CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2018, n. 10768
Nullità del termine apposto al contratto di lavoro in somministrazione – Conversione in rapporto a tempo indeterminato presso l’utilizzatrice – Società in house a totale partecipazione pubblica – Disciplina vincolistica in materia di assunzioni – Divieto di conversione del rapporto di lavoro
Rilevato che
la Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale Marsala, accogliendo la domanda del lavoratore in epigrafe, proposta nei confronti della società B., dichiarava, ritenuta la nullità del termine apposto al contratto di somministrazione, a tempo indeterminato, e a decorre dal giorno 10 gennaio 2009, il rapporto di lavoro subordinato tra le parti con diritto del dipendente a riprendere servizio e condannava la società a titolo di risarcimento del danno di una indennità pari a tre mensilità della retribuzione;
a tanto, e per quello che rileva in questa sede, la Corte merito, dopo aver ritenuto, a differenza di quanto affermato dal Tribunale, la non intervenuta decadenza di cui all’art. 32 della legge 183/2010 e successive modifiche, perveniva sulla fondante considerazione che, pur operando nei confronti della B. A. il divieto, ex art. 18, comma 2 bis, del d.l.n.112/2008 convertito nella I. n.113/2008, introdotto dall’art. 19 del d.l. n. 78/2009 convertito in I. n. 102/2009, di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato per la nullità del termine del primo, siffatta normativa era inapplicabile al caso di specie perché il rapporto di lavoro dedotto in giudizio era stato costituito in epoca antecedente;
avverso questa sentenza la società B. A. propone ricorso per cassazione sulla base di tre censure cui resiste con controricorso la parte intimata;
il P.M. deposita conclusioni scritte.
Considerato che
con il primo motivo la società, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 della I. n. 183/2010, sostiene l’applicabilità nel caso di specie della decadenza prevista dalla denunciata normativa poiché l’impugnazione dei contratti interinali l’ultimo dei quali è scaduto il 30 settembre 2009 è intervenuta soltanto con nota del 25 febbraio 2012 e ” dunque oltre il termine ultimo” del 23 gennaio 2011;
con la seconda censura parte ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 27 e 86 del d.lgs n. 276/2003, art. 1 d.lgs n. 368/2001 in relazione agli artt. 35 e 36 del d.lgs n. 165/2001, art. 18, comma 2 bis, del d.l. n. 112/2008 convertito nella I. n. 113/2008, introdotto dall’art. 19 del d.l. n. 78/2009 convertito in I. n.102/2009, prospetta che essendo essa ricorrente, alla stregua dello statuto, società in house a totale partecipazione pubblica si applica la disciplina vincolistica in materia di assunzioni di cui all’art. 36 del d.lgs n. 165/2001 con conseguente divieto di conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro a tempo determinato ed irrilevanza della normativa di cui al richiamato art. 18, comma 2 bis, del d.l. n. 112/2008;
con la terza critica la società, asserendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 5°, della I. n. 183/2010 come autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 13, della I. n. 92/2012 in relazione all’art. 18, comma 2 bis, del d.l. n. 112/2008 convertito nella I. n. 113/2008, introdotto dall’art. 19 del d.l. n. 78/2009 convertito in I. n. 102/2009, assume che avendo natura costitutiva la sentenza che dispone la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed essendo tale sentenza, nella specie, intervenuta in epoca posteriore al detto art. 18, comma 2 bis, del d.l. n. 112/2008 trova applicazione il divieto di conversione ivi stabilito;
il primo motivo del ricorso è infondato poiché è oramai acquisito alla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale in tema di somministrazione di lavoro, la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, della l. n. 183 del 2010, e la conseguente proroga, di cui al comma 1-bis del medesimo articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione cessati o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 disp. prel. c.c., atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perché ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati, dovendosi pertanto escludere ogni profilo di retroattività; né l’introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia “ex nunc” determina una violazione degli artt. 24 Cost., 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE o 6 e 13 della CEDU, essendo stato assicurato un ambito temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità della nuova disciplina, attesa la proroga disposta “in sede di prima applicazione” dal citato comma 1-bis (per tutte Cass. n. 7788/2017);
nella specie il lavoratore non è incorso nella decadenza di cui trattasi perché, come dedotto dalla stessa parte ricorrente, l’impugnazione dei contratti interinali, l’ultimo dei quali è scaduto il 30 settembre 2009, è intervenuta con nota del 25 febbraio 2012 e quindi entro il termine di cui al citato art. 32 I. n. 183 del 2010 così come differito dal d.l. n. 225 del 2010;
la seconda censura non merita accoglimento;
invero, come già sottolineato da questo giudice di legittimità con sentenza n. 3621/2018, in tema di società partecipate le Sezioni Unite dì questa Corte, chiamate a pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo, hanno evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017); nella specie la disposizione di segno contrario, come posto in evidenza dalla citata pronuncia n. 3621/2018 intervenuta proprio in materia di società in house, è rappresentata dall’art. 18 del d.l. n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008 che, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 102/2009 di conversione del d.l. n. 78/2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, ed al comma 2 prescrive alle «altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo» di adottare «con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità», prevedendo, inoltre, al comma 2 bis che « le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale nè commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311»;
tuttavia la richiamata disposizione di segno contrario non è applicabile ratione temporis al contratto dedotto in giudizio sicché correttamente la Corte di Appello ha ritenuto operante il regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato con conseguente conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
l’ultimo motivo è infondato atteso che secondo giurisprudenza di questa Corte in materia di assunzioni dei lavoratori subordinati con illegittima apposizione della clausola di durata, trova applicazione, alla stregua del principio tempus regit actum, la disciplina vigente al momento della stipulazione del contratto a termine e non quella in vigore al momento della pronuncia della sentenza con effetti costitutivi, tenuto conto che la conversione del rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato non costituisce una sanzione atipica ma l’effetto della nullità del termine ( Cass. n. 24330/2009);
il ricorso in conclusione va rigettato e le spese del presente giudizio, tenuto conto delle oscillazioni in tema della giurisprudenza di merito e del recente assestarsi della giurisprudenza di legittimità in materia di società in house, vanno compensate;
ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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