CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 luglio 2019, n. 17954
Tributi locali – ICI – Accertamento – Omesso versamento – Immobili – Esenzione – Presupposti
Ritenuto che
– la controversia ha ad oggetto l’impugnativa un avviso di accertamento con cui il comune ha accertato l’omesso versamento dell’ICI per l’anno 2005, oltre sanzioni e interessi relativo ad alcuni immobili dell’Istituto Suore Carmelitane Teresiane, ritenuti dal comune di Roma Capitale non esenti dall’imposta ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 504 del 1992;
– la C.T.R. del Lazio, confermando la Commissione tributaria provinciale, ha accolto il ricorso della parte contribuente sulla base delle seguenti considerazioni: il comune non ha contestato le prove fornite dalla parte contribuente; le attività svolte negli immobili oggetto di controversia rientrano tra le previsioni di cui all’art. 16, lett. a), della I. n. 222 del 1985 e risultano tutte svolte con modalità che inducono a ritenerle dirette all’esercizio delle finalità istituzionali dell’ente ed in assenza di intenti commerciali;
– avverso la sentenza ricorre il comune, mentre la parte contribuente, resiste con controricorso.
Considerato che
1. Con un unico motivo d’impugnazione il comune lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992; in particolare, si duole che il giudice di merito abbia ritenuto la sussistenza dell’esenzione prevista dall’articolo da ultimo citato, sul presupposto della modesta entità del volume d’affari relativo allo svolgimento di attività diverse da quelle da quelle religiose e di culto.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. L’art. 7 comma 1 lett. i) del d.lgs. n. 504 del 1992 nel testo vigente dal 01/01/2003 al 03/10/2005 disponeva l’esenzione ICI per “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lettera c ), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”.
Tale art. 7 è stato integrato e modificato, dal d.l. n. 203 del 2005, art. 7, comma 2 bis, convertito in I. n. 248 del 2005, che aveva esteso l’esenzione alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse.
La norma ha, poi subito, un’ulteriore modificazione, con il d.l. n. 223 del 2006, art. 39, convertito con modificazioni nella I. 248 del 2006 che, sostituendo il comma 2 bis, del citato art. 7, ha stabilito che l’esenzione disposta dal d.lgs. n. 504 del 1992 art. 7, comma 1, lett. i), si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera “che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.
Le modifiche legislative ora riportate non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo (in questo senso Cass. n. 14530 del 2010; Cass. n. 14795 del 2015).
Occorre precisare, inoltre, che le condizioni dell’esenzione sono cumulative nel senso che è richiesta la coesistenza, sia del requisito soggettivo riguardante la natura non commerciale dell’ente, sia del requisito oggettivo in forza del quale l’attività svolta nell’immobile deve rientrare tra quelle previste dall’art. 7 citato; si deve trattare di immobili destinati direttamente ed in via esclusiva allo svolgimento di determinate attività, tra le quali, quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana (cfr. Cass. n. 13966 del 2016).
Con riguardo alla verifica del requisito oggettivo è, pertanto, irrilevante, la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi; tale elemento, costituendo una fase successiva, non fa, infatti, venir meno il carattere commerciale dell’attività (Cass. n. 24500 del 2009).
Sotto il profilo della distribuzione degli oneri probatori è stato affermato ed è un principio del tutto condiviso da questo collegio che “il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n.6711 del 2015).
Sul diverso versante della compatibilità della norma in esame con il diritto unitario, da tempo si è affermato un orientamento di legittimità secondo cui deve tenersi conto della decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012. Tale pronuncia ha verificato se il d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), in tema di esenzione ICI, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, in particolare con l’art. 107, paragrafo 1, del Trattato, che dispone: “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. E’ stato, poi, precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato. La finalità sociale dell’attività svolta non è di per sé sufficiente ad escluderne la classificazione in termini di attività economica.
Per escludere la natura economica dell’attività è necessario che essa sia svolta a titolo gratuito o dietro il versamento di un importo simbolico.
Da tali rilievi consegue l’irrilevanza delle argomentazioni sulle finalità solidaristiche che connotano le attività svolte dalla parte contribuente.
1.3. Nel caso di specie, trattandosi dell’Ici relativa all’anno 2005, si applica la normativa anteriormente vigente alla luce dei principi ora esposti. La parte contribuente ha riconosciuto l’utilizzo concreto di un immobile attraverso l’esclusiva destinazione dello stesso ad attività didattiche e/o ricettive e di religione o di culto. Nel controricorso, in particolare, ha chiarito (pag. 9 e ss.) che il fabbricato è utilizzato come “studentato universitario, con licenza per casa per ferie, come scuola paritaria materna ed elementare e come convivenza religiosa della locale comunità delle consorelle”.
Non vi è dubbio, pertanto, che si possa parlare nel caso di specie di esercizio di attività economica, con conseguente inapplicabilità dell’esenzione per cui è causa.
Né può tenersi conto della circolare ministeriale (29 gennaio 2009) esplicativa dei criteri utili per stabilire quando le attività di cui all’art. 7 lett. i) debbano essere considerate di natura «non esclusivamente commerciale». La Commissione UE nella pronuncia sopra richiamata ha ritenuto, infatti, che l’applicazione dei criteri di cui alla citata circolare non vale ad escludere la natura economica delle attività interessate ed ha concluso nel senso che l’esenzione di cui all’art. 7 citato costituisce aiuto di Stato. In quella ipotesi, tuttavia, non è stato ritenuto possibile ordinare il recupero delle somme.
Tale ultimo aspetto è stato di recente affrontato e risolto dalla sentenza della CGUE del 6 novembre 2018, (cause riunite C-622/16 P – C-623/16 P, C-624/16). E’ stato chiarito, infatti, che l’ordine di recupero di un aiuto illegale è la logica e normale conseguenza dell’accertamento della sua illegalità e che diversamente si farebbero perdurare gli effetti anticoncorrenziali della misura. In questo senso è stato precisato che le decisioni della Commissione volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale hanno portata generale.
Deve quindi concludersi, dando seguito a un orientamento di legittimità di recentemente espresso (Cass. n. 4066 del 2019), che l’esenzione prevista in favore degli enti non commerciali dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa dell’Unione Europea solo qualora abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica nei termini sopra precisati: quando l’attività sia svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico.
Nella motivazione della sentenza impugnata si afferma che le prove fornite dalla parte contribuente ai fini dell’esenzione non sono state contestate e che le attività ivi svolte sono esercitate con “modalità che inducono a ritenerle dirette all’esercizio delle finalità istituzionali dell’ente in assenza di specifici intenti commerciali”.
Non considerando la natura economica e commerciale dell’attività svolta, la pronuncia, dunque, non ha fatto buon governo dei principi ora esposti da cui il collegio non ha ragione di discostarsi.
Segue l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, trattandosi di attività di carattere economico, per come riconosciuto dalla stessa parte contribuente e per le ragioni sopra esposte, ne consegue il rigetto dell’originario ricorso introduttivo.
3. Le spese liquidate in dispositivo vengono regolate secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
– accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso introduttivo;
– condanna la parte contribuente a pagare in favore del comune le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 2200,00 per compensi, oltre rimborso e spese forfettarie nella misura del 15 % ed accessori di legge.
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