CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 dicembre 2019, n. 31624

Tributi – IRAP – Enti creditizi e bancari – Svalutazione dei crediti – Indeducibilità introdotta dal D.L. n. 168 del 2004 – Intangibilità delle quote di svalutazione già contabilizzate, cd. “noni pregressi” – Principio di irretroattività delle disposizioni tributarie

Rilevato che

Su ricorso della Helvetia Compagnia Svizzera D’Assicurazioni SA, esercente attività finanziaria, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano annullava il silenzio – rifiuto opposto all’istanza di rimborso presentata dalla società riguardo alla maggior IRAP versata negli anni di imposta dal 2008 al 2011;

la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate, confermando la ratio decidendi addotta dal primo giudice circa l’irretroattività del regime di indeducibilità ai fini IRAP delle rettifiche di valore dei crediti alla clientela instaurato a decorrere dall’anno d’esercizio 2005;

l’Agenzia ricorre per cassazione sulla base di unico motivo; la società resiste mediante controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 18 settembre 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;

successivamente, la società contribuente ha depositato memoria e l’Agenzia ricorrente istanza di cessazione della materia del contendere, avendo provveduto al rimborso richiesto;

Considerato che

l’Agenzia delle Entrate, ricorrente, ha chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere, deducendo di aver effettuato il rimborso richiesto dalla società contribuente;

l’avvenuto rimborso determina la cessazione della materia del contendere, in quanto la prosecuzione del giudizio non potrebbe comportare alcun ulteriore risultato utile per il contribuente controricorrente;

comunque occorre verificare la cd. soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità;

a tali limitati fini, bisogna esaminare l’unico motivo, con cui la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 I. n. 212/2000, dell’art. 6, comma 1, lett. n) d.lgs. n. 446 del 1997, come modificato dal d.l. n. 168 del 2004, conv. I. n. 191 del 2004, dell’art. 11 bis d.lgs. n. 446/97, dell’art. 2, comma 2, d.l. n. 168/2004, conv. L. n. 191/2004, dell’art. 106, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986, per aver il giudice d’appello ritenuto intangibile la deducibilità delle quote di svalutazione già appostate (c.d. noni pregressi) ad onta del regime di indeducibilità sopravvenuto con la normativa del 2004;

la censura, sostanzialmente da ritenersi riferita al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7 ed al D.L. n. 203 del 2005, anziché al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6 ed al D.L. n. 168 del 2004 – relativi al valore della produzione netta, ai fini Irap, degli istituti bancari e delle società finanziarie -, è infondata;

il D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173, art. 16, comma 9, ultimo periodo, (Attuazione della direttiva 91/674/CEE in materia di conti annuali e consolidati delle imprese di assicurazione) nella formulazione in vigore dall’11/1/1998, disponeva: “Alle svalutazioni dei crediti nei confronti di assicurati determinate in conformità al presente comma si applicano le disposizioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 71, commi 3 e 5, l’art. 71 cit., comma 3 – attuale art. 106 – prevedeva la deducibilità delle svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, in ciascun esercizio nel limite dello 0,60 per cento e la deducibilità dell’ulteriore importo in quote costanti nei nove esercizi successivi. Con il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 6 convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 – al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7 relativo alla determinazione della base imponibile, venne aggiunto il seguente periodo: “Non si tiene conto delle svalutazioni, delle riprese di valore e degli accantonamenti effettuati ai sensi del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173, art. 16, comma 9, ultimo periodo”; con lo stesso articolo 6 cit. le parole” 0,60 per cento” di cui all’art. 106, comma 3 del T.U.I.R. venivano sostituite con quelle: “0,40 per cento”;

secondo un orientamento consolidato di questa Corte (Cass. 4 aprile 2012, n. 5403, Rv. 621891, richiamata da Cass. 21 gennaio 2015, n. 1111, Rv. 634033; Sez. 5, Sentenza n. 26547 del 21/12/2016) “in materia di IRAP relativa agli enti creditizi e bancari, la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, la cui deduzione viene solo rinviata, in parte, agli esercizi successivi, per cui l’indeducibilità, introdotta dal d.l. n. 168 del 2004, conv., con modif., dalla I. n. 191 del 2004, non attinge le quote (cosiddetti noni pregressi) di competenza degli esercizi anteriori, oggetto di una situazione giuridica sostanziale ormai già consolidata in forza della normativa antecedente“;

l’intangibilità delle quote di svalutazione già contabilizzate riflette la naturale irretroattività delle disposizioni tributarie, a sua volta riflesso dei princìpi costituzionali di ragionevolezza, certezza e affidamento;

pertanto non appare convincente la tesi della difesa erariale secondo cui, attesa la natura del tributo (che non ha ad oggetto il flusso reddituale, ma il valore produttivo organizzato, da valutare autonomamente anno per anno) e la ratio legis del d.l. n. 168/2004 (di riequilibrare il carico fiscale tra le banche, le società finanziarie e gli altri settori economici, più svantaggiati) fosse ragionevole disconoscere la deduzione dei cd. “noni pregressi” a partire dal primo anno di imposta rilevante (2005);

in conclusione l’Agenzia delle Entrate sarebbe risultata soccombente e va condannata al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo;

rilevato che l’Agenzia delle Entrate è ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1 – quater, d.P.R. 30 maggio n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

P.Q.M.

Dichiara cessata la materia del contendere; condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre il 15% per spese forfettarie ed accessori dì legge, nonché euro 200,00 per esborsi.