CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 luglio 2019, n. 17944
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Riscossione – Importazioni – Sdoganamento – Evasione
Svolgimento del processo
R. B., con atto di citazione notificato il 4 ottobre 2000, ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Bologna l’amministrazione finanziaria dello Stato affinché fosse accertata l’illegittimità o l’infondatezza della pretesa erariale oggetto degli inviti di pagamento di Lire 2.840.0000 e Lire 5.642.960 per maggiori tributi accertati concernenti delle operazioni di importazione di autovetture, emessi sul presupposto che fosse stato dichiarato un valore diverso da quello commerciale al fine di evadere l’IVA applicabile all’atto dello sdoganamento.
Il Tribunale di Bologna, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2719/2002, ha accolto la domanda, ritenendo che l’amministrazione doganale fosse incorsa nel termine decadenziale di cui all’articolo 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 per avere proceduto alla revisione di accertamento oltre il termine di tre anni fissato dalla norma in questione.
L’Agenzia delle Dogane ha proposto appello contro la predetta decisione.
La Corte di Appello di Bologna, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 459 del 2011 ha respinto il gravame.
L’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
R. B. non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1. Con il primo ed il secondo motivo, che possono essere trattati congiuntamente stante la stretta connessione, l’Agenzia delle Dogane lamenta l’omessa pronuncia del giudice di appello in ordine all’eccezione di carenza di giurisdizione e, inoltre, reitera la relativa questione, sostenendo che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’opposizione avverso l’avviso di pagamento e l’ingiunzione doganale di una imposta di fabbricazione è devoluta alla giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie.
Le doglianze vanno respinte.
Innanzitutto, si rileva che la pronuncia con la quale il giudice, come nella specie, statuisca sul merito della controversia contiene un implicito riconoscimento della giurisdizione dell’autorità adita, con la conseguenza che non ricorre il contestato vizio di omessa pronuncia.
Quanto al profilo concernente il difetto della giurisdizione tributaria nel caso de quo, si rileva che effettivamente la Suprema Corte (Cass., SU, n. 13833 del 28 giugno 2005) ha affermato che “Ai sensi dell’art. 11, comma quinto, del d.l. 13 maggio 1991, n. 151 (convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 202), l’opposizione avverso il ruolo e l’avviso di mora, emessi per la riscossione dei tributi elencati nell’art. 67 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, nei quali è compresa l’imposta di fabbricazione, deve essere proposta dinanzi alle commissioni tributarie e non dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, non assumendo rilievo, in contrario, che detta imposta non fosse inclusa tra i tributi tassativamente indicati nel testo originario (applicabile nella fattispecie “ratione temporis”) dell’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Inoltre, in considerazione dell’evoluzione legislativa nel senso della progressiva estensione della giurisdizione tributaria all’intera materia impositiva (art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sostitutivo del citato art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992), deve ritenersi che non può essere consentito al contribuente di sottrarsi alla giurisdizione delle commissioni tributarie – in favore di quella del giudice ordinario -, anticipando il momento fissato per l’accesso alla tutela in tale sede (nella fattispecie, le Sezioni unite hanno rigettato il ricorso avverso la sentenza della corte d’appello che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sia in ordine alla opposizione proposta avverso un “avviso di pagamento” dell’imposta suddetta, sostanzialmente equiparandolo al ruolo, sia in ordine alla domanda, di poco anteriore, con la quale la società contribuente aveva richiesto la declaratoria di non debenza della somma poi oggetto dell’avviso di pagamento)”.
Peraltro, come pure riconosciuto dall’Agenzia delle Dogane, la questione di giurisdizione può essere sempre posta, anche nel giudizio di cassazione, purché almeno una delle parti l’abbia sollevata tempestivamente nel giudizio di appello, con ciò impedendo la formazione del giudicato sul punto (Cass., SU, n. 7097 del 29 marzo 2011).
Nella specie, però, l’eccezione era stata proposta per la prima volta dall’amministrazione ricorrente (come affermato nel ricorso per cassazione) nella comparsa conclusionale di appello e, quindi, tardivamente.
Ne consegue che si era ormai formato il giudicato in ordine al profilo della giurisdizione.
2. Con il terzo motivo l’Agenzia delle Dogane contesta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 e dell’articolo 74 del d.P.R. n. 43 del 1973 poiché la corte territoriale avrebbe errato nell’escludere l’applicabilità, nella specie, dell’articolo 84, comma 3, del d.P.R. n. 43 del 1973.
La doglianza è fondata.
Ai sensi dell’articolo 84 del d.P.R. n. 43 del 1973, come modificato dall’articolo 29, comma 1, della legge n. 428 del 1990, “L’azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive nel termine di tre anni“.
Tale termine decorre, in virtù del disposto della lettera d) di detto articolo, “dalla data in cui i diritti sono divenuti esigibili, in ogni altro caso. Qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili. Se il mancato pagamento dipende da erroneo od inesatto accertamento della qualità, della quantità, del valore o della origine della merce, si applicano le disposizioni dell’articolo 74”.
Il citato articolo 74 del d.P.R. de quo, invece, si occupava della revisione dell’accertamento, prima di essere soppresso dall’articolo 24 del d.lgs. n. 374 del 1990.
In seguito, la revisione dell’accertamento è stata regolata, quindi, dall’articolo 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 che, in particolare, al comma 5, ha stabilito che “Quando dalla revisione, eseguita sia d’ufficio che su istanza di parte, emergono inesattezze, omissioni o errore relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato, notificando apposito avviso. Nel caso di rettifica conseguente a revisione eseguita d’ufficio, l’avviso deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data in cui l’accertamento è divenuto definitivo”.
Non può essere condivisa la posizione della corte territoriale, la quale sembra distinguere fra il recupero dei diritti doganali ex articolo 84 summenzionato e la rettifica prevista dall’articolo 11 del d.lgs. n. 374 del 1990, assoggettandoli alle distinte discipline, rispettivamente, della prescrizione e della decadenza.
La Corte di appello di Bologna ha ritenuto, infatti, non applicabile al potere di rettifica esercitato dall’Agenzia delle Dogane il termine prescrizionale triennale dell’articolo 84 del d.P.R. n. 43 del 1973, come modificato dalla dall’articolo 29, comma 1, della legge n. 428 del 1990, da differire, quanto all’inizio della sua decorrenza, in relazione alla prospettazione di una notitia criminis, ma ha rilevato, piuttosto, l’intervenuta decadenza dal potere di accertamento in rettifica, atteso che gli avvisi erano stati notificati nel 2000 (mentre gli accertamenti erano del 1991) e, dunque, ben oltre la scadenza del termine di decadenza stabilito dall’articolo 11 del d.lgs. n. 374 del 1990, non potendosi riconoscere effetto sospensivo alla pendenza di un processo penale.
Si osserva, al riguardo, in conformità al consolidato orientamento della Corte di legittimità (Cass., Sez. 5, n. 615 del 12 gennaio 2018; Cass., Sez. 5, n. 26045 del 16 dicembre 2016), che, in tema di tributi doganali, ove il loro mancato pagamento derivi da un reato, sia il termine di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione sia quello di decadenza per la revisione dell’accertamento ex art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 sono prorogati sino ai tre anni successivi alla data d’irrevocabilità della decisione penale, a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una notitia criminis tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta.
In particolare, la S.C. ha avuto modo di precisare che l’istituto della revisione dell’accertamento per procedere al recupero dei dazi (già previsto dall’articolo 74 del d.P.R. n. 43 del 1973 e successivamente disciplinato dall’articolo 11 della legge n. 374 del 1990) non deve essere applicato per il recupero dei diritti doganali evasi per fatti penalmente rilevanti (Cass., Sez. 5, n. 19540 del 10 settembre 2009), essendo questa procedura destinata solo ai casi in cui la nuova liquidazione dei diritti di dogana sia determinata da una differente qualificazione delle merci importate in relazione alla loro intrinseca natura (indagine cd. fattuale) e non anche qualora – impregiudicata l’identificazione soggettiva ed oggettiva degli elementi fiscalmente rilevanti – la nuova liquidazione origini da una diversa classificazione tariffaria o da una errata individuazione del regime daziario applicabile (come nelle ipotesi di irregolarità e/o falsità dei certificati di provenienza) e non siano richieste ulteriori indagini tecnico-merceologiche, ma solo valutative-interpretative del trattamento da riconoscere sulla base della documentazione di corredo (indagine cd. giuridica), bastando, in simile ipotesi, attivare il rimedio generale ex articolo 81, comma 2, ed 82 del d.P.R. n. 43 del 1973, per la riscossione dei diritti doganali maturati successivamente alla liquidazione, con relativa sottrazione del provvedimento impositivo al termine triennale di decadenza decorrente dalla definitività dell’accertamento (Cass., Sez. 5, n. 30710 del 30 dicembre 2011, soprattutto in motivazione).
Sul punto, occorre aggiungere che il Regolamento CEE del Consiglio n. 1697 del 24 luglio 1979 prevedeva all’articolo 2 il termine di tre anni per il recupero a posteriori dei dazi all’importazione o all’esportazione non riscossi, decorrente dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto al debitore ovvero, in mancanza di contabilizzazione, dalla data di nascita del debito doganale. Era prevista, però, dall’articolo 3 una eccezione a tale termine se lo stesso “non è applicabile qualora le autorità competenti accertino di non aver potuto determinare l’importo esatto dei dazi (…) legalmente dovuti per la merce in questione, a causa di un atto passibile di un’azione giudiziaria repressiva…”, eventualità nella quale l’azione di recupero delle autorità competenti “si esercita conformemente alle disposizioni vigenti in materia negli Stati membri” (e, pertanto, in base all’articolo 84 citato).
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, sia pure con riguardo all’articolo 221, nn. 3 e 4, del cd. codice doganale comunitario, che, nella sostanza, riproduce il contenuto degli artt. 2 e 3 del regolamento n. 1697 del 79, ha chiarito, con affermazioni di carattere sistematico che, quindi, riguardano anche la presente controversia, che “…l’importo dei dazi può essere comunicato dopo la scadenza del termine triennale qualora l’autorità doganale non abbia inizialmente potuto determinare l’importo esatto dei dazi legalmente dovuti a causa di un atto perseguibile a norma di legge, anche nell’ipotesi in cui tale debitore non sia l’autore dell’atto in questione” (Corte di Giustizia, 16 luglio 2009, C-124/08 e C- 125/08, Gilbert Snauwaert e altri, punti 30 e 32), successivamente ribadendo che la comunicazione al debitore può essere effettuata, “alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti”, dopo la scadenza del termine triennale di cui al paragrafo 3, qualora l’obbligazione sorga a seguito di un atto perseguibile penalmente (Corte di Giustizia, 17 giugno 2010, in causa C-75/09, Agra s.r.l.).
La Suprema Corte ha, quindi, coerentemente affermato che “In tema di dazi doganali, ai sensi dell’art. 221, n. 3 e 4, del cd. codice doganale comunitario, anche il termine di decadenza per la revisione dell’accertamento si sospende, nell’ipotesi nella quale l’autorità doganale non abbia potuto determinare l’importo esatto dei dazi dovuti ove venga incardinato un correlato procedimento penalmente rilevante a carico del debitore, sino alla data di irrevocabilità della decisione che lo definisce, anche se si accerti che l’obbligato non era responsabile sul piano penale: tale disciplina, incidendo sull’accertamento dei diritti doganali, prevale sulle norme nazionali in tema di decadenza ed opera purché la notizia di reato, intervenuta prima della scadenza del relativo termine, sia contenuta in un atto emesso dall’autorità giudiziaria o da ufficiali di polizia giudiziaria”.
Pertanto, prive di pregio sono le considerazioni della corte territoriale in ordine alla natura procedimentale del termine di decadenza di cui agli articoli 74 del d.P.R. n. 43 del 1973 ed 11 del d.lgs. n. 374 del 1990, da contrapporre a quello di prescrizione ex articolo 84 del d.P.R. n. 43 del 1973, avente carattere sostanziale, ed alla non applicabilità all’istituto della decadenza delle norme sulla sospensione della prescrizione.
Infatti, il richiamato articolo 84 espressamente differenzia, alla menzionata lettera d), il proprio oggetto rispetto a quello del citato articolo 74 (poi sostituito dall’articolo 11 della legge n. 374 del 1990), limitandone la portata alle situazioni ove “il mancato pagamento dipende da erroneo od inesatto accertamento della qualità, della quantità, del valore o della origine della merce”.
Deve ritenersi, quindi, che l’articolo 84 regoli tutte le fattispecie per le quali si ponga un problema di coesistenza con un procedimento penale, con riferimento a cui, piuttosto che parlare di sospensione della prescrizione ex articolo 2941 c.c. fino al termine del detto procedimento, dovrebbe venire in questione la tematica dell’individuazione del dies a quo di decorrenza ai sensi dell’articolo 2935 c.c.
Ne consegue l’accoglimento del motivo.
3. Il ricorso va, pertanto, accolto, limitatamente al terzo motivo, respinti il primo ed il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, che la deciderà nel merito, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– accoglie il terzo motivo di ricorso, respinti il primo ed il secondo;
– cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna, altra sezione, affinché decida la causa nel merito anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 febbraio 2019, n. 4935 - In tema di tributi doganali, l'azione di recupero "a posteriori" dei dazi all'importazione o all'esportazione può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla data di…
- AGENZIA DELLE DOGANE - Circolare 28 aprile 2021, n. 15 - Importazioni in esenzione dai dazi all’importazione e dall’iva - Decisione della commissione europea n. 2021/660 del 19 aprile 2021 recante modifica della decisione (ue) 2020/491 relativa all’esenzione…
- AGENZIA DELLE DOGANE - Circolare 30 dicembre 2021, n. 46 - Importazioni in esenzione dai dazi all’importazione e dall’iva decisione della commissione europea n. 2021/2313 del 22 dicembre 2021 relativa all’esenzione dai dazi doganali all’importazione e dall’iva…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 giugno 2022,n. 19180 - L'art. 20 del detto d.lgs. n. 472/97 distingue nettamente il termine di decadenza, entro il quale deve essere contestata la violazione ed irrogata la sanzione, individuandolo in cinque anni o nel diverso…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 luglio 2018, n. 18922 - Tributi doganali (diritti di confine - dazi all'importazione ed alla esportazione - diritti doganali) - In genere dazi "antidumping" - Importazioni di parti di biciclette necessità l'autorizzazione
- Corte di Cassazione ordinanza n. 21444 del 6 luglio 2022 - L’invio di una notizia di reato comporta la sospensione dei termini di prescrizione per l’accertamento dei maggiori dazi il cui mancato pagamento, totale o parziale, abbia causa da un reato; dal…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Antiriciclaggio: i nuovi 34 indicatori di anomalia
L’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) con il provvedimento del 12 maggio 202…
- La non vincolatività del precedente deve essere ar
La non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di ga…
- Decreto Lavoro: le principali novità
Il decreto lavoro (decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 “Misure urgenti p…
- Contenuto dei contratti di lavoro dipendenti ed ob
L’articolo 26 del decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 ha introdotti impo…
- Contratto di lavoro a tempo determinato e prestazi
L’articolo 24 del decreto legge n. 48 del 4 maggio 2023 ha modificato la d…