CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2018, n. 10643
Imposte sui redditi – Reddito d’impresa – Accertamento – Contenzioso tributario
Rilevato che
– l’Agenzia delle entrate ha notificato avviso di accertamento nei confronti della F.lli L. s.r.l., con il quale, per l’anno 1999: a) ha contestato ricavi non contabilizzati, determinati con il metodo della percentuale di ricarico, b) ha disconosciuto la deduzione di perdite su crediti e di costi per prestazioni di servizi;
– la decisione di primo grado, interamente favorevole per la contribuente, è stata confermata in grado d’appello dalla Commissione tributaria regionale della Basilicata (Ctr);
– secondo la Ctr i verificatori avevano determinato la percentuale di ricarico sulla base di un campione esiguo, avendo preso in considerazione soltanto il 2,2% di tutti gli articoli in giacenza;
– inoltre erano stati presi in considerazione prodotti acquistati successivamente al periodo fiscale oggetto di accertamento;
– il metodo, pertanto, non aveva i requisiti di gravità precisione e concordanza necessari per giustificare la rettifica induttiva del reddito ex art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973;
– la Ctr riteneva che la perdita su crediti fosse stata legittimamente dedotta, avendo la società fornito prova documentale delle azioni legali intraprese per il recupero di quanto dovuto;
-contro la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;
-la società ha resistito con controricorso.
Considerato che
– il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per omissione di pronuncia sul motivo d’appello con il quale l’Ufficio aveva lamentato la carenza di motivazione della sentenza di primo grado;
– lo stesso motivo denuncia violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c. per avere la Ctr omesso di indicare gli argomenti idonei a giustificare la decisione favorevole per la contribuente, analogamente a quanto verificatosi nel precedente grado di giudizio;
– il primo profilo del motivo è infondato;
– è stato chiarito che «in considerazione dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza d’appello e del principio secondo cui le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione (con la conseguenza che il giudice di secondo grado investito delle relative censure non può limitarsi a dichiarare la nullità ma deve decidere nel merito), non può essere denunciato in cassazione un vizio della sentenza di primo grado ritenuto insussistente dal giudice d’appello» (Cass. n. 17072/2007; conf. n. 11537/1996);
– tali principi, mutatis mutandis, impongono di considerare inammissibile anche la censura di omessa pronuncia sulla deduzione con cui sia stata fatta valere, in sede di appello, la carenza di motivazione della sentenza di primo grado;
– pure se il vizio fosse stato riscontrato, il giudice non poteva fare altro che decidere nel merito;
– pertanto l’unica cosa che rileva in casi del genere è se sia motivata e come sia motivata la sentenza d’appello;
– è infondato anche il secondo profilo di censura di cui al motivo in esame;
– la motivazione non solo esiste come parte grafica del documento, ma è sviluppata in modo tale da rendere perfettamente comprensibili le ragioni del decisum (Cass., S.U., n. 22232/2016);
– il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma primo, del d.P.R. n.600 del 1973 (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.);
– il motivo investe la statuizione della Ctr in ordine alla determinazione induttiva del reddito tramite percentuale di ricarico;
– su questo punto la decisione è fondata su due rationes decidendi autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico: a) l’esiguità del campione e quindi la sua inidoneità a giustificare la rettifica induttiva; b) l’utilizzazione di una percentuale di ricarico relativa a un diverso periodo di imposta (ritenuta illegittima);
– ambedue le ragioni sono oggetto della censura di cui al motivo in esame;
– la censura, nella parte in cui si dirige contro la valutazione della Ctr riguardante la esiguità del campione, è infondata;
– secondo l’orientamento di questa Corte non è sufficiente che l’ufficio determini la percentuale mediante il confronto fra prezzi di acquisto e di vendita di alcuni beni, ma deve estendere il raffronto a tutti o quanto meno alla maggior parte dei beni commercializzati;
– in pratica l’ufficio deve definire la base del calcolo sulla base di un paniere che comprenda i prodotti commercializzati più significativi; e nell’ipotesi che l’azienda tratti prodotti notevolmente differenti, per calcolare la percentuale non può utilizzare la media aritmetica semplice, ma deve avvalersi di quella ponderale (Cass. n. 4312/2015; Cass. n. 13319/2011);
– in questo senso i rilievi della Ctr sulla esiguità del campione non sono in contrasto con tali principi, per cui la sentenza andava semmai censurata per vizio di motivazione, in rapporto a fatti, dedotti e non esaminati, che rendevano nel caso di specie adeguato il paniere di prodotti su cui fu calcolato il ricarico;
– l’Agenzia delle entrate richiama un precedente di questa Suprema Corte, intervenuto fra le medesime parti, in relazione a sentenza d’appello che aveva accolto analoga eccezione con riferimento a diverso periodo di imposta;
– il richiamo non è pertinente, perché in quella occasione la sentenza d’appello era stata censurata non per violazione di legge, ma per vizio di motivazione, in relazione al fatto che il contribuente aveva partecipato all’attività di verifica senza contestazione (Cass. n. 4293/2009);
– la infondatezza della censura relativa una delle due autonome rationes decidendi su cui fonda la decisione rende inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, la censura relativa all’altra ragione, in quanto non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra, alla cassazione della decisione stessa (Cass. n. 2108/2012);
– il terzo motivo (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.) denuncia violazione dell’art. 66, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986;
– la Ctr ha riconosciuto la perdita su un credito originario di lire 64.558.590, in relazione al quale la contribuente aveva accettato, a titolo transattivo, la minore somma di lire 6.400.000;
– il motivo è infondato;
– «in tema di imposte sui redditi, non è necessario, al fine di ritenere deducibili le perdite sui crediti quali componenti negative del reddito d’impresa, che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell’insolvenza del debitore e, quindi, l’assoggettamento di costui ad una procedura concorsuale, essendo sufficiente che tali perdite risultino documentate in modo certo e preciso, atteso che secondo il disposto dell’art. 66, comma terzo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, le perdite sono deducibili, oltre che se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, quando, comunque, risultino da elementi certi e precisi» (Cass. n. 23863/2007);
– è stato anche chiarito che «in tema di tassazione, ai fini delle imposte sui redditi, delle perdite su crediti la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita conseguente perché il legislatore ha riguardo solo alla oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa» (Cass. n. 10256 del 2013);
– nel caso in esame la sentenza ha riconosciuto la deducibilità non in astratto, ma sulla base del rilievo che le azioni intraprese per il recupero del credito non avevano avuto esito (notificazione del precetto e istanza per la dichiarazione di fallimento);
– in questi termini la decisione è in linea con i principi di cui sopra, posto che la valutazione positiva sulla deducibilità della perdita è pur sempre fondata sulla considerazione di fatti oggettivi, che rendevano ragionevole e giustificata la scelta dell’imprenditore di transigere per importo sensibilmente inferiore al credito originario, invece di proseguire nell’azione giudiziale;
– il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 74 del d.P.R. n. 917 del 1986 (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.);
– il motivo riflette la ragione di ripresa riguardante l’indebita deduzione di costi;
– fatto è, però, che nella sentenza non c’è alcunché di riferibile a questo aspetto, per cui la pronuncia andava censurata per violazione dell’art. 112 c.p.c., indicando dove e come la relativa deduzione fu proposta al giudice d’appello;
– il motivo, invero, non contiene alcuna censura della sentenza, ma il suo sviluppo è inteso a evidenziare la decisione che la Ctr avrebbe dovuto assumere;
– in conclusione il ricorso va rigettato;
– le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 5.800,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.
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