CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2018, n. 10700
Tributi – IRPEF – Imposta di registro – Accertamento – Vendita terreni – Plusvalenza
Premesso che
1. l’Agenzia delle Entrate rettificava la dichiarazione Irpef presentata da R.C. relativamente all’anno 2002, ritenendo sussistente una plusvalenza derivata dalla vendita di terreni il cui valore complessivo era stato elevato da quello di cui in contratto, di € 68.146,00, a quello di € 95.000,00, come definito con gli acquirenti in sede di accertamento con adesione dell’imposta di registro;
2. l’avviso di rettifica veniva impugnato dal contribuente siccome privo di motivazione e basato su stima contestata;
3. l’adita commissione tributaria provinciale di Pisa annullava l’avviso sul rilievo assorbente che esso, in quanto basato unicamente sull’atto richiamato ma non allegato, con cui era stato definito il valore dei terreni con gli acquirenti senza coinvolgere il C., non rispettava il requisito motivazionale di cui all’art. 52, comma 2 bis, d.P.R. 131/86, ed era, pertanto, illegittimo;
4. la decisione, appellata dalla Agenzia delle Entrate, era confermata dalla commissione tributaria regionale della Toscana con sentenza in data 27 gennaio 2011, con la quale la commissione ribadiva quanto affermato dai giudici di primo grado e, riprendendo l’iniziale eccezione del contribuente, evidenziava che la rettifica era stata basata, “con una specie di automatismo” privo di fondamento normativo, sull’estensione della stima del valore degli immobili, concordata con gli acquirenti ai fini dell’imposta di registro, ai diversi fini dell’imposta sui redditi del venditore;
5. l’ Agenzia ricorre con due motivi per la cassazione della suddetta sentenza;
6. il C. non ha svolto difese;
Considerato che
1. con i due motivi di ricorso l’Agenzia lamenta:
1.1. violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 212/2000 e 52, comma 2 bis d.P.R. 131/86, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere, la commissione tributaria regionale, erroneamente ritenuto necessario, ai fini del requisito motivazionale dell’avviso di accertamento, l’allegazione e non la sola indicazione degli atti di definizione del valore per l’imposta di registro;
1.2. violazione e falsa applicazione degli artt. 67 e 68 d.P.R. 917/1986, 37 e 38 d.P.R. 600/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere, la commissione tributaria regionale erroneamente negato che il valore accertato ai fini dell’imposta di registro potesse valere anche ai fini Irpef in mancanza di elementi di segno contrario dati dal contribuente;
2. il secondo motivo di ricorso è infondato e ciò basta a giustificare il rigetto dell’impugnazione, con assorbimento del primo motivo:
2.1 l’art. 5, 3° comma, d.leg. n. 147 del 2015 stabilisce che “gli artt. 58, 68, 85 e 86 del T.U. imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 , ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347 “;
2.2. come è stato sottolineato in dottrina, l’espressione “l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato o accertato” ai fini delle imposte indirette, comporta che non è sufficiente all’ufficio, ai fini della rettifica della dichiarazione Irpef, la produzione di una valutazione -nella specie, la valutazione concordata con gli acquirenti che attribuisce al bene un valore superiore rispetto al corrispettivo dichiarato, in quanto in tal modo viene richiamato pur sempre un “valore”, mentre la novella utilizza solamente l’espressione “maggiore corrispettivo”, con la conseguenza che la rettifica della plusvalenza ai fini irpef può essere legittimamente eseguita solamente se la prova, anche presuntiva, offerta dall’ufficio, investa precisamente il corrispettivo, dimostri cioè l’occultamento di una parte del prezzo della vendita come può avvenire, secondo i canoni ermeneutici della rettifica alla base imponibile sancita dall’art. 54 del D.P.R. n. 633/1972, sulla base, ad esempio, di riscontri degli strumenti di pagamento, reperimento di scritture o annotazioni con diverso corrispettivo, incrementi di spesa coevi non giustificati di entrate tracciabili;
2 .3 . questa Corte ha ripetutamente affermato che la sopra richiamata disposizione di cui all’art. 5, 3° comma, d.leg. n.147 del 2015, ponendosi espressamente come norma d’interpretazione autentica, ai sensi della L. n.212 del 2000, art. 1, comma 20, è applicabile retroattivamente, con la conseguenza che l’orientamento giurisprudenziale pregresso, secondo cui vi era una presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, salvo dimostrazione, incombente sulla parte contribuente, di avere in concreto venduto o acquistato ad un prezzo inferiore, deve ritenersi ormai superato anche per le controversie già iniziate sotto il vigore della disciplina previgente (Cass. ord. 319/2018; 12319/2017; ord. 24857/2016; ord. 11543/2016; 6135/2016);
3. non vi è luogo a pronuncia sulle spese processuali stante la mancata costituzione della parte intimata;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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