CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2019, n. 15169
Mobilità tra comparti – Inquadramento – Bando di selezione
Rilevato
che, con sentenza dell’11 marzo 2014, la Corte d’Appello di Ancona, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Ancona nel giudizio instaurato da L.S. contro l’INPS e, quale controinteressata chiamata in causa, F.G., rigettava, non diversamente dal primo giudice, la domanda principale della S. avente ad oggetto il riconoscimento del proprio diritto a far data dall’1.1.2002, all’atto cioè del suo passaggio per mobilità tra comparti dal Comune di Sirolo all’INPS alla collocazione, per effetto dell’asserita corrispondenza all’originario inquadramento nella categoria D1 della classificazione del personale di cui al CCNL per il comparto Enti Locali, nell’Area C3 della classificazione del personale di cui al CCNL per il comparto Enti Pubblici Economici ma, altresì, disattendendo la decisione di primo grado, la domanda dalla stessa S. proposta in via subordinata tesa al riconoscimento del trattamento economico corrispondente al superiore inquadramento nell’Area C3 a decorrere dal 31.12.2006;
che la decisione della Corte territoriale, chiamata su appello dell’INPS a pronunciarsi sulla sola domanda subordinata, discende dall’aver questa ritenuto legittima la clausola del bando di selezione per la progressione in Area C recante la previsione di un punteggio aggiuntivo pari a tre punti in favore solo di alcune categorie di candidati e, pertanto, la S. non utilmente collocata nella relativa graduatoria e, comunque, non provato da parte della S. stessa lo svolgimento di mansioni proprie della superiore Area C3, non avendo rivestito un ruolo di responsabilità o direzione nell’ambito della ragioneria di sede e non potendo valorizzarsi ai predetti fini, in difetto dell’essenziale requisito della prevalenza delle superiori mansioni, l’assegnazione a servizi dì docenza e la pur frequente adibizione presso la Direzione generale di Roma per la predisposizione dei bilanci consuntivi e preventivi;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la S., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resistono, con controricorso, sia l’INPS sia la G.;
che tanto la ricorrente quanto la controricorrente G. hanno poi presentato memoria;
Considerato
che, con il primo articolato motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, commi 1, 2 e 2 quinquies, d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 2 del CCNI di Ente del 2006 in una con il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, degli artt. 1175, 1375, 1363 e 1366 c.c. ancora unitamente al vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, degli artt. 3 e 97 Cost. nuovamente accompagnato dal vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta l’incongruità logica e giuridica della valutazione di legittimità cui perviene la Corte territoriale in ordine alla previsione recata dal bando di selezione inteso ad attribuire un punteggio privilegiato esclusivamente nei confronti di specifiche categorie di candidati; che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, commi 2, 3, 4 e 5, d.lgs. n. 165/2001, degli artt. 5 e 6 CCNL 2006/2009, dell’art. 2697 c.c., la ricorrente lamenta l’incongruità dell’iter logico valutativo seguito dalla Corte territoriale per giungere ad escludere la riconducibilità delle mansioni accertate come di fatto svolte dalla ricorrente al superiore inquadramento nell’area C3; che il primo motivo deve ritenersi inammissibile, vertendosi in tema di interpretazione di una clausola recata dal bando di selezione per la progressione in Area C di cui è causa che non risulta allegato al ricorso e che inammissibile si confermerebbe anche se la censura dovesse essere ricondotta alla previsione del CCNI 2006 cui il bando intendeva conformarsi alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr., da ultimo Cass. 31.5.2017, n. 13802) secondo cui ai sensi dell’art. 63 d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 40/2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere nazionale, per i quali è previsto il peculiare regime di pubblicità di cui all’art. 47, comma 8, d.lgs. n. 165/2001, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni su singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360, n. 5, c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis;
che parimenti inammissibile si rivela il secondo motivo, limitandosi la ricorrente ad opporre al libero apprezzamento dell’esito dell’istruttoria operato dalla Corte territoriale una propria valutazione dell’accertamento espletato, senza neppure preoccuparsi di sollevare specifiche censure in ordine ai rilievi su cui la Corte territoriale mostra, nella motivazione resa, di voler fondare il proprio giudizio e che attengono alla parzialità degli ambirti di competenza dell’ufficio di adibizione sui quali la ricorrente risulta essere intervenuta, tale da indurre a ritenere la mancanza di una visione globale dei processi produttivi, alla non ravvisabilità di alcuni dei contenuti professionali ritenuti qualificanti delle superiori mansioni, quali la gestione di gruppi di lavoro anche interfunzionali e così l’esercizio di funzioni di guida
e motivazione degli appartenenti al gruppo ed all’irrilevanza, ai fini della riferibilità delle mansioni svolte al superiore inquadramento, degli ulteriori e non prevalenti compiti di servizio assegnati alla ricorrente presso la Direzione generale dell’Istituto o quale docente;
che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15 % ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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