CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 febbraio 2020, n. 2483
Tributi – IVA – Indebita detrazione per operazioni soggettivamente inesistenti – Procacciatore d’affari – Prestazione fatturata da soggetto differente dal prestatore – Frode IVA
Rilevato che
1. Con sentenza n. 98/32/12 pubblicata l’8 giugno 2012 la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 13/18/11 che aveva accolto il ricorso proposto dalla I.M. s.r.l. avverso l’avviso di accertamento n. R1P034L01223/2009 ad essa notificato e con il quale era stata accertata IVA per € 43.200,00 indebitamente detratta per l’anno 2004 e riferita ad operazioni soggettivamente inesistenti.
In particolare, la Commissione tributaria regionale ha considerato che legittimamente l’Ufficio aveva recuperato l’IVA indebitamente detratta e riferita a compensi figurativamente corrisposti alla P.B. s.n.c. per attività di intermediazione finalizzata a procacciare clienti, e in realtà corrisposti alla persona fisica T.G. che, a sua volta, aveva dichiarato fiscalmente di avere percepito compensi per € 200.000,00 e subito ritenute per € 40.000,00 nello stesso anno di imposta.
La stessa Commissione tributaria regionale ha considerato che il rappresentante della I.M. s.r.l. si era rivolto esclusivamente al T. per incaricarlo di procacciare clienti per la propria azienda e questi aveva in effetti svolto il relativo compito e non la P.B. avente tutt’altro oggetto sociale, per cui il rappresentante della I.M. doveva essere consapevole di partecipare ad una frode IVA.
2. La I.M. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo.
3. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. Con l’unico motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 d.P.R. 633 del 1972 nonché degli artt. 167 e 168 della Direttiva CEE 28/11/2006 n. 2006/112/CE, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. In particolare si assume che, ai sensi di tale direttiva, non è legittimo negare la detrazione di imposta ad un soggetto passivo IVA che non sappia o almeno non abbia potuto sapere che l’operazione invocata a fondamento della detrazione si iscriveva in un’evasione posta in essere dall’emittente della fattura o da altro soggetto intervenuto a monte della catena di prestazioni; nel caso in esame, la ricorrente non sapeva né poteva sapere di tale evasione commessa dal soggetto emittente.
2. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha costantemente affermato (da ultimo Cass. 28 febbraio 2019, n. 5873) che, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il servizio al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode.
2.1. Nel caso in esame la Commissione tributaria regionale ha dato corretta applicazione a tale principio, avendo rilevato che “l’appellata non poteva non sapere di partecipare, come sostiene l’Ufficio, ad una frode IVA, caratterizzata da fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto lo stesso rappresentante legale aveva dichiarato di essersi rivolto al sig. T. che richiedeva al proprio committente d’intestare fiscalmente e contrattualmente l’esecuzione della prestazione ad una azienda di sua conoscenza”’, più in particolare la CTR giunge a qualificare le fatture emesse dalla P.B. verso l’appellata come relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, sul rilievo emergente dall’attività di verifica “che il sig. B. [amministratore della I.M. s.r.l., n.d.r.] nell’anno 2004 si rivolgeva al sig. T. per incaricarlo a procacciare clienti per la propria azienda ed il sig. T. richiedeva al proprio committente [la I. M. s.r.l., n.d.r.] d’intestare fiscalmente e contrattualmente l’esecuzione della prestazione ad una azienda di sua conoscenza ovvero la P.B.”.
La CTR avendo pertanto positivamente riscontrato in atti la prova della consapevolezza (o della possibilità di tale consapevolezza secondo la comune diligenza) del contribuente come richiesta nelle operazioni di specie, non è incorsa nella violazione o falsa applicazione delle norme invocate.
3. In conclusione il ricorso va rigettato.
4. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 4.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.
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