CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2022, n. 14064
Licenziamento – Procedura di mobilità – Invalidità – Tutela reintegratoria
Rilevato che
con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronunzia del Tribunale di Benevento, è stato dichiarato nullo il licenziamento intimato in data 17 febbraio 2014 a V.S., in esito ad una procedura di mobilità, e, per l’effetto, il “Soggetto Liquidatore del disciolto Consorzio Smaltimento Rifiuti SS.UU. BN in liquidazione” è stato condannato alla reintegrazione del lavoratore nel posto precedentemente occupato e al pagamento, in favore del lavoratore medesimo, di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, con compensazione tra le parti delle spese di giudizio;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso il “Soggetto Liquidatore del disciolto Consorzio Smaltimento Rifiuti SS.UU. BN in liquidazione”, affidato a tre motivi;
V. S. ha resistito con controricorso;
il “Soggetto Liquidatore del disciolto Consorzio Smaltimento Rifiuti SS.UU. BN in liquidazione” ha depositato memoria;
il P.G. non ha formulato richieste.
Considerato che
con il primo motivo il ricorrente – denunciando violazione ed errata applicazione dell’art. 18, commi 1 e 5, st.lav., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice del reclamo, a fronte della pacifica ed effettiva cessazione dell’attività del Consorzio, abbia applicato la tutela reintegratoria piena di cui al primo comma e non quella indennitaria di cui al quinto comma della richiamata norma statutaria;
con il secondo motivo – denunciando violazione degli artt. 41 Cost., 4 della I. n. 223 del 1991, 1362 e ss. c.c., nonché errata interpretazione dell’art. 11, comma 2-ter, del d.l. n. 195 del 2009, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice abbia ravvisato la invalidità della procedura di licenziamento ritenendo precluso al “Soggetto liquidatore” di procedere alla cessazione di attività ed alla risoluzione del rapporto di lavoro dell’intero personale, sul rilievo (tuttavia erroneo) di un obbligo normativamente imposto di prosecuzione dell’attività di raccolta, di spazzamento, di trasporto, di smaltimento o recupero dei rifiuti;
con il terzo motivo – denunciando violazione degli artt. 4 della I. n. 223 del 1991 e 18 della I. n. 300 del 1970, nonché inapplicabilità della disciplina prevista dagli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che la riconosciuta natura di ente pubblico non economico del Consorzio fosse sufficiente a rendere inutilizzabile (e quindi nulla) la procedura di licenziamento collettivo, con conseguente (tuttavia erronea) applicazione della tutela reintegratoria piena.
Ritenuto che
va affermata la legittimazione al ricorso del “Soggetto Liquidatore del disciolto Consorzio Smaltimento Rifiuti SS.UU. BN in liquidazione”, già sol perché la sentenza impugnata non è stata pronunciata – come dedotto nel controricorso – nei confronti del “Consorzio Smaltimento Rifiuti SS. UU. BN in liquidazione”, bensì nei confronti del “Consorzio Smaltimento Rifiuti SS. UU. BN in liquidazione, in persona del prof. C. quale soggetto liquidatore”;
il secondo motivo, da esaminare logicamente con priorità, è inammissibile, poiché la prima “ratio decidendi” contenuta nella impugnata sentenza a supporto della ritenuta invalidità del licenziamento è incentrata sulla carenza di potere del “Soggetto liquidatore” di procedere ad effettuare licenziamenti (cfr. il seguente passo della motivazione: «Ritenuta dunque la sussistenza di una proroga nella gestione ordinaria affidata al Commissario, contemporanea alle attività liquidatorie, deve, pertanto, escludersi che in capo allo stesso vi fosse il potere di procedere alla messa in mobilità ed ai licenziamenti, prevedendo, viceversa, la legge un procedimento complesso nel quale in primo luogo il Commissario liquidatore provvedesse alla specifica definizione della dotazione organica necessaria in relazione ai residuali scopi operativi, alla copertura della pianta così disegnata anche con nuove assunzioni, e, infine, nel caso di esuberi rispetto alla dotazione, procedesse all’applicazione delle disposizioni in materia di ammortizzatori sociali in deroga»); non essendo stata aggredita tale “ratio” (fondata sull’analisi di varie disposizioni normative la cui interpretazione non è stata censurata dal ricorrente), ma solo l’altra (pur connessa, ma distinta) imperniata sul rilievo della sussistenza di un obbligo legale, gravante sul “Soggetto liquidatore”, di prosecuzione dell’attività di raccolta, di spazzamento, di trasporto, di smaltimento o recupero dei rifiuti, vale il principio (su cui v., tra le altre, Cass. 6/07/2020, n. 13880) secondo cui «Quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse “rationes decidendi”, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame (…)»;
il primo motivo va invece accolto, poiché, in presenza di un acclarato mancato svolgimento dell’attività di gestione del ciclo dei rifiuti (cfr. il seguente passaggio della motivazione della sentenza impugnata: «Nel caso di specie infatti risulta elemento fattuale irrilevante, al fine di inibire la reintegra, la cessazione dell’attività proprio perché effettuata “contra legem”, in contrasto con la previsione normativa impositiva della “prorogatio” dell’attività consortile. Diversamente, collegando all’illegittima cessazione dell’attività la preclusione dell’ordine di reintegra, con una specie di eterogenesi dei fini si consentirebbe al soggetto inadempiente di realizzare il proprio obiettivo cioè ottenere il risultato della cessazione del rapporto di lavoro»), pur a fronte di un eventuale obbligo legale in tal senso, non poteva, nel caso, essere accordata la tutela reintegratoria, ma solo quella risarcitoria (avente, del pari, carattere sanzionatorio dell’altrui illecito), essendo l’impossibilità di disporre l’ordine di reintegra il derivato di una mera situazione di fatto, del resto cristallizzatasi, già al momento di emissione della pronunzia impugnata, con la scadenza, alla data del 31 dicembre 2015, della proroga della fase transitoria nel corso della quale sarebbe stato rimesso al Consorzio – per come ritenuto nel giudizio di merito – lo svolgimento della predetta attività (essendo del resto inesatto quanto si legge nella impugnata sentenza, ossia che la disciplina transitoria “è ancora in applicazione”; infatti l’art. 9, comma 4-quater, del d.l. n. 192 del 2014, nel disporre che la proroga di cui al comma 4-ter – ossia quella della fase transitoria, con termine finale, come detto, al 31 dicembre 2015 – “è disposta nelle more della riorganizzazione del ciclo dei rifiuti in Campania”, offre solo evidenza delle ragioni della predetta proroga, non potendo la stessa fonte normativa, evidentemente, contemplare una data di scadenza fissa e, al contempo, una mobile posta in correlazione con un determinato evento);
il terzo motivo è assorbito, avuto riguardo al mancato svolgimento, ad opera del ricorrente, dell’attività già al momento dell’intimazione del licenziamento, con conseguente inapplicabilità – come sopra detto – della tutela reintegratoria;
la sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso, accoglie il primo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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