CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 gennaio 2022, n. 32
Tributi – Imposta di registro – Conferimento d’azienda e successiva cessione delle quote – Riqualificazione in cessione d’azienda – Illegittimità
Ritenuto che
1. La società G.H. S.r.l. impugnava l’avviso di liquidazione relativo ad imposta di registro concernente l’avvenuto conferimento d’azienda e successiva cessione delle quote di partecipazioni che, ad avviso dell’ente finanziario, simulavano una vera e propria cessione d’azienda, sul presupposto che l’operazione economica posta in essere doveva considerarsi una cessione di ramo d’azienda sottoposta a tassazione proporzionale dell’imposta complementare di registro e ipocatastale in base alle singole categorie di beni presenti nel compendio ceduto.
2. La CTP di Teramo accoglieva il ricorso. Proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la CTR dell’Abruzzo lo accoglieva sul rilievo che il trasferimento della proprietà delle quote e dei beni non aveva una valida ragione economica, e l’intera operazione integrava un tentativo della società di ottenere un risparmio di imposta.
Avverso la sentenza n. 701/01/2015 depositata il 14 luglio 2015, della CTR dell’Abruzzo, la società G.H. srl propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati nelle memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio con controricorso.
1. Con la prima censura, si deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 20 d.P.R. 131/86; per aver la CTR errato nell’applicare la norma rubricata, potendosi rilevare una finalità elusiva solo allorquando l’operazione economica sia posta in essere senza un ulteriore finalità rispetto al risparmio fiscale; pertanto, dall’analisi complessiva del comportamento negoziale deve emergere l’obiettivo economico realmente voluto, ma l’indagine deve arrestarsi di fronte a quegli elementi che attestano l’autonomia negoziale dell’operato delle parti, tali da rivelare la giustificazione causale delle singole operazioni negoziali.
2. Con il secondo, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, n. 5, c.p.c., consistente nelle risultanze probatorie offerte nel giudizio di merito e non valutate dal giudice di appello.
3. La prima censura è fondata, assorbita la seconda.
Si osserva che, in tema d’imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dall’art. 1, comma 87 della L. n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1084 della L. n. 145/ 2018, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali, l’Amministrazione finanziaria non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile.
L’art. 1, comma 87 della L. n. 205/2017, invero, prevede: <<Al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 20, comma 1: 1) le parole: « degli atti presentati » sono sostituite dalle seguenti: « dell’atto presentato »; 2) dopo la parola:
– apparente » sono aggiunte le seguenti: « sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi »;…>> L’art. 1, comma 1084 della L. n. 145/ 2018 prevede: << L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131.>>
Il Legislatore, con la denunciata norma, ha inteso riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione. Per altro verso un’interpretazione della norma in chiave antielusiva provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10-bis della L.n.212/2000 consentendo all’Amministrazione di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale e di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al contribuente ogni legittima pianificazione fiscale. Ne consegue che nel caso di specie l’amministrazione finanziaria non aveva facoltà di riqualificare come atto di cessione d’azienda la separazione dei rami d’azienda.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 158 del 21/07/2020 ha statuito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, posta in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., dell’art. 20 del d.P. R. n. 131/1986 come modificato dall’art. 1, comma 87 della L. n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1084 della L. n. 145/ 2018, nella parte in cui prevede che, ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.
Detta pronuncia è stata poi ribadita dalla medesima Corte con sentenza n. 39/2021, con la quale ha affermato che le questioni inerenti alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost. sono manifestamente infondate, poiché prive di argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelle già sollevate con la menzionata ordinanza del giudice di legittimità e dichiarate non fondate con sentenza n. 158 del 2020.
Nel caso di specie si verte appunto, come è pacifico tra le parti e come venne già inizialmente lamentato dalla società contribuente, di avviso di liquidazione di imposta proporzionale di registro su una concatenazione di atti che l’agenzia delle entrate riqualificava in maniera unitaria ex articolo 20 d.P.R. 131/86, in termini di conferimento d’azienda. Su tale presupposto – decidendosi in diritto sul ricorso – la motivazione della sentenza della CTR va dunque cassata.
Le spese di lite vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto dell’evoluzione temporale della normativa e dell’interpretazione giurisprudenziale.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente.
Compensa le spese del presente giudizio.
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