CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 aprile 2018, n. 8238
Tributi – Accertamento – Procedimento – Contenzioso tributario – Dichiarazioni – Studi di settore
Fatti di causa
F.S., svolgente attività di panificatore, propone ricorso per cassazione con due motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, accogliendo parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha rideterminato il maggior reddito accertato a carico del contribuente ai fini dell’IVA, dell’IRPEF e dell’IRAP per l’anno 2003 in euro 59.161 oltre interessi e sanzioni, a fronte di un reddito dichiarato di euro 6.562.
Secondo il giudice d’appello appariva violato l’art. 39, primo comma, lettera d) del d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto “gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento sembravano fondarsi sulle presunzioni “gravi precise e concordanti” costituite dalla esiguità dei ricavi dichiarati dal contribuente (in appena euro 6.562) e perciò dall’entità della discrepanza con gli studi di settore di appartenenza”.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo il contribuente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. a seguito di omesso esame, ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ., della censura sollevata in appello circa il difetto di legittimazione processuale dell’Agenzia delle entrate, per essere sottoscritto l’atto di appello (“per il Direttore – A.M.V.” dal “Capo Team Legale – G.F.”), senza che all’atto venisse allegata la delega, né ne venissero specificati gli estremi, né venisse specificata la qualità del sottoscrittore.
Il motivo è infondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “nel processo tributario, gli artt. 10 e 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicchè è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza” (Cass. n. 6691 del 2014, n. 15470 del 2016, n. 874 del 2009).
Nella sentenza impugnata non è dato ravvisare il vizio dedotto, atteso che “non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo: nella specie, la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame” (ex multis, Cass. n. 29191 del 2017).
Nella specie il rigetto implicito dell’eccezione è stato rivelato dall’esame delle questioni concernenti il merito dell’accertamento, incompatibile con raccoglimento del rilievo in esame.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, contesta che siano gravi, precisi e concordanti gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento, costituiti essenzialmente dall’esiguità dei ricavi, appena euro 6.562, e conseguente discrepanza con gli studi di settore, sulla scorta delle risultanze degli acquisti e delle giacenze.
La censura appare fondata.
L’art. 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici purché questa siano gravi, precise e concordanti, e ciò anche nelle ipotesi, come nel caso di specie, in cui la contabilità risulti regolarmente tenuta.
Il giudice d’appello ha riformato la sentenza di primo grado – che aveva annullato l’atto impugnato per la “mancata sussistenza del requisito della gravità degli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento dell’amministrazione” – in quanto “gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento sembrano fondarsi sulle presunzioni “gravi precise e concordanti”costituite dalla esiguità dei ricavi dichiarati dal contribuente (in appena euro 6.562) e perciò dall’entità della loro discrepanza con gli studi del settore di appartenenza”. Per il resto nulla dice sulla “valutazione sulla scorta delle risultanze degli acquisti e delle giacenze effettuata in base ai documenti fiscali esibiti”, ritenendo tuttavia tali elementi “indicativi di una attendibile ricostruzione della realtà commerciale presa in esame e dei ricavi presunti jure et de jure”, e ritenendo non condivisibile la decisione di primo grado, “tenuto anche conto delle pari ed insufficienti motivazioni di carattere socio economico, tuttavia non collimanti con l’attualità economica del settore della panificazione, che, a fronte di un prezzo di acquisto vile del grano e degli sfarinati, ha applicato rincari tanto esorbitanti da far ritenere gli acquisto del pane e degli altri prodotti accessori quasi fossero beni voluttuari”.
Le considerazioni svolte appaiono logicamente non del tutto lineari: non viene meglio spiegato il riferimento agli studi di settore; le osservazioni di carattere economico non sembrano conducenti; soprattutto, si parte dal dato dell’esiguità dei ricavi dichiarati, laddove, considerato l’abnormità dello scarto rispetto al valore accertato – pari a dieci volte il reddito dichiarato – avrebbe dovuto, motivando adeguatamente, pervenirsi a quel valore individuando le componenti dell’asserita mente infedele dichiarazione. Quanto detto porta a ritenere non corrispondenti alla detta prescrizione gli elementi presuntivi come offerti.
Il secondo motivo del ricorso deve essere pertanto accolto, mentre va rigettato il primo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in differente composizione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in differente composizione.
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