivo. In primo luogo non può ritenersi conforme a diritto l’affermazione, contenuta nell’impugnata sentenza, che la mancata sottoscrizione del libro inventari da parte dell’A. (cedente dell’azienda) rendeva inesistente il documento, compromettendo la possibilità di considerare le relative risultanze quale elemento costitutivo sul quale si basava la responsabilità dell’acquirente (cessionaria).
Infatti, ad avviso della condivisibile più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 32134/2019), la sottoscrizione delle scritture contabili obbligatorie nel caso disciplinato dall’art. 2560, comma 2, c.c. non si pone come requisito costitutivo, potendo essere sufficiente la sola annotazione dei debiti in dette scritture (eventualmente corroborata da altri riscontri) al fine dell’assunzione della responsabilità da parte dell’azienda cessionaria nei confronti dei terzi creditori.
In altri termini, e a tale principio di diritto dovrà conformarsi il giudice di rinvio, la mancata sottoscrizione dei libri contabili obbligatori da parte del cedente dell’azienda non è impeditiva del riconoscimento del credito vantato da un terzo nei confronti di detto cedente, il cui debito si trasmette al cessionario accollante, potendo detto credito essere provato anche attraverso altri riscontri e pure mediante presunzioni. Solo l’iscrizione nei libri contabili obbligatori dell’azienda è propriamente un elemento costitutivo essenziale della responsabilità dell’acquirente dell’azienda per i debiti ad essa inerenti (cfr. Cass. n. 22418/2017). E’ stato, in proposito, precisato (v. Cass. n. 23828/2012) che, in tema di cessione d’azienda, la disposizione di cui all’art. 2560, secondo comma, c.c., secondo cui l’acquirente risponde dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta soltanto se essi risultino dai libri contabili, è dettata non solo dall’esigenza di tutelare í terzi creditori, già contraenti con l’impresa e, peraltro, sufficientemente garantiti pure dalla norma di cui al primo comma del medesimo art. 2560 c.c., ma anche da quella di consentire al cessionario di acquisire adeguata e specifica cognizione dei debiti assunti, specificità che va esclusa nell’ipotesi in cui i dati riportati nelle scritture contabili siano parziali e carenti nell’indicazione del soggetto titolare del credito, non potendosi in alcun modo integrare un’annotazione generica delle operazioni mediante ricorso ad elementi esterni di riscontro. Sotto altro profilo – avuto riguardo alla censura formulata con il terzo motivo – va pure evidenziato che la mancata sottoscrizione dell’inventario da parte dell’imprenditore non impedisce che l’inventario, per quel che rileva nella controversia in questione, possa far prova contro l’imprenditore stesso che avrebbe dovuto sottoscriverlo.
Innanzitutto, sul piano generale, è pacifico che le disposizioni degli artt. 2709 e 2710 c.c., le quali regolano l’efficacia probatoria delle scritture contabili contro l’imprenditore e nei rapporti tra imprenditori, non precludono al giudice la possibilità di trarre dai libri contabili di una delle parti, regolarmente tenuti, elementi indiziari atti a concretare, in concorso con altre risultanze, una valida prova per presunzione anche a favore dell’imprenditore che i libri stessi ha prodotto in giudizio (cfr. Cass. n. 11912/2009 e Cass. n. 9968/2016). In particolare, poi, è stato precisato che, ai sensi dell’art. 2709 c.c., i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione costituiscono prova contro l’imprenditore, ma la parte che intenda trarne vantaggio non può scinderne il contenuto, dovendo le scritture stesse, una volta indicate ed esibite, essere valutate nella loro interezza, quale che sia la parte a cui favore o a cui carico depongono (cfr. Cass. n. 26874/2018). Pure a questo ulteriore principio giuridico dovrà conformarsi il giudice di rinvio.
Da ciò consegue che, essendosi la Corte di appello limitata ad esaminare il libro degli inventari, ritenendolo inopponibile all’imprenditore perché non sottoscritto, ha inteso valorizzare la sola annotazione del credito verso il ricorrente contenuta nell’inventario, trascurando di considerare che lo stesso credito era anche annotato sul libro giornale. In tal modo si è venuta a configurare la dedotta violazione dell’art. 2709 c.c., perché, per pervenire all’accoglimento dell’appello e rigettare la domanda contro l’imprenditore, era stato scisso il contenuto delle risultanze dei libri contabili obbligatori.
6. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, respinto il primo, devono essere accolti il secondo e terzo motivo del ricorso, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza in relazione alle censure ritenute fondate ed il derivante rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli, che, oltre a conformarsi agli enunciati principi di diritto, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.