CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2018, n. 10763
Inps – Gestione esercenti attività commerciali – Contribuzione – Socio amministratore – Requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale – Abitualità e prevalenza
Rilevato che
con sentenza n.1904/2011, la Corte d’appello di Palermo in riforma della sentenza di primo grado accoglieva il ricorso di P.P. avverso la cartella esattoriale emessa dall’INPS per il pagamento dei contributi dovuti alla Gestione esercenti attività commerciali, nella compresenza della sua iscrizione alla gestione separata di cui all’art. 2 comma 26 della legge 335/1995 in quanto socio amministratore della E. srl;
a fondamento della pronuncia la Corte sosteneva, in diritto, che l’interpretazione corretta dell’articolo 1 commi 202 e 208 della legge 662 del 1996, come convalidata dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione numero 3240/2010, portasse ad escludere che il socio di S.r.l. che partecipi personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza e nel contempo sia amministratore della medesima, percependo un apposito compenso, fosse tenuto ad iscriversi presso entrambe le gestioni previdenziali interessate (gestione commercianti e gestione separata ), ma dovesse iscriversi solo ad una delle due gestioni e cioè a quella di competenza per l’attività svolta in via prevalente;
in fatto la Corte rileva che nel caso di specie l’Inps pretendesse la contribuzione sulla sola base della formale posizione di socio rivestita dal P., mancando non solo la mera allegazione e prova dell’eventuale disimpegno di compiti operativi, ma la stessa istruzione testimoniale richiamata in primo grado quale unico supporto della decisione aveva confermato che l’appellante svolgesse solo i compiti di gestione che l’incarico di amministratore comporta in base alla recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione numero 3240 del 2010;
avverso tale pronuncia l’INPS ha ricorso per cassazione con un motivo di censura con il quale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, commi 203 e 208, della legge numero 662 del 1996, come interpretato dall’articolo 12, comma 11, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito in legge 30 luglio 2010 n. 122; nonché il vizio di motivazione per avere il giudice di secondo grado ritenuto che l’Istituto non avesse dimostrato il requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza pur essendo emerso in giudizio di primo grado in base alle dichiarazioni testimoniali che il P. “passava più volte alla settimana per dare le direttive e verificare il corretto andamento dell’attività e non svolgeva altre attività”;
che P.P. resiste con controricorso.
Considerato che
il ricorso è infondato, posto che in seguito all’emanazione della norma interpretativa sopraindicata – come ricordato dalla Corte di merito – le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.17076/2011, hanno riconosciuto, per un verso, la legittimità della doppia iscrizione (alla gestione separata ed alla gestione commercianti) del socio amministratore di srl che partecipi con abitualità e prevalenza al lavoro aziendale; e per altro verso, hanno escluso che la normativa in questione, a cagione della sua portata interpretativa, contrasti con i principi costituzionali e con quelli dettati dalla Convenzione EDU; fissando nella stessa sentenza i seguenti principi di diritto : “Il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1 – che prevede che la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208, si interpreta nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento va prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’INPS, mentre restano esclusi dall’applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, – costituisce disposizione dichiaratamente ed effettivamente di interpretazione autentica, diretta a chiarire la portata della disposizione interpretata, e pertanto, in quanto tale, non è lesiva del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, trattandosi di legittimo esercizio della funzione legislativa garantita dall’art. 70 Cost.
b) In caso di esercizio di attività in forma d’impresa ad opera di commercianti, o artigiani, o coltivatori diretti, contemporaneamente all’esercizio di attività autonoma per la quale è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non opera l’unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell’attività prevalente, quale prevista dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208″; la norma di interpretazione autentica è stata poi scrutinata positivamente anche dalla Corte Cost. (sentenza n.15/2012) adita dai giudici di merito, ed anche tale sentenza ha escluso qualsiasi profilo di illegittimità costituzionale riconoscendo alla norma una portata effettivamente interpretativa e come tale un’efficacia naturalmente retroattiva;
una volta stabilito che per il socio amministratore di società che partecipi all’attività aziendale vi possa essere in via di principio la doppia iscrizione consentita dalla legge (anche in base alla nuova norma interpretativa), rimane sempre da accertare in concreto, in ogni singola fattispecie, il presupposto della partecipazione personale all’attività aziendale commerciale in modo abituale e prevalente ai fini dell’iscrizione alla gestione commercianti; in materia occorre dare applicazione all’art.1, comma 203 legge 662/1996 il quale a sua volta ha sostituito il primo comma dell’articolo 29 della legge 3 giugno 1975, n. 160, con il seguente disposto: “L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla legge 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”.
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte (tra le tante Cass. 8474/2017) – che ha riconsiderato in senso estensivo il punto già esaminato dalla sentenza della Sez. Unite 3240 del 12.2.2010- il requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, deve essere inteso in relazione ad un criterio non predeterminato di tempo e di reddito, da accertarsi in senso relativo e soggettivo, ossia facendo riferimento alle attività lavorative espletate dal soggetto considerato in seno alla stessa attività aziendale costituente l’oggetto sociale della srl (ovviamente al netto dell’attività esercitata in quanto amministratore); e non già comparativamente con riferimento a tutti gli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali) dell’impresa; tale tesi meglio si attaglia all’interpretazione più logica della norma volta a valorizzare l’elemento del lavoro personale, come peraltro affermato nella stessa sentenza delle Sezioni Unite 3240/2010; ed aderisce poi maggiormente alla ratio estensiva dell’obbligo assicurativo introdotto dal legislatore per i soci di srl con la norma in esame, evitando di restringere l’area di applicazione dell’assicurazione commercianti e di lasciare fuori di essa tutti i casi in cui l’attività del socio di srl, ancorché rilevante ed abituale, non venga ritenuta preponderante rispetto agli altri fattori produttivi;
in base ai lavori preparatori, per come risulta anche dal parere (n. 926/1998), reso dal Consiglio di Stato su interpello del Ministero del Lavoro, la norma dettata dal comma 203 era finalizzata infatti ad eliminare, tra l’altro, i dubbi che erano stati sollevati a proposito dell’iscrizione nella gestione dei soci di srl e ad evitare che grazie allo schermo della struttura societaria la prestazione di lavoro resa dal socio nell’impresa sociale fosse sottratta alla contribuzione previdenziale; e nel contempo a superare la preesistente disparità di trattamento dei titolari di ditte individuali e dei soci di società di persone rispetto ai soci di società a responsabilità limitata;
in tale logica estensiva ed unificante diventa necessario considerare quindi la partecipazione al lavoro aziendale, ma, come già osservato da questa Corte (5360/2012) deve, altresì, precisarsi che, stante l’ampiezza della dizione usata dal legislatore, per partecipazione personale al lavoro aziendale deve intendersi non soltanto l’espletamento di un’attività esecutiva o materiale, ma anche di un’ attività organizzativa e direttiva, di natura intellettuale, posto che anche con tale attività il socio offre il proprio personale apporto all’attività di impresa, ingerendosi direttamente ed in modo rilevante nel ciclo produttivo della stessa;
tuttavia la partecipazione personale al lavoro aziendale in modo abituale e prevalente (anche attraverso un’attività di coordinamento e direttiva) è cosa diversa e non può essere scambiata con l’espletamento dell’attività di amministratore per la quale il socio è iscritto alla gestione separata;
occorre distinguere perciò tra prestazione di lavoro ed attività di amministratore; e la distinzione delle due posizioni è alla base dei dati normativi di partenza posto che, appunto, la legge ai fini della iscrizione alla gestione commercianti richiede come titolo che il socio partecipi al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; mentre qualora il socio si limiti ad esercitare l’attività di amministratore egli dovrà essere iscritto alla gestione separata;
non possono perciò confondersi, già sul piano logico giuridico, l’attività inerente al ruolo di amministratore con quella esercitata come lavoratore (neppure quando questa seconda attività si esplica al livello più elevato dell’organizzazione e della direzione);
si tratta di attività che rimangono su piani giuridici differenti, dal momento che l’attività di amministratore si basa su una relazione di immedesimazione organica o al limite di mandato ex 2260 c.c.; e comporta, a seconda della concreta delega, la partecipazione ad una attività di gestione, l’espletamento di una attività di impulso e di rappresentanza che è rivolta ad eseguire il contratto di società assicurando il funzionamento dell’organismo sociale e sotto certi aspetti la sua stessa esistenza; laddove l’attività lavorativa è rivolta alla concreta realizzazione dello scopo sociale, al suo raggiungimento operativo, attraverso il concorso dell’opera prestata a favore della società dai soci, e dagli altri lavoratori subordinati o autonomi;
nel caso in esame non solo non risulta che il P. partecipasse all’attività aziendale con un’attività di coordinamento o direttiva;
ma nemmeno risulta che l’Inps avesse comprovato in ogni caso l’abitualità dell’attività espletata e la prevalenza della stessa attività; non potendo essere certamente considerato rilevante ai fini in discussione quanto attestato nella medesima sentenza impugnata ovvero che il P. “svolgeva solo i compiti di gestione che l’incarico di amministratore comporta”; considerato altresì che le diverse allegazioni in fatto riferite nel ricorso dell’Inps non solo non appaiono conformi al principio di autosufficienza dal momento che non trascrivono né producono gli atti nei quali essi siano attestati; ma neppure deducono elementi decisivi ex articolo 360 numero cinque c.p.c.
pertanto, in conclusione, nel caso in esame la sentenza impugnata si sottrae alle censure rivolte contro di essa; sicché il ricorso deve essere respinto e le spese liquidate secondo soccombenza
P.Q.M.
Respinge ricorso e condanna l’INPS alla rifusione delle spese processuali liquidate in €. 3700 di cui €. 3500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese aggiuntive ed oneri accessori.
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