CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 settembre 2021, n. 23892
Infortunio sul lavoro – Rendita per inabilità permanente – Consulenza tecnica d’ufficio – Valutazione della perdita dell’attitudine al lavoro
Rilevato che
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5523/2014, ha accolto in parte l’impugnazione proposta da R.C. nei confronti dell’Inail, avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda dello stesso C.. tesa ad ottenere il riconoscimento del diritto ad una rendita per inabilità permanente a seguito di infortunio sul lavoro occorso in data 19.7.1996 e consistente nella rapina a mano armata subita mentre prestava servizio presso la filiale di Maratea del Banco di Napoli;
ad avviso della Corte territoriale, la consulenza tecnica d’ufficio, espletata in grado d’appello, aveva accertato, con valutazione pienamente condivisibile, che il C.. era affetto da un serio disturbo neuropsichico post traumatico i postumi dell’infortunio si erano stabilizzati nella misura del 12%;
poiché la consulenza aveva messo in evidenza che la malattia derivante dall’infortunio si era palesata dopo un considerevole lasso di tempo e quindi dopo l’anno 2000, doveva farsi applicazione del disposto dell’art. 13 d.lgs. n. 38/2000 con il riconoscimento del solo indennizzo per danno biologico non essendo stato raggiunto il 16%;
avverso tale sentenza, ricorre per cassazione l’Inail sulla base dei motivi: violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, n. 2 e del Decreto ministeriale di approvazione delle tabelle di menomazione pubblicato il 25 luglio 2000, in ragione del fatto che nonostante l’infortunio fosse avvenuto il 19.7.1996 ed il consulente avesse valutato i postumi applicando i criteri ratione temporis, riferibili alla fattispecie e cioè quelli previsti dal D.P.R. n. 1124 del 1965 all’art. 74, la sentenza aveva applicato la disciplina indennitaria di cui al citato art. 13 d.lgs. n. 38/2000;
l’errore sopra indicato aveva comportato – secondo motivo – la conseguenza della liquidazione del danno biologico in luogo della valutazione della perdita dell’attitudine al lavoro e di ciò dava contezza chiaramente la relazione di consulenza tecnica d’ufficio;
R.C. resiste con controricorso;
Considerato che
il primo motivo è fondato;
la questione prospettata è relativa alla disciplina applicabile nell’ipotesi in cui da infortunio avvenuto anteriormente alla data di entrata in vigore del sistema indennitario regolato dall’art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000 derivino postumi che si evidenzino successivamente a tale data; l’art. 13, al comma 2, prevede che in ipotesi di danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi, nonchè a malattie professionali denunciate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l’INAIL, in luogo della prestazione di cui al testo unico n. 1124 del 1965, art. 66, comma 1, n. 2), eroga l’indennizzo previsto e regolato dalle disposizioni dettate in seguito dalla stesso articolo ed includenti, come è noto, anche il danno biologico nell’ipotesi in cui la percentuale di menomazione superi il 16 per cento nonchè il solo danno biologico, in capitale, tra il 6 ed il 15 per cento di menomazione;
le menomazioni in oggetto, conseguenti alle lesioni dell’integrità psicofisica di cui all’art. 13 cit., comma 1 sono valutate in base a specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali ed ai sensi del comma 3, i relativi criteri applicativi e i successivi adeguamenti sono approvati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale su delibera del consiglio di amministrazione dell’INAIL. In sede di prima attuazione il decreto ministeriale è emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo;
questa Corte di cassazione (Cassazione 4 febbraio 2015, n. 1998; Cass. n. 9956 del 2011) ha affermato che il nuovo regime introdotto dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 si applica unicamente ai danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati successivamente all’entrata in vigore del D.M. 12 luglio 2000, recante le tabelle valutative del danno biologico. Ne consegue che, in caso di malattia (od infortunio) denunciata dall’interessato prima del 9 agosto 2000, la stessa deve essere valutata in termini d’incidenza sull’attitudine al lavoro del richiedente, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 74, e può dar luogo ad una rendita per inabilità permanente solo in caso di riduzione di tale attitudine in misura superiore al 10 per cento;
il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 ha introdotto un nuovo sistema di liquidazione del danno conseguente agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, prevedendo, per la prima volta, la liquidazione del danno biologico (pertanto indipendentemente da una riduzione della capacità di produzione di un reddito da parte del lavoratore colpito), in capitale, in caso di menomazioni di grado pari a 6% e inferiore a 16% e mediante una rendita, per le menomazioni di grado superiore ed aggiungendo in quest’ultimo caso una ulteriore quota di rendita per le conseguenze patrimoniali, commisurata al grado di menomazione, alla retribuzione dell’assicurato e sulla base di una apposita nuova tabella dei coefficienti;
in precedenza, la disciplina relativa alla materia degli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, stabilita dal D.P.R. n. 1124 del 1965, prevedeva viceversa un indennizzo dei postumi permanenti rappresentati da una riduzione della capacità lavorativa del dipendente oltre la soglia del 10%, secondo quanto stabilito dall’art. 74 D.P.R. citato, superata anche in caso di aggravamento successivo dipendente dal medesimo infortunio o malattia professionale (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, comma 8); tale diversità di disciplina giustifica la disposizione della L. n. 38 del 2000, art. 13 secondo la quale il nuovo sistema è applicabile unicamente per “i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 5”, (poi emanato il 12 luglio 2000), laddove la locuzione “verificatisi o denunciati” si riferisce chiaramente agli infortuni e alle malattie professionali, che sono oggetto della denuncia di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 52 e 53 e non ai danni che superino la soglia indicata dalla legge, accertabili unicamente a posteriori anche quanto alla decorrenza degli stessi (diversamente, del resto, ne deriverebbe l’impossibilità di stabilire a priori i criteri con cui operare la valutazione in un caso, come quello in esame, di manifestazione successiva dei danni da infortunio occorso e denunciata prima della nuova disciplina), (cfr. ord. sez. lav. n. 9956/2011);
poiché nel caso in esame l’infortunio dal quale sono derivati i postumi dei quali si afferma l’aggravamento si è verificato il 19 luglio 1996, i relativi postumi permanenti vanno valutati in termini di incidenza sulla attitudine al lavoro;
in base a tali considerazioni, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile, non può farsi riferimento, come invece ha fatto la sentenza impugnata, alla disciplina vigente al momento di manifestazione della accertata invalidità permanente del 12% ma occorre avere riguardo esclusivamente alla data dell’infortunio lavorativo, pacificamente verificatosi il 19 luglio 1996; la sentenza impugnata ha quindi errato nel ritenere applicabile la disciplina di cui al D.Lgs. n. 38 del 2000, in luogo del previgente regime di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965;
secondo tale regime, l’indennizzo a carico dell’INAIL si riferisce esclusivamente alla riduzione della capacità lavorativa e, anche in base all’interpretazione della Corte costituzionale (sentenze n. 319 del 1989, n. 356 e n. 485 del 1991), non comprende una quota volta a risarcire il danno biologico, atteso che la configurabilità concettuale della duplice conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) del danno alla persona non significa che il diritto positivo prevedesse un “danno biologico previdenziale patrimoniale”, sicché va escluso che parte del danno biologico risulti coperto dalla rendita corrisposta dall’INAIL per la riduzione della capacità di lavoro generica, giacché le indennità erogate dall’Istituto assicuratore sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psico-fisica ha sull’attitudine al lavoro dell’assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli ambiti diversi da quelli riconducibili all’attitudine al lavoro, benché in tali ambiti resti compresa la stessa capacità di lavoro, ma in relazione a considerazioni ed effetti assolutamente differenti (Cassazione n. 26165 del 2015);
il secondo profilo di censura, che riguarda le conseguenze derivate dall’erronea ricostruzione della disciplina sull’accertamento del denunciato aggravamento, resta assorbito e formerà oggetto del giudizio di rinvio;
accolto il primo motivo, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione affinché accerti, facendo applicazione della disciplina di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, se le condizioni di salute di R. C.., relative ai postumi derivati dall’infortunio occorso il 19 luglio 1996, abbiano comportato una diminuzione della sua attitudine al lavoro ed in quale percentuale di inabilità;
il giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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