CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2020, n. 5981
Professionisti – Avvocati – Compenso – Gratuità dell’incarico – Prova orale de relato actoris – Ammissibilità
Fatti di causa
La Corte d’appello di Venezia ha liquidato in favore dell’avv. F.L. un compenso di € 15.300,00 per l’attività svolta in favore dell’avv. D. dinanzi al tribunale e alla Corte d’appello di Venezia, con riferimento alla causa tra il ricorrente e il Fallimento della T.P. s.r.l..
Per quanto qui specificamente rileva, la Corte distrettuale ha ritenuto inammissibile la prova orale articolata dall’avv. D., poiché de relato actoris, ritenendola munita di un’efficacia probatoria pressoché nulla; ha respinto l’eccezione di prescrizione presuntiva, poiché vanificata dalla eccepita gratuità della prestazione, ritenendo provata l’attività svolta.
La cassazione dell’ordinanza è chiesta dall’avv. M.D. sulla base di un unico motivo di ricorso.
L’avv. F.L. ha depositato controricorso e memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1. Non merita adesione l’eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto mancante dell’indicazione delle norme violate.
Pur in assenza di detta indicazione, il ricorso è però chiaramente volto a denunciare l’errore in cui sarebbe incorso il giudice distrettuale nel dichiarare inammissibile una prova testimoniale de retato actoris che invece – a parere del ricorrente – tale non era, proponendo a questa Corte un quesito di diritto circa la qualificazione, nei termini suddetti, dello specifico mezzo istruttorio dedotto dal ricorrente allo scopo di dimostrare che nulla era dovuto all’avv. L., data la gratuità dell’incarico professionale.
Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi, prevalendo sul dato della formale indicazione delle norme violate e del vizio dedotto, il contenuto sostanziale del ricorso (Cass. 10862/2018; Cass. 24247/2016; Cass. 4036/2014).
La configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. 14026/2012).
Di conseguenza l’indicazione, ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c., delle norme asseritamente violate non si pone come requisito autonomo ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, ma è elemento richiesto al solo fine di chiarire il contenuto delle censure e di identificare i limiti della impugnazione, per cui la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di legge non comporta l’inammissibilità del ricorso ove gli argomenti addotti, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme o i principi di diritto violati e rendano possibile la delimitazione dell’oggetto della controversia (Cass. 12929/2007).
2. Con il primo motivo si deduce che erroneamente la Corte d’appello abbia ritenuto inammissibile la prova testimoniale volta a dimostrare l’esistenza di un patto di gratuità delle prestazioni svolte, benché i capitoli non fossero formulati in modo da richiedere ai testi di riferire su fatti appresi dallo stesso ricorrente, vertendo su quanto lo stesso resistente aveva dichiarato al co-difensore avv. T. circa la gratuità dell’incarico difensivo.
Il motivo è fondato.
Il capitolo di prova trascritto in ricorso era così formulato: “Vero che in più occasioni, nel corso dell’anno 2007, l’avv. L. riferì all’avv. T. che le sue prestazioni a favore dell’avv. D. erano del tutto gratuite”.
La testimonianza verteva quindi sul fatto che l’avv. L. avesse reso dichiarazioni stragiudiziali a sé sfavorevoli, in quanto contrastanti con l’allegata onerosità dell’incarico di patrocinio e con la asserita spettanza del compenso richiesto in domanda.
La prova era, dunque, diretta a dimostrare la sussistenza di una dichiarazione stragiudiziale al terzo a contenuto confessorio, riconducibile alla previsione dell’art. 2735, commi primo e secondo, c.c., che, come tale non poteva dichiararsi inammissibile in quanto priva di valore probatorio, trattandosi di elemento liberamente apprezzabile e idoneo a fondare, anche da solo, il convincimento del giudice (Cass. 1320/2017; Cass. 569/2017; Cass. 8923/1996).
Non sono decisive le osservazioni formulate dal resistente nella memoria illustrativa quanto alla genericità delle circostanze capitolate, trattandosi di questioni di cui la Corte d’appello non ha tenuto conto e che non risultano poste a giustificazione della pronuncia di inammissibilità della testimonianza.
La sentenza è difatti incorsa nell’errore di non considerare che detta prova per testi, chiesta dal convenuto, verteva su dichiarazioni sfavorevoli rese a terzi dall’attore, e per non aver considerato che il fatto che la testimonianza non riguardasse fatti oggettivi ma le dichiarazioni di una delle parti non si traduceva automaticamente in una causa di inammissibilità del mezzo istruttorio, venendo in considerazione solo ai fini del corretto utilizzo delle regole di valutazione della prova stessa, affidata al libero apprezzamento del giudice di merito (Cass. 18352/2013; Cass. 11733/2013; Cass. 11844/2006; Cass. 8358/2007; Cass. 11844/2006).
Il ricorso è accolto.
L’ordinanza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie l’unico motivo di ricorso, cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
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