CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 gennaio 2022, n. 33
Tributi – Contenzioso tributario – Difetto di giurisdizione – Sanzioni per incarico conferito a pubblico dipendente senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza – Esclusione – Prevalenza del principio costituzionale della durata ragionevole del processo
Ritenuto che
con ricorso in data 4.11.2009 la F. A. Costruzioni s.p.a. proponeva ricorso avverso gli atti di contestazione con cui a F. A., in qualità di responsabile, ed alla società F. s.p.a. veniva contestata l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 53, comma 9, del d.lgs. n. 165 del 2001 per avere conferito un incarico retribuito all’Ing. R. T. nell’anno 2006 senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza nonché delle disposizioni di cui all’art. 53, comma 11, del d.lgs. n. 165 del 2001 per avere omesso la comunicazione dei compensi allo stesso corrisposti entro il 30 aprile dell’anno successivo.
La CTP di Cuneo con sentenza in data 13 maggio 2009 n. 51 rigettava il ricorso.
Proposto appello da parte dei contribuenti, la CTR del Piemonte in data 25.3.2013 accoglieva il gravame ritenendo che la società F. non avrebbe potuto essere a conoscenza della qualifica di pubblico dipendente dell’Ing. R. e quindi ottemperare alle disposizioni contenute nella L. n. 165 del 2001.
Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi cui resisteva con controricorso la F. Costruzioni s.p.a.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso rubricato “Difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 1 c.p.c. in quanto le controversie in materia di sanzioni irrogate a pubblici dipendenti non rientrano nella giurisdizione delle Commissioni tributarie” parte ricorrente deduceva che la questione oggetto del procedimento non rientra nella giurisdizione delle Commissioni tributarie bensì in quella dell’autorità giudiziaria ordinaria.
Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Art. 360 n. 3 c.p.c.- Violazione art. 3, comma 2 I. n. 689 del 1981” parte ricorrente deduceva che erroneamente la CTR ha ritenuto che il contribuente non dovesse indagare sulla qualifica dell’Ing. R..
Con il terzo motivo di ricorso rubricato “£60 n. 5 c.p.c.- omesso esame di fatto decisivo” parte ricorrente deduceva che la CTR ha motivato in modo illogico sul fatto che l’errore del contribuente non è stato determinato da colpa.
1. Il primo motivo è inammissibile.
Ed invero, l’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo nonché della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24883 del 09/10/2008; cfr anche Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2067 del 28/01/2011; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008; Cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008).
Il principio costituzionale della durata ragionevole del processo consente, quindi, come nella fattispecie, di escludere la rilevabilità davanti alla Corte di cassazione, del difetto di giurisdizione qualora sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della implicita pronuncia sul merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello.
È, quindi, inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità dalla Agenzia delle Entrate che nel merito non aveva formulato alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto attinge una valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità.
3. Il terzo motivo è infondato.
Ed invero, la sentenza impugnata si è pronunciata in ordine all’assenza di colpa nella violazione contestata in quanto la qualifica di pubblico dipendente in capo all’Ing. R. poteva essere conosciuta solo a seguito di dichiarazione del medesimo o per un una serie di circostanze incompatibili con l’esercizio di attività professionale libera, nella specie non riscontrate.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
La regolamentazione delle spese di lite, liquidata come da dispositivo, segue la soccombenza.
Non ricorrono le condizioni per l’applicazione al ricorrente dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13)
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