CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 aprile 2019, n. 9482
lmpugnativa del contratto di lavoro a progetto – Riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro – Assenza di un progetto o programma specifico – Regime sanzionatorio ex art. 69 del D.Lgs. n. 276/2003
Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda proposta da A. C. J. R. nei confronti di C. R., socio accomandatario e legale rappresentante della T.B.S. s.a.s, avente ad oggetto l’impugnativa del contratto di lavoro a progetto e il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti. Gli argomenti posti a fondamento del decisum sono, in sintesi, i seguenti.
1.1. In difetto di un progetto o programma specifico, che non era ravvisabile nel documento contrattuale, il rapporto si deve considerare di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ai sensi del primo comma dell’art. 69 d.lgs. 276 del 2003.
La disposizione di cui all’art. 61, comma 1, dello stesso decreto ha introdotto nell’ordinamento un comando inderogabile, che impone ai privati, salve le deroghe legalmente ammesse (art. 61, commi 2 e 3), di servirsi esclusivamente del lavoro a progetto in luogo delle precedenti collaborazioni coordinate e continuative, al fine di regolare ogni forma di lavoro autonomo e coordinato.
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ove pure genuinamente autonomi ma privi di progetto, si convertono ope legis in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato per contrarietà alla norma imperativa che prescrive l’obbligo di servizi del nuovo tipo legale (art. 1418, primo comma, cod. civ.). Una volta riscontrata la violazione, non è richiesto un accertamento diretto a verificare se la prestazione si sia in concreto svolta secondo i canoni della subordinazione, in quanto, accertata l’assenza dell’elemento qualificante del nuovo tipo legale, opera la conversione del contratto e si applica ope legis l’integrale disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
La presunzione della natura subordinata del rapporto è assoluta e non relativa, poiché ritenere la regola introdotta dal primo comma dell’art. 69 come presunzione iuris tantum non sarebbe compatibile con la lettera e la ratio dell’art. 61 e segg. d.lgs. 276 del 2003, essendo la nuova disciplina di impronta antielusiva e antifrodatoria.
1.2. Ulteriore argomento a sostegno di tale soluzione si ricava dall’interpretazione autentica introdotta dalla legge n. 92 del 2012 (c.d. legge Fornero), all’art. 1, comma 24.
1.3. Inoltre, dalla prova assunta in giudizio era emerso che, nella concreta attuazione del rapporto, questo si era svolto nella forma della subordinazione, alla luce della previsione normativa di cui all’art. 69, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003: l’attività si svolgeva utilizzando strumenti, mezzi e attrezzature aziendali; il lavoratore era pienamente inserito nell’azienda, con assoggettamento al potere disciplinare e organizzativo datoriale. L’appellante risultava avere lavorato in modo continuativo per circa due anni con identiche modalità, osservando un preciso orario di lavoro e per percependo un compenso fisso per lo svolgimento di mansioni semplici, di natura ripetitiva e quindi fortemente fungibili.
1.4. Vanno riconosciute le differenze retributive maturate nel periodo di esecuzione del rapporto, ma limitatamente alle mensilità aggiuntive e al TFR. Per tali titoli spetta la somma di euro 6.468,11 limitatamente al periodo dal 1° dicembre 2005 al 30 novembre 2007.
1.5. Quanto alla cessazione del rapporto, è mancato un atto qualificabile come licenziamento, poiché in data 30 novembre 2007 era intervenuta la cessazione del rapporto quale naturale scadenza del termine contrattuale e la relativa comunicazione concerneva l’impossibilità di svolgimento dell’attività lavorativa senza rinnovo del contratto scaduto. La nullità del termine, con conseguente conversione, comporta che il rapporto deve considerarsi proseguito e in atto fino alla data della sentenza. Consegue l’ordine di riammissione in servizio del ricorrente con condanna di parte convenuta al pagamento delle retribuzioni dall’atto della messa in mora (notifica del ricorso del 7 aprile 2008) fino alla data della sentenza.
2. Per la cassazione di tale sentenza C. R. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi. L’intimato resiste con controricorso. Il ricorrente altresì depositato memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Considerato che
1. Il primo motivo denuncia nullità della sentenza e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale richiamato a fondamento del decisum argomenti riguardanti norme contenute nella legge n. 92 del 2012, la quale tuttavia non può regolare la fattispecie in esame, che ha ad oggetto contratti conclusi prima della sua entrata in vigore.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62, 69 e 69 bis d.lgs. n. 276 del 2003, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistenti gli elementi sintomatici della subordinazione in assenza di prova circa l’assoggettamento del ricorrente al controllo e alle direttive datoriali. Dalla prova testimoniale era emerso che l’A. svolgeva la sua attività di pulizia di stabili condominiali ricevendo direttive dai relativi amministratori.
3. Con il terzo motivo si denuncia nullità della sentenza e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 112 c.p.c. (art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ.) quanto alla statuizione di condanna del ricorrente al pagamento della somma di euro 6.468,11 per il periodo 1.12.05-30.11.2007 che la Corte territoriale ha ritenuto di riconoscere alla stregua dei conteggi prodotti e ritenuti non specificamente contestati. Si assume che la somma anzidetta non compare in alcuna parte del ricorso in appello e pertanto i giudici di merito hanno pronunciato oltre i limiti della domanda.
4. Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza (art. 360 n 4 cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello omesso di indicare il trattamento economico e normativo applicabile alla fattispecie, statuizione che sarebbe stata necessaria a fronte dell’ordine di riammissione in servizio del ricorrente per l’accertato rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 1.12.2005 e della condanna al pagamento delle retribuzioni dal primo atto di messa in mora alla data della sentenza di appello.
5. Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ. in ordine al capo della sentenza recante la condanna al pagamento delle spese di primo e di secondo grado. Si assume che la liquidazione, pari ad euro 2.500,00 per il primo grado e ad euro 3.500,00 per il secondo grado, oltre 15% per spese forfettarie, avrebbe violato “i criteri di cui al decreto del 20 luglio 2012, n. 140” e si aggiunge che “non è possibile trascrivere quelle parti della sentenza di secondo grado che si riferiscono ai criteri di cui sopra, perché non appaiono”.
6. Il primo motivo è inammissibile, in quanto l’argomento utilizzato nella sentenza impugnata riguardo alla norma di interpretazione autentica introdotta dall’art. 1, comma 24, della legge 92 del 2012 ha una valenza meramente rafforzativa e confermativa di una lettura già presente nel sistema di cui al d.lgs. n. 276/2003. L’argomento non ha dunque carattere di decisività, in quanto a fondamento del decisum la Corte di appello ha osservato che nella fattispecie opera la conversione contemplata direttamente dal primo comma dell’art. 69 del d.lgs. 276 del 2003, in caso di contratto privo del progetto. Tale norma prevede che “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”. A sua volta l’art. 61, primo comma richiamato (nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie), prevede che “…i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso… “.
Invece, il secondo comma dell’art. 61 detta come segue: ” Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti“.
6.1. L’interpretazione seguita dalla Corte territoriale è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il regime sanzionatone articolato nell’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti (Cass. n. 12820 del 2016). In particolare, quanto alla fattispecie di cui al primo comma dell’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003 (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui all’art. 1, comma 23, lett. f) della l. n. 92 del 2012), questa Corte ha precisato che tale norma si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso (Cass. n. 17127 del 2016; v. pure, Cass. n. 4337 del 2018).
7. Il secondo motivo resta assorbito nel rigetto del precedente, in quanto esso verte sulla distinta e autonoma ratio decidendi, consistente nell’accertamento della sussistenza della subordinazione alla luce delle risultanze di causa. Tuttavia, tale accertamento resta ultroneo, una volta che il rapporto sia convertito ope legis in applicazione del primo comma dell’art. 69 citato.
8. Il terzo motivo è palesemente inammissibile. Il giudici di appello non hanno riconosciuto integralmente il quantum della originaria rivendicazione del lavoratore, avendo escluso alcuni titoli della pretesa. E’ quindi evidente che è stato operato un ricalcolo del dovuto sulla base dei conteggi allegati dall’originario ricorrente. Il motivo è dunque privo di specificità al decisum (in violazione dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.). Inoltre, il conteggio originario, sulla cui base è stata operata in giudizio la rideterminazione del dovuto non è stato riprodotto da parte ricorrente, che ne aveva l’onere ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ..
9. Il quarto motivo è infondato. L’ordine di riammissione in servizio e la condanna al pagamento delle retribuzioni dalla data del primo atto di messa in mora fino alla sentenza non richiede alcuna ulteriore specificazione, poiché lascia invariate le modalità del rapporto di lavoro svoltosi anteriormente tra le parti. Inoltre, il calcolo del trattamento differenziale sulla cui base la Corte di appello ha emesso la condanna di parte convenuta al pagamento di euro 6.468,11 per il periodo dal 1.12.05 al 30.11.2007 reca un implicito accertamento, che non risulta avere formato oggetto di specifiche censure nel giudizio di merito e neppure nel presente giudizio di legittimità, del trattamento economico e normativo ritenuto applicabile, corrispondente a quello sulla cui base è stata elaborata la rivendicazione economica, nei termini riconosciuti dalla sentenza impugnata.
10. Il quinto motivo è inammissibile per genericità della censura. Invero, grava sul ricorrente per cassazione indicare quali sarebbero gli errori commessi dal giudice di merito nella liquidazione delle spese processuali, mentre il motivo di ricorso omette completamente tale indicazione.
11. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
12. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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