CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 aprile 2022, n. 10757

Rapporto di lavoro – Premio aziendale individuale ad personam – Corresponsione – Diritto – Accertamento – Interpretazione dei contratti collettivi integrativi

Rilevato che

1. la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto delle domande proposte da A.P. e altri lavoratori intese all’accertamento del diritto a percepire, anche dopo la disdetta da parte della società dell’Accordo Integrativo Aziendale A. 2007, la voce retributiva denominata << ex premio aziendale individuale ad personam» e alla condanna della convenuta A. s.p.a. al pagamento di quanto a ciascuno dovuto con decorrenza dal giugno 2015;

2. la Corte territoriale, dopo un ampio excursus delle fonti contrattuali di natura collettiva (nazionale e aziendale) applicate, nel tempo, ai rapporti di lavoro, ha escluso che la suddetta voce retributiva costituisse, per effetto di novazione, un premio di carattere individuale, incorporato nei singoli contratti individuali e come tale insensibile a modifiche non consensuali, richiamando la giurisprudenza di legittimità consolidata circa la natura di fonte eteronoma delle disposizioni dei contratti collettivi, che dunque, in linea generale, non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali; ha, in ogni caso, ritenuto che il tenore testuale dell’art. 22 del contratto aziendale A. 2007 non consentisse di ravvisare la volontà delle parti di mutare la natura collettiva del premio aziendale fisso in emolumento di natura individuale, considerata la sintonia lessicale con l’art. 10 del CCNL 2004 che dettava la disciplina (delegandola a livello aziendale) della materia delle erogazioni economiche strettamente correlate ai risultati conseguiti, prevedendo che i compensi a tal fine già percepiti dai lavoratori fossero – per la parte fissa – conservati in “cifra”; tale dizione, anzi, consentiva di spiegare l’utilizzo del termine “ad personam” in quanto riferito al diverso importo che ciascun lavoratore percepiva (in considerazione della provenienza da diverse società o punti vendita, confluiti nella società A. a seguito di distinti accordi commerciali o fusioni); la natura collettiva della suddetta voce retributiva non era smentita dalla circostanza che essa fosse limitata ad una precisa categoria di lavoratori, considerate le complesse e varie vicende societarie -che avevano determinato la confluenza presso la A. s.p.a., di lavoratori del Gruppo L.R. i quali a loro volta provenivano da diverse realtà societarie caratterizzate da una disciplina collettiva differenziata per cui si era posta l’esigenza della relativa armonizzazione – ed era ancora confermata sia dall’ultimo comma del citato art. 22 ove le parti precisavano che tutti gli istituti retributivi “in ragione della loro origine di trattamenti contrattuali collettivi non sono assorbibili” (precisazione pleonastica ove il suddetto trattamento economico fosse effettivamente diventato individuale, quale elemento di miglior favore) sia dall’art. 23, punto 3, della Scheda 1 dell’accordo aziendale A. 2007 che, disciplinando un nuovo sistema di incentivazione a carattere variabile, tra cui il parametro del “Risultato aziendale”, prevedeva di ritenere assorbito questo valore per i lavoratori che percepivano l’elemento salariale fisso di cui in oggetto; la Corte territoriale ha, infine, escluso che si trattasse di diritto quesito, ossia già entrato a far parte del patrimonio dei lavoratori, trattandosi di mera pretesa alla stabilità nel tempo di normative collettive più favorevoli ed avendo, la società, erogato tale emolumento negli anni 2006 e 2007 (ossia nelle more della stipula dell’accordo integrativo 2007) “a titolo di acconto e/o anticipazione sui futuri trattamenti”; il recesso dall’accordo integrativo aziendale del 2007 da parte della società, nel luglio 2015, determinava legittimamente la caducazione della fonte dell’obbligazione di erogazione di detto premio fisso;

3. per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso A. P., M.R. T. e F. V. sulla base di due motivi; la parte intimata non ha svolto attività difensiva;

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 1362, comma 2, cod. civ. per avere la Corte di merito escluso che l’art. 22 dell’Accordo integrativo aziendale avesse costituito un diritto individuale in favore dei lavoratori; si duole, in particolare, della omessa valorizzazione del canone interpretativo rappresentato dal comportamento successivo delle parti e quindi della circostanza che il contenuto dell’accordo ed in particolare del relativo art. 22 era stato di fatto recepito nei contratti individuali, essendo inserito in busta paga con la voce “ex premio aziendale ad personam” ed approvato dai lavoratori per facta concludentia i quali non avevano formulato alcuna eccezione o dissenso a tale inserimento;

2. con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 1362, comma 1, cod. civ. e dell’art. 1363 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere escluso la volontà delle parti stipulanti di mutare la natura collettiva del premio aziendale fisso in emolumento di natura individuale, in contrasto con le espressioni usate dalle parti collettive e con la espressa previsione di non riassorbibilità dell’emolurnento;

3. i motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono entrambi inammissibili;

3.1. secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione dei contratti collettivi integrativi costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per contrasto con l’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. che si sia tradotto in un’anomalia della motivazione quale indicata da Cass. Sez. Un. n. 21216/2015 (e da molte altre pronunzie conformi vedi, per tutte, Cass. n. 13641/2016). Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne sarebbe discostato. In ogni caso, ai fini della positiva conclusione della valutazione in sede di giudizio di legittimità non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione, Cass. n. 4178/2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. 06/06/2013, n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010);

3.2. i motivi in esame non sono formulati in conformità delle suddette indicazioni e, pertanto, si risolvono nella mera e inammissibile contrapposizione di una diversa – più favorevole ai ricorrenti – interpretazione del testo del contratto collettivo integrativo, perché in essi non sono individuate le specifiche modalità attraverso le quali si sarebbe consumata la denunziata violazione delle regole legali di interpretazione né è dedotta l’anomalia della motivazione oggi unicamente denunciabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., che è quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e che attiene all’esistenza della motivazione in sé – quale risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali – e si esaurisce nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” ( principio consolidato a partire da Cass. Sez. Un. 8053/2014) ;

3.3. l’argomento che evoca una condotta per facta concludentia di adesione dei lavoratori all’introduzione del ridetto ex premio aziendale ad personam quale nuova voce individuale non si confronta con la ricostruzione della natura collettiva dell’emolumento in questione, destinata a rimanere tale anche in presenza di una diversa volontà dei lavoratori; parimenti inammissibile la contestazione dell’utilizzabilità del contratto collettivo nazionale al fine dell’interpretazione del contratto aziendale per appartenere le relative clausole ad ambiti negoziali diversi, in quanto sfornita di specifica argomentazione;

4. non si fa luogo alle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

5. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.