CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 luglio 2018, n. 17524
Rapporto di agenzia – Provvigioni – Affari conclusi nella zona di esclusiva – Recesso – Per giusta causa – Violazione del patto di non concorrenza – Accertamento
Rilevato che
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza non definitiva n.554/2012 e con sentenza definitiva n.817/2012, in riforma della pronuncia di primo grado, accertava l’intercorrenza di un rapporto di agenzia fra P. G. e la B. Automobili s.p.a. a far tempo dal 1996; il diritto dell’agente alle provvigioni per affari conclusi nella zona di esclusiva dall’agosto al dicembre 2004, nonché il FIRR ex AEC Commercio del 2002; l’insussistenza della giusta causa di recesso dell’agente e la violazione del patto di non concorrenza; il diritto della società a percepire l’indennità di preavviso e le somme già versate all’agente ai sensi della clausola n.6 del contratto di agenzia. Operata la compensazione fra i rispettivi crediti, il G. era stato condannato al pagamento in favore della società, della somma di euro 24.170,70.
La cassazione di tali pronunce è stata domandata da P. G. sulla base di dieci motivi ai quali resiste con controricorso la B8 s.r.l. già B. Automobili s.p.a..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.
Considerato che
1. Con i primi sette motivi il ricorrente censura la pronuncia della Corte territoriale per: violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1749 c.c. (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art.2 AEC del 2002 settore commercio, degli artt. 2119 e 1460 c.c. (secondo e quarto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 2119 c.c. (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt.1175,1375 e 2119 c.c. (quinto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1743 e 2702 c.c. nonché dell’art.2697 c.c. (sesto e settimo motivo), ex art. 360 comma primo nn.3 tutti promiscuamente, anche sotto il profilo di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione al n. 5 comma 1 art. 360 c.p.c..
Il ricorrente critica la sentenza impugnata in relazione al diniego di riconoscimento della giusta causa di recesso, lamentando che la Corte abbia omesso di considerare taluni elementi essenziali al fine dello scrutinio delle ragioni che presiedono alla risoluzione del rapporto inter partes, (quali la mancata revisione della autovettura e la previsione contrattuale di cui all’art.2 AEC 2002 secondo cui le modifiche contrattuali, come nella specie, la revoca dei benefits, potevano essere disposte previa comunicazione scritta all’agente con preavviso di almeno due mesi). Si duole altresì che i giudici del gravame abbiano ritenuto insussistente la giusta causa di recesso sul presupposto che il ricorrente avesse svolto attività di concorrenza in costanza di rapporto.
2. I motivi, da trattarsi congiuntamente per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi per plurime concorrenti ragioni.
Si profilano innanzitutto, aspetti di improcedibilità del ricorso, non risultando dall’indice apposto in calce, il deposito in copia autentica – in conformità ai dettami del comma secondo art.369 c.p.c. – della pronuncia non definitiva, oggetto di impugnazione (cfr. ex aliis, Cass. 13/10/2016 n. e, con riferimento alla sentenza non definitiva, Cass. 4/8/2017 n. 19602).
S’impone, altresì, l’evidenza di profili di inammissibilità delle censure, che recano promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di disposizioni di legge nonché di vizi di motivazione, oltre all’invocazione della violazione “di ogni altra norma e principio”, senza alcuna specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo una adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da … irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016).
3. Non può, poi, tralasciarsi di considerare che le doglianze tendano tutte a pervenire ad una rivisitazione nel merito, degli apprezzamenti concernenti il quadro probatorio delineato in prime cure, svolte dai giudici del gravame, con approccio non consentito nella presente sede di legittimità.
Anche prima della riformulazione dell’art. 360 comma primo n.5 per effetto della novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con mod. in L. 7 agosto 2012, n. 134, peraltro, costituiva consolidato insegnamento essere sempre vietato invocare in sede di legittimità un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché non ha la corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, Cass. sez. un., 21/12/2009, n. 26825; Cass. 26/3/2016, n. 7394; Cass. 16/12/2011, n. 27197).
All’esito della riforma del 2012, come sottolineato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. 7/4/2014 n.8053), è divenuta denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Residua, dunque, il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. 27/4/2017 n. 10416) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche che non rispondono ai requisiti della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità.
La Corte distrettuale ha infatti proceduto ad una approfondita ricognizione critica delle acquisizioni probatorie escludendo la ricorrenza della giusta causa di recesso dell’agente, risultato inadempiente rispetto ai fondamentali obblighi contrattuali su di lui gravanti. Era emerso chiaramente che il G. non aveva procurato alcun affare per conto della mandante dall’agosto 2004 sino al recesso nel dicembre dello stesso anno, tale inattività costituendo elemento obiettivamente indicativo del sostanziale disinteresse nella cura della zona affidata, integrante inadempimento ad una obbligazione fondamentale del rapporto.
Né tale condotta poteva ritenersi giustificata – come asserito da parte ricorrente – da alcun atteggiamento ostruzionistico della mandante che, alla stregua delle testimonianze acquisite, era da ritenersi escluso.
4. L’ottavo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1460 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art.360 comma primo nn.3 e 5 c.p.c.. Si lamenta che la Corte di merito abbia erroneamente qualificato come inadempimento contrattuale l’inattività dell’agente dall’agosto 2004, da inquadrarsi invece, nel legittimo esercizio del diritto di autotutela ex art. 1460 c.c. a fronte dell’omesso invio degli estratti conto provvigionali, della revoca dei benefits e di altri comportamenti della mandante ritenuti lesivi del principio di correttezza e buona fede.
5. La nona censura attiene alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1742 e 1751 c.c. nonché dell’art. 2 AEC 2002 settore commercio. Si deduce l’erroneo accertamento della violazione del patto di non concorrenza da parte del giudice del gravame disposto con motivazione viziata, ai sensi dei nn. 3 e 5 comma primo art. 360 c.p.c.
6. Anche tali doglianze presentano le medesime criticità riscontrate in relazione a quelle che precedono, sotto il profilo della non consentita commistione della denuncia di vizi fra loro incompatibili.
La Corte di merito, ha in ogni caso dato conto, con motivazione congrua e completa, dell’obiettivo inadempimento delle obbligazioni gravanti sull’agente, anche sotto il profilo del divieto di patto di non concorrenza, avendo dato conto della conferma in sede testimoniale, della violazione di tale pattuizione contrattuale, anche nel corso del rapporto; sotto altro versante, ha argomentato in ordine alla correttezza della condotta posta in essere dalla società mandante, la quale aveva revocato i benefits nei confronti di tutti i dipendenti e collaboratori, con misura largamente generalizzata; onde anche sotto tale profilo la sentenza resiste alle censure all’esame.
7. Il decimo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 1372, 1414, 1419, 1742, 1751, 1571 bis, e 2126 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 comma primo nn. 3 e 5 c.p.c.. Si critica la statuizione della Corte distrettuale laddove ha dichiarato dovute alla mandante le somme corrisposte all’agente di cui alla clausola n.6 del contratto di agenzia, tralasciando di considerare che detta clausola aveva “espressamente qualificato tali corresponsioni non come anticipo ma come fisso”. Per prevederne la ripetibilità si sarebbe infatti dovuto precisare la natura di anticipo dell’emolumento. La Corte non avrebbe poi, fatto corretta applicazione degli artt. 2697, 1414 c.c. e 116 c.p.c. laddove ha ritenuto che non fossero stati allegati dal ricorrente elementi che consentissero di ritenere simulata la causale delle indennità previste dalla citata clausola contrattuale, ed avrebbe errato nel non applicare alla fattispecie, i dettami di cui all’art. 2126 c.c..
8. Il motivo va disatteso.
La Corte distrettuale ha premesso che la società aveva formulato domanda di restituzione del “fisso erogato quale anticipo per indennità di cessazione del rapporto (non dovuta perché recesso imputabile all’agente) e quale anticipo per indennità per il patto di non concorrenza, che assume violato sia in corso del rapporto che dopo”.
Ha quindi proceduto alla interpretazione della clausola contrattuale pervenendo alla conclusione che la stessa era di tenore “chiaro ed univoco sull’imputazione del titolo dell’erogazione, correlato alle suddette indennità non ancora di sicura maturazione” e, per quanto accertato in corso di causa, non spettanti, essendo stato dimostrata la violazione da parte dell’agente, di detta clausola, sia nel corso del rapporto che successivamente.
La esegesi della clausola contrattuale rientra nella sfera discrezionale del giudice di merito laddove, come nella specie, sia esercitata in conformità a canoni di coerenza e logicità.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr. Cass. 10/2/2015 n.2465).
9. In ogni caso, non può tralasciarsi di considerare che la critica della sentenza relativa all’omesso accertamento della nullità della clausola n.6 del contratto – nella parte in cui imputa tale importo fisso a titolo di cessazione del rapporto e per patto di non concorrenza – non appare sorretta da apprezzabile interesse, giacché la nullità della clausola, ove accertata, avrebbe comportato comunque l’obbligo di restituzione, da parte dell’agente, di quanto percepito in base ad essa (cfr. Cass. 28/10/2005 n. 21096).
In definitiva, alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso è respinto.
Nessuna statuizione va, infine, emessa in ordine alle spese del presente giudizio, stante la tardività di notifica del controricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla spese.
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