CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2020, n. 6028
Tributi – Reddito d’impresa – Determinazione – Costi infragruppo – Indeducibilità
Ritenuto che
A seguito di verifica della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate, emetteva avviso di accertamento nei confronti della Società (…) s.r.l. (di seguito, per brevità S.E.C.A.M.), con il quale venivano contestati e recuperati a tassazione costi non deducibili per aver essa società portato in detrazione una fattura di euro 380.000,00 emessa da S.E.A., società controllata al 100% da S.E.C.A.M., a saldo della prestazioni di trasporto effettuate nell’anno 2007 senza giustificare detto costo e per avere detratto quote di ammortamento non deducibili per euro 28.460,00.
La società contribuente ricorreva avverso l’accertamento dell’Ufficio innanzi alla CTP di Milano, la quale respingeva il ricorso, confermando, l’indeducibilità dei costi. Avverso tale sentenza proponeva appello la società contribuente rilevando «(…)al pari delle difese svolte in primo grado, che il rapporto da cui traeva origine la fattura di saldo contestata nasceva da un contratto stipulato con la propria controllata, la cui esistenza e la cui validità non era mai stata disconosciuta dall’ufficio e che era bastevole come tale a giustificare la inerenza dei costi sostenuti per i trasporti effettuati da S.E.A. in relazione ai ricavi rinvenienti dalla propria attività principale consistente pacificamente nello smaltimento dei rifiuti)» (v. pagina 4 del ricorso in cassazione).
Con la sentenza in epigrafe, la CTR della Lombardia rigettava l’appello ribadendo quanto già oggetto di verifica e dell’accertamento dei primi giudici; in particolare affermava che in mancanza di documentazione giustificatrice dell’incremento del fatturato della S.E.A. s.r.l. – controllata dalla appellante e con reddito negativo – doveva concludersi che l’incremento del fatturato «fosse stato effettuato per trasferire reddito positivo da una società all’altra».
Avverso tale sentenza ricorre la società contribuente affidandosi a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La società, a ridosso dell’udienza, ha presentato memorie ex art. 380 bis1 cod. proc. civ..
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di legge ed in particolare dell’articolo 109, d.P.R. n. 917 del 1986, nonché delle regole di riparto dell’onere della prova, nella parte in cui la Commissione Regionale non ha valorizzato, ai fini dell’applicazione della norma invocata, il dato accertato e non contestato dell’esistenza del rapporto contrattuale tra S.E.C.A.M. e S.E.A. avente ad oggetto l’attività di trasporto dei rifiuti.
Secondo l’assunto della ricorrente la CTR ha male interpretato l’art. 109 t.u.i.r, norma che, nel prevedere il principio dell’inerenza dei costi, stabilisce una relazione tra spesa e impresa «implicante un accostamento concettuale tra due circostanze da cui consegue che il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente del reddito bensì in virtù della correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili». A sostegno del motivo richiama le sentenze di questa Corte n. 1465 del 2009 e n. 20029 del 2010.
2. Con il secondo motivo, lamenta, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’articolo 109 d.P.R. n. 917 del 1986, degli artt. 39 e 40 del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 2697 cod. civ. nella parte in cui i secondi giudici hanno ritenuto che l’emissione della fattura a saldo della prestazioni di trasporto abbia costituito una condotta elusiva finalizzata a trasferire reddito positivo da una società ad un’altra, con ciò violando le regole di riparto dell’onere probatorio per le quali la prova dei fatti costitutivi del comportamento abusivo incombe sull’Amministrazione finanziaria, spettando al contribuente, di provare le cause giustificatrici di quel comportamento, nella specie provato con il contratto.
3. Entrambi i motivi, che si esaminano congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati alla luce del parametro di censura evocato (art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ.), avendo i secondi giudici fatto corretta applicazione delle norme e dei principi espressi da questa Corte in materia.
4. Occorre in primo luogo rilevare che la questione dell’inerenza del costi, con i relativi richiami giurisprudenziali effettuati dalla ricorrente, è circostanza non sfiorata nel caso in esame, poiché il giudice di appello ha affermato l’indeducibilità del costo non per mancanza del requisito di inerenza, ma per mancanza di documentazione che dimostrasse l’effettiva esistenza dei maggiori costi fatturati, sicchè è con riguardo a quest’ultimo aspetto che si concentra l’esame del motivo.
5. Proprio recentemente, questa Corte, pronunciandosi in tema di reddito d’ impresa e di deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali e di servizi prestati tra società controllanti e controllate, ha ribadito che «la deducibilità è subordinata all’effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, sulla quale grava l’onere di specifica allegazione degli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante.» (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 17535 del 28/06/2019, Rv. 654376-01, che richiama Cass., n. 16480 del 2014; Cass., n. 14016 del 1999 e, in relazione ai costi di regia, Cass., 4/10/2017 n. 23164).
6. Con riguardo alla questione dell’onere della prova dell’inerenza del costo, questa Corte ha avuto più volte modo di affermare che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, secondo la disciplina del t.u.i.r., l’onere di dimostrare i presupposti dei costi deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, incombe sul contribuente, anche in base al canone della vicinanza della prova (cfr., parte motiva, Cass., Sez. 5 30/05/2018 n. 13588; conf. Cass., n. 11942 del 2016; Cass. 17/09/2014 n. 19600; Cass. 8/10/2014 n. 21184; Cass. 26/05/2017, n. 13300).
7. Tali principi trovano la loro ratio, oltre che nelle disposizioni vigenti in materia (art. 109 t.u.i.r.), nella logica d’impresa che riguarda la società cd. infragruppo, che ha portato al consolidarsi del principio giurisprudenziale secondo cui per i costi c.d. infragruppo, ovvero nel caso in cui la società capofila di un gruppo di imprese decida di fornire servizi o curare direttamente le attività di interesse comune, ripartendone i costi tra di esse, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione, l’onere della prova dell’esistenza e dell’inerenza dei costi incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia detraibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata (cfr. Cass., 14 /12/2018, n. 32422; Cass. Civ., n. 23027 del 2015; Cass.Civ., n. 8808 del 2012; Cass. Civ., n. 11949 del 2012, tutte richiamate da Cass. Civ. n. 17535 del 2019).
8. Tale maggiore rigore nella valutazione delle operazioni intercompany (su cui, cfr. Cass. Civ. 16480 del 2014) nonché dell’onere probatorio gravante sulle società di gruppo, si spiega in considerazione di quanto emerso dalla pratica di impresa che ha visto troppo spesso il diffondersi di operazioni aziendali che, nate per la più conveniente allocazione dell’imponibile tra le società associate, sono poi sfociate in operazioni elusive.
9. Ne consegue, dunque, che per la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali (come è nella specie essendo pacifico ed incontestato che tra la S.E.C.A.M. e la S.E.A. vi fosse un contratto per il servizio dei trasporti dei rifiuti), così come dei servizi prestati dalla controllante (cost sharing agreements), non è sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate e la fatturazione dei corrispettivi (come pretende la ricorrente), ma, si ripete, occorre la prova dell’ effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima.
10. Ora, poiché nel caso all’esame il giudice di merito ha ritenuto l’insussistenza della documentazione comprovante lo svolgimento di servizi aggiuntivi da parte della società controllata e, quindi, la non effettività dell’operazione descritta nella fattura dalla controllata (con reddito negativo) a carico della controllante (con reddito positivo), non può censurarsi la decisione impugnata che, seppur con motivazione stringata, ha fatto retta applicazione dei principi affermati da questa Corte secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, se contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista la documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità del costo (cfr., in parte motiva, Cass. n. 13588 del 2018; Cass. n.11942 del 2016).
11. Nella specie, spettava, dunque, alla società contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllata, tra i quali l’effettiva utilità dei costi stessi, anche laddove a quei costi non fossero corrisposti direttamente ricavi in senso stretto (cfr. Cass., 05/12/2018, n. 31405). In mancanza di tale prova, non può censurarsi la CTR per aver supposto che l’incremento fatturato fosse stato effettuato per trasferire reddito positivo da una società ad un’altra e, quindi, per aver deciso per il rigetto dell’appello.
12. Per le su esposte ragioni, il ricorso deve essere integralmente rigettato.
13. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società contribuente e vengono liquidate come da dispositivo
14. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in complessivi euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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