CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 dicembre 2018, n. 31276
Tributi – Imposta di registro – Trasformazione societaria – Conferimento rami d’azienda – Elusione fiscale
Rilevato che
1. Il 9.5.2008 l’Istituto Centrale Banche Popolari Italiane (ICBPI) costituì la Monte Rosa s.r.l. con capitale sociale di euro 10.000; il 28.10.2008 la neo costituita società deliberò l’aumento del capitale ad euro 5.702.000, da liberare attraverso il conferimento di rami di azienda dei sottoscrittori ICBPI e K. C. C. & S. s.p.a., e la propria trasformazione in s.p.a., assumendo la nuova denominazione di E. Italia s.p.a.; I’11.12.2008 K. C. cedette ad ICBPI l’intera sua partecipazione in E. Italia.
2. L’Agenzia delle Entrate, ritenuto che attraverso i predetti atti negoziali, unitariamente considerati, si fosse realizzato l’effetto giuridico finale di una cessione di ramo da azienda da K. C. s.p.a. a ICPBI e riqualificata in tal senso l’operazione, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, notificò alle società coinvolte un avviso di liquidazione per il pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale al valore dell’azienda ceduta.
3. L’avviso, impugnato da K. C. e da E. Italia con autonomi ricorsi poi riuniti, fu annullato dall’adita Commissione Tributaria Provinciale di Varese.
L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione è stato respinto dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza del 5.6.2012.
4. Il giudice di appello ha affermato che l’Ufficio non aveva fornito alcuna prova a sostegno della sua pretesa di attribuire ai negozi giuridici effetti diversi da quelli in concreto perseguiti, né provato che le società ricorrenti avessero posto in essere un comportamento elusivo, al fine di aggirare delle norme tributarie per beneficiare di un risparmio di imposta, per cui doveva ritenersi che le stesse avessero solo scelto la forma negoziale più conveniente.
5. Avverso la sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi; E. s.p.a. (già E. Italia s.p.a.) e C. s.p.a. ( incorporante K. C. C. e S. s.p.a.) hanno resistito con controricorso e presentato memoria ex art. 380 bis.l c.p.c.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia censura la sentenza impugnata, denunciando una violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , laddove ha ritenuto che l’Ufficio, avendo fatto valere un fenomeno di simulazione, avrebbe dovuto dimostrare la capacità degli atti di produrre effetti diversi da quelli realizzati; la ricorrente evidenzia di essersi limitata a richiedere che, in applicazione dei criteri di cui all’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, gli atti sottoposti a registrazione venissero assoggettati al regime previsto per gli effetti giuridici effettivamente prodotti in conseguenza del descritto collegamento negoziale.
2. Col secondo motivo lamenta una insufficiente motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., avendo la CTR omesso ogni valutazione in ordine alla questione subordinata, riproposta anche in appello, di considerare elusiva l’operazione nel suo complesso, e quindi di accertare le condizioni costitutive dell’elusione fiscale ed, in particolare, che le società contribuenti abbiano conseguito un vantaggio fiscale, che vi sia stato un aggiramento di disposizioni tributarie e che non vi fosse alcuna ragione economica per l’operazione.
1. Il primo motivo di ricorso merita accoglimento.
1.1. Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di imposta di registro l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, secondo cui “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente” comporta che, ai fini fiscali, la causa reale della volontà negoziale prevale sull’assetto cartolare impresso dalle parti.
Il criterio di interpretazione degli atti, fissato dall’art. 20 cit., comporta quindi che, nella qualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali, o di singole operazioni, senza che in caso di negozi collegati, sia decisiva la rispettiva differenza di oggetto (v. tra le più recenti Cass. n. 13610 del 2018; Cass. n. 11873, n. 6578 e n. 3562 del 2017; Cass. n. 10216 del 2016; Cass. n. 1955 del 2015; n. 6835, n. 9541, n. 14150 e n. 17965 del 2013).
La disposizione in esame, nell’esprimere il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, è aderente all’evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, trasformatasi da tassa, avente come oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale, e come contenuto una determinata quantità di denaro da riscuotere in corrispettivo del servizio di registrazione, ad imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica.
In coerenza con il rilievo per cui tale principio sarebbe svilito da una concezione che non consentisse di ricercare la sostanza dell’atto, avvalendosi anche di elementi esterni al documento, si è così più volte affermato che esso non solo consente, ma addirittura impone, laddove vi siano pattuizioni frazionate in più atti anche non contestuali, oggettivamente idonee a produrre un certo effetto giuridico, di guardare non all’atto risultante dal documento singolarmente considerato ma all’effetto giuridico unitario derivante dai vari atti collegati.
A sostegno del frazionamento in più atti di un’unitaria operazione possono infatti esservi ragioni fisiologiche e non solo patologiche, senza che ciò escluda la configurabilità di un’operazione unitaria ai fini dell’assoggettabilità all’imposta di registro.
Ciò non significa che l’operazione economica non possa anche configurare gli estremi di una elusione fiscale, ma non è necessario ricorrere a tale figura nel caso in cui si siano conseguiti vantaggi fiscali mediante un uso distorto di strumenti giuridici, potendo, al riguardo, supplire il criterio ermeneutico di cui all’art. 20 cit..
Il d.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non è quindi soltanto una norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione intesa a identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario, il quale è dato dall’oggetto e viene fatto coincidere con gli effetti giuridici indicativi della capacità contributiva dei soggetti che compiono gli atti (cfr Cass. n. 2713 del 2002). In simile contesto, la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioè il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più di questi atti.
2. Il principio è stato confermato anche in relazione a fattispecie analoga a quella in esame, di costituzione di una società con conferimento di azienda e contestuale cessione delle quote a terzi.
Secondo Cass. n. 3481 del 2015 “In tema di imposta di registro, la prevalenza che l’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, attribuisce alla “intrinseca natura ed agli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”, impone, nella relativa loro qualificazione, di considerare preminente la causa reale e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, seppure mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali o di singole operazioni, non rivelandosi decisiva, in ipotesi di negozi collegati, la rispettiva differenza di oggetto. Pertanto, in caso di conferimento di azienda con contestuale cessione, in favore di un socio della conferitaria, delle quote ottenute in contropartita dal conferente, il fenomeno ha, a tal fine, carattere unitario (in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva ed all’evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell’imposta) ed è configurabile come cessione di azienda, e non costituisce operazione elusiva, per cui non grava sull’Amministrazione l’onere di provare i presupposti dell’abuso di diritto, atteso che i termini giuridici della questione sono già tutti desumibili dal criterio ermeneutico di cui al citato art. 20.”; da ultimo, nell’arresto n. 13610 del 2018, la S.C. ha ritenuto configurabile una cessione d’azienda nell’ipotesi di conferimento societario di un’azienda e di successiva cessione da parte del conferente a soggetti terzi delle quote della società, avendo riguardo alla vicinanza temporale dei contratti.
3. Va quindi ulteriormente precisato che in tema d’imposta di registro l’Ufficio, nell’attività di qualificazione degli atti negoziali ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 – nel testo ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 87 della I. n. 205 del 2017 ( cd. legge di bilancio 2018) – è tenuto ad attribuire rilievo preminente alla causa reale del negozio, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali tra loro collegate, senza che rilevi la sussistenza di una condotta abusiva, sicché non incombe sullo stesso l’onere di provare la sussistenza di un disegno elusivo, delle modalità di manipolazione o che l’alterazione degli schemi negoziali classici sia irragionevole in una normale logica di mercato e perseguita solo per pervenire ad un indebito risparmio fiscale.
4. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del principio come innanzi precisato in quanto, in luogo di verificare quale fosse il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente era enunciato, anche in modo frazionato, in uno o più di questi atti, ha ritenuto che incombesse sull’Ufficio l’onere di provare la natura elusiva delle operazioni e che le parti avessero voluto aggirare le norme tributarie al solo fine di conseguire un risparmio di imposta.
5. Resta assorbito il secondo motivo formulato in via subordinata.
6. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione, che provvederà al riesame tenuto conto del principio di cui al punto 3).
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia, in diversa composizione.
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