CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2018, n. 10668
Imposte indirette – IVA – Rivenditrice veicoli usati – Regime del margine
Rilevato che
– con l’avviso di accertamento n. 83902T20401055, relativo all’anno di imposta 2003, l’Agenzia delle entrate, sulla base di rilievi effettuati dalla G. di F. di Padova, contestò, per quanto qui interessa, alla A. s.a.s. di P.G. & C., rivenditrice di veicoli usati, l’illegittima applicazione del regime del margine di utile in materia di IVA, relativamente ad una pluralità di operazioni di rivendita di autoveicoli, acquistati da una società nazionale, la E. s.r.l., a sua volta cessionaria di altre società e, all’origine, di società cedenti, estere comunitarie, le quali, in quanto esercenti attività di autonoleggio e simili, avevano diritto a detrarre l’IVA pagata a monte, sicché, mancando l’assolvimento definitivo dell’imposta, si trattava di operazioni che non potevano fruire del regime speciale del margine;
– avverso l’atto impositivo, l’A. s.a.s., propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria di Padova, che lo accolse;
– la Commissione tributaria regionale del Veneto ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate con sentenza depositata il 30 marzo 2012;
– il giudice di appello ha ritenuto che la contribuente abbia legittimamente applicato il regime del margine, precisando, sul punto, che «appare non contestato il fatto che le autovetture per le quali è stato effettuato il recupero IVA avevano tutti i requisiti formali richiesti dalla normativa allora in vigore per l’applicazione del “regime del margine”» e, ancora, che, avendo la A. acquistato le autovetture solo come terzo acquirente «sulla base di fatture regolari che riportavano formalmente l’applicazione del regime del margine, le sole indicazioni riportate sui libretti di circolazione (che, a detta dell’Ufficio, indicavano come primo proprietario società di autonoleggio, per le quali solo in quanto tali, si presupporrebbe, senza peraltro che sussista alcuna certezza in merito, l’applicazione dell’IVA alla successiva cessione) di per sé non sembrano contenere gli elementi necessari e sufficienti affinché l’odierna appellata potesse con certezza determinare l’irregolare applicazione di tale regime»;
– il giudice a quo ha poi aggiunto che «manca peraltro qualunque prova sul fatto che la A. s.a.s. di P.G. & C., fosse compartecipe della ipotetica frode ideata ed attuata dalla E. s.r.l. con i propri fornitori e da questi con i cedenti comunitari»;
– avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui ha resistito, con controricorso, la A. s.a.s.;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis, 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 – bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197;
Considerato che
– con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate, denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 36-40 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, degli artt. 38, comma 4, e 47 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, degli artt. 4, 21, 25, 28 e 45 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, della Direttiva CEE n. 77/99 e successive modificazioni, del Regolamento CEE n. 218/92 e dell’art. 2697 cod. civ., per avere il giudice a quo, disconoscendo i principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia nelle sentenze del 12 gennaio 2006 – cause riunite C-354/03, 355/03 e C 484/03 e del 6 luglio 2006 – cause riunite C-439/04 e C-440/04 – nonché da questa Corte nella sentenza n. 3427 del 2010 (e in altre successive), ritenuto legittima l’applicazione da parte della A. s.a.s. dello speciale regime del margine in materia di IVA, relativamente ad una pluralità di operazioni di rivendita di autoveicoli usati acquistati dalla E. s.r.l., a sua volta cessionaria di altre società cedenti nazionali e, all’origine, di società estere comunitarie;
– in particolare, l’Agenzia delle entrate contesta la ratio deciderteli della sentenza impugnata – con la quale, come indicato in narrativa, il giudice di appello ha ritenuto sufficiente ai fini anzidetti che la A. s.a.s. avesse acquistato le autovetture dalla E. s.r.l. sulla base di «fatture regolari che riportavano formalmente l’applicazione del regime del margine» – sul rilievo che, a fronte dell’emersione, nel caso di specie, dagli stessi libretti di circolazione della provenienza dei veicoli da società di autonoleggio o simili (con possibilità, dunque, di detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti), la contribuente – cessionaria non aveva assolto l’onere probatorio in ordine alla sussistenza in capo all’originario cedente-operatore comunitario dei “requisiti soggettivi” di cui all’art. 36, comma 1, del D.L. n. 41 del 1995, e, dunque, in ordine alla condizione indefettibile di applicabilità del regime speciale del margine concretantesi nella indetraibilità dell’Iva versata “a monte” da un soggetto appartenente ad una delle categorie indicate dalla legge;
– devono essere, preliminarmente, esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dalla A. s.a.s., che risultano infondate;
– quanto, in primo luogo, alla dedotta inammissibilità, ai sensi dell’art. 360 bis, numero 1, c.p.c. per avere il provvedimento impugnato deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, senza che l’esame dei motivi offra elementi per mutare l’orientamento della stessa, quando la decisione impugnata presenta il vizio della violazione della norma di diritto assunta a motivo di ricorso, secondo l’interpretazione che la Cassazione segue al momento della pronuncia, il ricorso deve essere accolto al di là del fatto che contenga o meno elementi utili per il mutamento della giurisprudenza (Cass., ord., sez.un., 6 settembre 2010, n. 19051);
– parimenti insussistente è la dedotta violazione del principio di autosufficienza del ricorso, il quale impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. 27 ottobre 2017, n. 25567; Cass. 14 giugno 2011, n. 12970);
– nella specie, invero, l’Agenzia delle entrate ha ritualmente adempiuto all’onere, imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., di indicare specificamente nel ricorso gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, provvedendo, altresì, alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo e fornendo tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare le dedotte violazioni;
– il ricorso è fondato alla luce dell’orientamento espresso dalle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 12 settembre 2017, n. 21105) secondo cui «In tema di IVA, il regime del margine – previsto dall’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, conv. con modif. in I. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi.
Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto), al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto. Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se I’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole»;
– nella sentenza impugnata, il giudice a quo, nel valutare il comportamento della A. s.a.s., non si è attenuto al suindicato principio di diritto;
– infatti, a fronte di una oggettiva contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria circa la presunta mancanza del “requisito soggettivo” in capo al cedente comunitario originario dante causa (per essere emersa dagli stessi libretti di circolazione la provenienza degli autoveicoli da società di autonoleggio e simili, con possibilità di detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti), il giudice di appello, nel ritenere sufficiente ai fini dell’applicazione del regime del margine la formale indicazione nelle regolari fatture emesse dalla E. s.r.l. della circostanza che i beni fossero già stati assoggettati a tale trattamento fiscale (non potendo – a suo avviso – la A. s.a.s. desumere con certezza dai libretti di circolazione l’irregolare applicazione di tale regime e non essendo, peraltro, emersa la prova della compartecipazione da parte della A. s.a.s. ad una frode IVA), non ha fatto ricadere sulla contribuente – cessionaria la prova della propria buona fede, e, cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto (secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità rapportati al caso concreto);
– pertanto, il giudice a quo, in violazione del principio di diritto sopra richiamato, non ha fatto rientrare nell’ambito delle precauzioni che si potevano senz’altro richiedere alla contribuente-cessionaria di veicoli d’occasione l’esame della “storia” dei veicoli, quantomeno con riferimento all’individuazione dei precedenti intestatari del mezzo, risultanti dalla carta di circolazione, documento in possesso dell’acquirente in quanto indispensabile per il perfezionamento dell’operazione; ciò al fine di verificare, eventualmente mediante l’acquisizione di ulteriori dati di rapido reperimento, se essi fossero, o meno, soggetti legittimati ad esercitare il diritto di detrazione dell’IVA ;
– il ricorso va, quindi, accolto e la sentenza cassata, con rinvio anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, affinché esamini il merito della vicenda.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione.
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