CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2022, n. 14057
Licenziamento – Procedura di mobilità – Criterio legale per la selezione della platea dei lavoratori da licenziare – Violazione delle prescrizioni comportamentali di tempestiva ed esauriente comunicazione
Rilevato che
1. La Corte di appello di Palermo, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla K. s.p.a. e in parziale riforma della pronuncia di primo grado, previa declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato, all’esito della procedura di mobilità, con lettera del 2.11.2017 dalla K. s.p.a., ha dichiarato risolto, a far data dal recesso, il rapporto di lavoro instaurato con G. G. e ha condannato la società al pagamento, in favore dello stesso, di una indennità pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.
2. A differenza del primo giudice, che l’aveva ritenuta questione dirimente e assorbente l’esame di ogni altra, la Corte territoriale ha negato l’applicabilità (quale criterio legale per la selezione della platea dei lavoratori da licenziare, siccome contrario a quello stabilito dall’art. 5 I. 223/1991) dell’anzianità convenzionale riconosciuta nel verbale di conciliazione in data 19 luglio 2012, all’atto del passaggio del personale da V. s.r.l. a K. s.p.a., in quanto inopponibile agli altri lavoratori e alterante il riferimento all’anzianità di servizio da intendere, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5 citato, quale anzianità aziendale maturata all’interno dell’unico datore di lavoro K. s.p.a. Ha respinto la deduzione del lavoratore, finalizzata a valorizzare l’anzianità di servizio maturata sin dalla data di assunzione alle dipendenze di V. s.r.I., rilevando che non era stata fornita prova della fusione per incorporazione della predetta società nella K. s.p.a.
3. La Corte di merito ha ravvisato, invece, l’illegittimità del licenziamento per la violazione delle prescrizioni comportamentali di tempestiva ed esauriente comunicazione all’Ufficio del lavoro, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria dell’elenco dei lavoratori licenziati, effettuata con la nota del 7 agosto 2017, anteriore ai primi licenziamenti intimati priva della specificazione del numero e dei nominativi dei soggetti licenziati, successivamente integrata e rettificata nella graduatoria con le note del 14 settembre 2017 e del 9 e 20 ottobre 2017 (prive di chiarimenti riguardo alle ragioni della rettifica) e con trasmissione, infine, con nota del 4 dicembre 2017, di un elenco di 80 dipendenti (in aggiunta ai 42 indicati nella nota del 14 settembre 2014) posti in mobilità.
Sicché la comunicazione del 7 agosto 2017 risultava inidonea, sotto i profili di trasparenza informativa, completezza contenutistica e di rispetto della rigida scansione procedimentale, a consentire un adeguato controllo alle parti sociali e alle amministrazioni interessate) non costituendo essa reale provvedimento terminale della procedura collettiva.
4. Ha quindi applicato alla ritenuta violazione procedurale la tutela indennitaria forte nella misura suindicata, a norma del novellato testo dell’art. 5, terzo comma I. 223/1991, senza alcuna detrazione, in difetto di prova, a carico della datrice eccipiente, di aliunde perceptum né percipiendum.
5. Avverso la decisione di secondo grado la K. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Il lavoratore ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, affidato a un motivo. La K. s.p.a. ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
6. La società ha prodotto memorie.
Considerato che
Ricorso principale
1. Con l’unico motivo di ricorso principale è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 4, comma 9, l. n. 223 del 1991, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la comunicazione prevista dalla norma denunciata (inoltrata il 7 agosto 2017, una volta esaurita la procedura di collocazione in mobilità il 17 luglio 2017), potesse essere inviata soltanto dopo l’inoltro delle lettere di licenziamento e che fosse insufficiente l’allegazione della graduatoria di tutti i dipendenti di K. s.p.a., con l’indicazione dei punteggi ad ognuno attribuiti, in assenza dell’elenco dei lavoratori in concreto licenziati, nonostante il rispetto delle finalità della norma, di completa e tempestiva informazione dei lavoratori, delle parti sociali e delle amministrazioni competenti, senza alcun pregiudizio per alcuno; rilevava che le successive note erano state inviate il 9 e il 20 ottobre 2017, a seguito delle modifiche della graduatoria finale, prima degli ulteriori licenziamenti, contenendo quella finale del 4 dicembre 2017 una lista dei dipendenti licenziati, utile all’iscrizione nelle liste di mobilità, inidonea a viziare la procedura.
2. Il motivo è infondato.
3. Come noto, nell’art. 4, nono comma l. 223/1991 la parola “contestualmente” è stata sostituita dall’art. 1, quarto comma l. 92/2012, con le parole “entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi”, mentre l’art. 2, comma 72 della stessa legge ha modificato il primo comma dell’art. 4 della legge n. 223/91 (secondo cui “L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’articolo i ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non potere ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare le “procedure di mobilità” ai sensi del presente articolo”), sostituendo le parole “le procedure di mobilità” con le parole “la procedura di licenziamento collettivo”. E il dodicesimo comma dello stesso art. 4 ha disposto poi che “le comunicazioni di cui al nono comma sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo”. Ebbene, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (ribadito, in particolare, da Cass. 22 novembre 2016, n. 23736), in tema di licenziamenti collettivi, il requisito della contestualità della comunicazione del recesso al lavoratore e alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro, richiesto a pena d’inefficacia del licenziamento medesimo, non può che essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido ed analitico, e con termini molto ristretti, nel senso di una necessaria ed ineliminabile contemporaneità delle due comunicazioni la cui mancanza può non determinarne l’inefficacia, solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, da comprovare dal datore di lavoro (Cass. n. 1722/09; Cass. 16776/09; Cass. n. 7490/11). Ed ancora, in tema di licenziamento collettivo (secondo la disciplina antecedente alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), la contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell’elenco dei dipendenti licenziati e dei criteri di scelta, richiesta, a pena di inefficacia del licenziamento, dall’art. 4, nono comma l. 223/1991, si giustifica al fine di consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza nell’applicazione dei menzionati criteri da parte del datore di lavoro, anche al fine di sollecitare, prima dell’impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento eseguito in loro violazione: con la conseguenza che la funzione di tale ultima comunicazione implica che non possa accedersi ad una nozione “elastica” dì contestualità, riferita anche alla data in cui il licenziamento abbia effetto, dovendosi ritenere irragionevole che, per non incorrere in una decadenza dal termine stabilito dall’art. 6 l. 604/1966, il lavoratore debba impugnare il licenziamento senza la previa conoscenza dei criteri di scelta (Cass. n. 8680/15; Cass. 22024/15).
4. Tale insegnamento è stato più recentemente ribadito, con la conferma che, in tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto dall’art. 4, nono comma l. 223/1991, siccome modificato dalla l. 92/2012, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alla Commissione regionale per l’impiego nonché alle organizzazione sindacali, debba intendersi come cogente e perentorio, così come era stato interpretato il requisito della “contestualità” nel regime anteriore alla riforma del 2012, che ha inteso superare le precedenti possibili discrasie nella individuazione concreta di un parametro congruo assegnando un termine certo (Cass. 13 novembre 2018, n. 29183; Cass. 14 ottobre 2019, n. 25807). In particolare, tali ultime sentenze hanno affermato come il carattere cogente e perentorio del termine comporti, in caso di violazione, l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere ovvero che non sia stato dimostrato il danno derivante dalla mancata comunicazione; atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale dell’operazione posta in essere dal datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo spatium deliberandi riservato al lavoratore per l’impugnazione del recesso nel termine di decadenza di cui all’art. 6 l. 604/1966).
5. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, e congruamente argomentato (per le ragioni esposte a pag. 10 della sentenza), che la nota del 7 agosto 2017 di comunicazione all’Ufficio del lavoro, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria dell’elenco dei lavoratori licenziati, non configurasse “reale provvedimento terminale della procedura di mobilità collettiva, in quanto carente dell’indicazione dei nominativi dei lavoratori licenziati ed oggetto di successive rettifiche (in adesione a taciute esigenze sopravvenute) potenzialmente destinate ad alterare l’elenco dei lavoratori coinvolti nella procedura”. E ciò perché anteriore ai primi licenziamenti intimati (42 in data 8 agosto 2017) e comunicati soltanto con la nota del 14 settembre 2017; e non essendo in essa “inclusi i lavoratori addetti al front office (poi inseriti nei successivi elenchi)” (così ai due ultimi alinea del terz’ultimo capoverso di pg. 12 della sentenza). Quanto agli altri 80 lavoratori licenziati, destinatari di analoga missiva tra il 31 agosto e il 26 novembre 2017, essi sono stati oggetto di comunicazione, dopo le note del 9 e 20 ottobre 2017 di integrazione e rettifica della graduatoria (senza però alcun chiarimento), con quella del 4 dicembre 2017.
6. Posto che la comunicazione in questione (il cui termine di sette giorni decorre dalla comunicazione del primo licenziamento, come risulta dal tenore letterale della disposizione, che fa espresso riferimento alla “comunicazione” dei recessi e non già alla data di loro ricezione), per assolvere alla funzione cui è normativamente preordinata, non può essere parcellizzata in tante comunicazioni (ciascuna limitata ai lavoratori fino a quel momento licenziati ed effettuata entro sette giorni dai singoli licenziamenti) ma deve essere unica, così da esprimere l’assetto definitivo sull’elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta (Cass. 26 settembre 2018, n 23034), la comunicazione del 7 agosto 2017 risulta inidonea, sotto i profili di trasparenza informativa, completezza contenutistica e di rispetto della rigida scansione procedimentale, a consentire un adeguato controllo alle parti sociali e alle amministrazioni interessate ed essendo data comunicazione dei recessi soltanto con le suindicate note successive, ben oltre il termine perentorio di sette giorni.
7. Un tale argomentato accertamento resiste alla censura della ricorrente ed è anzi confermato dall’allegazione della comunicazione 7 agosto 2017 con la relativa graduatoria (integralmente trascritte in affoliazione tra pag. 10 e pag. 11 del ricorso), senza alcuna confutazione della pure rilevata mancata inclusione in essa dei lavoratori addetti al front office.
Ricorso incidentale
8. Con l’unico motivo di ricorso incidentale è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, l. n. 223 del 1991, anche in relazione all’art. 12 delle preleggi, degli artt. 100, 113, 116 cod. proc. civ. e degli artt. 1372 e 1418 cod. civ. Inoltre, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. relativamente al riconoscimento ad altri dipendenti dell’anzianità pregressa relativa a precedenti rapporti di lavoro.
9. Premesso che l’art. 5, l. n. 223 del 1991, indica il criterio dell’anzianità senza alcuna specificazione, si censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha inteso detta previsione come riferita alla “anzianità di servizio maturata all’interno dell’azienda interessata alla procedura di licenziamento” (e non alla anzianità convenzionale), in quanto avrebbe motivato tale conclusione richiamando la “opinione generale”, che non costituisce una categoria giuridicamente rilevante, con conseguente violazione degli artt. 113 e 115 cod. proc. civ. Si allega che la stessa K., nella precedente procedura di mobilità del 2015-2016, aveva riconosciuto al lavoratore l’anzianità convenzionale sin dal 22.5.1195; che la società datoriale non ha mai dedotto che la clausola (sulla anzianità convenzionale) contenuta nel verbale di conciliazione in sede sindacale del 6.8.2012 fosse preordinata all’alterazione del sistema legale delle graduatorie in caso di licenziamento collettivo ed avesse quindi una finalità elusiva delle regole di trasparenza, correttezza ed imparzialità che devono governare la procedura di mobilità; che la società non aveva neppure indicato l’esistenza di lavoratori che sarebbero stati pregiudicati a causa del riconoscimento all’attuale ricorrente incidentale della anzianità convenzionale, con conseguente carenza di interesse della società in ordine all’eccezione formulata; che risulta violato l’art. 1372 cod. civ., per non avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile tra le parti in causa il citato verbale di conciliazione; che è altrettanto errata la statuizione della sentenza d’appello che ha riconosciuto l’efficacia tra le parti della clausola sulla anzianità convenzionale e quindi la sua validità, ma al contempo la inopponibilità della stessa ai terzi; che tale inopponibilità peraltro non rileva in causa, in quanto l’anzianità convenzionale è stata eccepita solo nei confronti di parte datoriale e non nei confronti di altri ipotetici dipendenti.
10. Il motivo di ricorso incidentale è infondato. Premesso che il riferimento all’opinione generale va ragionevolmente riferito alla giurisprudenza e alla dottrina sull’argomento, non ravvisandosi pertanto alcuna violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., deve ribadirsi la correttezza della decisione d’appello nella parte in cui ha escluso la rilevanza, ai fini dell’art. 5, l. n. 223 del 1991, della anzianità convenzionale.
11. Questa Corte ha chiarito che, in tema di licenziamento collettivo, i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, individuati dai contratti collettivi ai sensi dell’art. 5 della legge 23 luglio 1991, n. 223, devono essere, tutti ed integralmente, basati su elementi oggettivi e verificabili, in modo da consentire la formazione di una graduatoria rigida e da essere controllabili in fase applicativa, e non possono implicare valutazioni di carattere discrezionale, neanche sotto forma di possibile deroga all’applicazione di criteri in sé oggettivi. (v. Cass. 17249 del 2016; n. 19576 del 2013; n. 12544 del 2011). Tali caratteristiche devono considerarsi immanenti ai criteri legali di scelta. Il criterio della anzianità convenzionale riconosciuta dal datore, in sede di accordo sindacale col dipendente, è privo di carattere oggettivo, non è applicabile all’intera platea dei lavoratori e aprirebbe un inammissibile varco alla discrezionalità del datore medesimo e al rischio di elusione dei criteri legali o contrattuali. Dal che consegue che correttamente la Corte di merito ha escluso che l’anzianità di cui all’art. 5 cit. potesse essere riferita a quella convenzionale, come rivendicata dal lavoratore. Inammissibile – oltre che priva di decisività, alla luce di quanto sin qui argomentato – il profilo di censura attinente a omesso esame di fatto decisivo, poiché i fatti che si assumono trascurati non risultano dal tenore della sentenza impugnata come richiesto dalla formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
12. Per le considerazioni finora svolte, devono essere respinti il ricorso principale e quello incidentale.
13. Le spese del presente giudizio sono compensate tra le parti in ragione della reciproca soccombenza.
15. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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