CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2021, n. 15618
Tributi – IRPEF – Reddito da locazione di immobile – Provvedimento di convalida dello sfratto per morosità – Canoni non percepiti maturati prima del provvedimento – Tassazione – Legittimità
Rilevato che
1. La Commissione tributaria provinciale di Pescara rigettava il ricorso proposto da I.L. avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Pescara ingiungeva il pagamento dell’IRPEF per l’anno d’imposta 2004, relativa al maggior reddito riveniente dalla quota di pertinenza del contribuente del canone di locazione di immobile adibito ad uso commerciale.
2. Avverso la sentenza ha proposto appello il contribuente deducendo di non aver percepito il canone, stante l’inadempimento del conduttore, accertato con provvedimento di convalida dello sfratto per morosità pronunciato il 7 dicembre 2004.
3. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, con sentenza n. 428/9/2013, depositata il 20.12.2013, rigettava l’appello del contribuente “in caso di inadempimento del conduttore di immobile adibito a uso commerciale quanto al pagamento del canone, il reddito del locatore, parametrato al canone locativo, è intassabile ai fini Irpef solo per il periodo successivo al provvedimento di convalida dello sfratto per morosità e non per quello anteriore, atteso che la tassazione del reddito locativo è collegata alla mera maturazione del diritto alla percezione di un reddito che si estingue unicamente allorché, per qualsiasi causa, la locazione sia cessata”.
4. Avverso tale decisione il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
5. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 26 febbraio 2021, ai sensi degli artt. 375, ult. comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.
Considerato che
1. Con il primo motivo deduce il ricorrente “violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 26, 36 e 37 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e dell’art. 53 Cost.”, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., contestando l’assunto della C.T.R. secondo cui, in caso di inadempimento del conduttore di immobile adibito ad uso commerciale, il canone dovuto sarebbe esente da IRPEF solo per il periodo successivo al provvedimento di convalida dello sfratto per morosità e non per quello anteriore, in quanto, fino alla pronuncia dell’ordinanza di convalida dello sfratto per morosità del conduttore, il canone dovuto al locatore concorrerebbe a formare il reddito imponibile, ancorché non percepito. Detta interpretazione delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 917/1986 citate sarebbe, secondo il ricorrente, contraria ad un’interpretazione costituzionalmente corretta del precetto normativo, giungendo a conseguenze dei tutto contrarie al principio di capacità contributiva.
1.2. Il motivo è infondato.
1.3. L’art. 26 del D.P.R. n. 917/1986 stabilisce espressamente (nel primo comma, secondo periodo) che “i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare”.
1.4. La predetta disposizione, fissato il principio generale secondo cui i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito imponibile, prevede una eccezione solo per quelli derivanti dalla locazione di immobili abitativi, per i quali la mancata percezione ne esclude la rilevanza reddituale; mentre fino alla risoluzione del contratto di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, i relativi canoni concorrono a formare la base imponibile Irpef. E’ questo, in sintesi, il principio affermato dalla questa Corte già con la sentenza n. 12905 del 1° giugno 2007, nella quale è ribadito che “Il solo fatto dell’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, unito alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idoneo, di per sé ad escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, (…) salvo che, e non è il caso di specie, non risulti l’inequivoca volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva“.
1.5. È stato poi precisato che, nell’ambito dei contratti di locazione, la risoluzione del contratto non ha effetto naturalmente retroattivo, giacché trattandosi di contratti a esecuzione continuata o periodica, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. Conseguentemente, non viene meno l’obbligo del pagamento del canone di locazione per il periodo, precedente alla risoluzione, durante il quale il conduttore ha goduto o avrebbe potuto godere della disponibilità dell’immobile. Per tale periodo, pertanto, il canone concorre a formare la base imponibile Irpef (cfr. Cass., Sez. 5, 18/11/2005, n. 24444; Sez. 5, 01/06/2007 n. 12905; Sez. 5, 18/01/2012, n. 651).
1.6. Le argomentazioni della citata giurisprudenza di legittimità trovano, del resto, fondamento nella richiamata sentenza della Corte costituzionale del 26 luglio 2000, n. 362, che aveva ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme del TUIR nella parte in cui prevedono “quale base imponibile, ai fini della tassazione del reddito fondiario di un immobile locato, l’importo del canone locativo convenuto in contratto, anziché il reddito medio ordinario desunto dalla rendita catastale, anche quando, a causa della morosità del conduttore, tale canone non sia stato effettivamente percepito”. In particolare, la Consulta, con la richiamata pronuncia, ha precisato che “il riferimento al canone di locazione (anziché alla rendita catastale) potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico”. Conseguentemente, “La risoluzione del contratto impedisce di configurare il pagamento, effettivo o solo presunto, come effettuato a titolo di canone, cui possa essere commisurata la base imponibile ai fini delle imposte sul reddito“.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), avendo la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. con riferimento al trattamento deteriore riservato ai proprietari di immobili adibiti ad uso commerciale, rispetto ai proprietari di immobili ad uso abitativo concessi in locazione.
3. Con il terzo motivo deduce ancora ”violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), avendo la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla dedotta violazione dell’art. 53 della Costituzione e dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.
4. Entrambi i motivi, suscettibili di trattazione congiunta, sono inammissibili, in quanto, deducendo il vizio di omessa pronuncia, il ricorrente non ha tenuto conto della diversa ricostruzione logico giuridica del giudice di appello. Le censure risultano inoltre ripetitive delle doglianze espresse con il primo motivo di ricorso, già considerate infondate (cfr. Cass., Sez. 5, 03/10/2019, n. 24693).
5. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese liquidate in dispositivo seguono la soccombenza. Va infine dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di giudizio sostenute dall’Agenzia delle Entrate che liquida in 3.000,00 euro, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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