CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2020, n. 6055
Tributi – IVA – Accertamento – Società di capitali – Movimenti bancari – Conti intestati ai legali rappresentanti, amministratori di fatto e soci – Riferibilità alla società contribuente – Presunzione – Condizioni – Conseguenze – Attività d’indagine – Limitazioni – Esclusione – Fondamento – Elementi sintomatici – Prova contraria del socio
Rilevato che
1. All’esito di una verifica fiscale nei confronti di M.P., esercente l’attività di costruzioni edili, la Guardia di finanza ha rilevato, nel relativo processo verbale di constatazione, che il contribuente, negli anni d’imposta 1999-2005 per diversi anni, non ha presentato le dichiarazioni fiscali annuali; e, con riferimento agli anni d’imposta 1999, 2000 e 2001, ha altresì omesso la conservazione delle fatture di vendita e non ha compilato i registri Iva degli acquisti e delle vendite, rinvenuti in bianco e non vidimati.
Pertanto, l’ Agenzia delle entrate ha emesso, nei confronti dello stesso contribuente, avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2000, con il quale ha ricostruito gli imponibili ai fini Irpef, Iva ed Irap, quantificando le imposte in conseguenza dovute, oltre agli interessi ed alle relative sanzioni.
2. Il contribuente ha impugnato l’accertamento e l’adita Commissione tributaria provinciale di Perugia ha solo in parte accolto il ricorso, riconoscendo i! diritto del contribuente alla detrazione corrisposta sulle fatture di acquisto.
3. Proposto appello principale dall’Ufficio, l’adita Commissione tributaria regionale dell’Umbria, con la sentenza n. 128/03/2011, depositata in data 1 luglio 2011, lo ha respinto. Con il medesimo provvedimento, la CTR ha invece accolto parzialmente l’appello incidentale del contribuente, annullando le sanzioni irrogate dall’accertamento impugnato, per il difetto di colpevolezza di quest’ultimo, in considerazione della condanna penale della sua consulente contabile e fiscale, che esercitava abusivamente la professione di commercialista, senza aver conseguito la necessaria abilitazione statale. del contribuente.
4. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate.
5. Il contribuente è rimasto intimato.
Considerato che
1. Preliminarmente, come dedotto dall’Ufficio ricorrente, il ricorso è tempestivo, tenuto conto anche della sospensione legale dei termini di cui all’art. 39,comma 12, lett. c), d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, applicabile alle liti fiscali di valore non superiore a 20.000,00 euro, nell’ambito delle quali è ricompresa anche la controversia sub iudice, il cui valore va determinato ai sensi dell’art. 16, comma 3, lett. c), legge 27 dicembre 2002, n. 289, richiamato dallo stesso art. 39, comma 12 (cfr. Cass. 21/10/2019, n. 26660; Cass. 19/01/2017, n. 1407), e quindi con riferimento a ciascun atto introduttivo del giudizio, indipendentemente dal numero di soggetti interessati e dai tributi in esso indicati, assumendo a base del calcolo l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo, anche se irrogate con separato provvedimento, mentre, in caso di liti relative alla irrogazione di sanzioni non collegate al tributo, delle stesse si tiene conto ai fini del valore della lite.
2.Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 5 e 6 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per avere, erroneamente, il giudice a quo ritenuto che la circostanza che la consulente del contribuente esercitasse abusivamente la professione di commercialista, venendo anche condannata in sede penale per tale condotta, potesse integrare l’esimente di cui all’art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997.
2.1. Il motivo è fondato.
Infatti, in materia di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il predetto art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997 dispone che, nelle violazioni punite con sanzioni amministrative, ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente la prova dell’assenza assoluta di colpa, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza (cfr., anche in motivazione, Cass. 15/05/2019, n. 12901, ex plurimis).
Pertanto, dopo che l’Amministrazione ha assolto l’onere di provare, eventualmente anche mediante presunzioni semplici, i fatti costitutivi della fattispecie tipica dell’illecito, è il contribuente che voglia andare esente dalla relativa responsabilità a dover dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza.
Nei caso di specie, risultano ormai pacifici i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria, costituiti dall’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali annuali per diversi anni consecutivi e dall’omissione pluriennale degli ulteriori adempimenti contabili descritti nella narrativa della sentenza impugnata, dalla quale non emerge invece che il contribuente abbia dato prova della mancanza della propria colpevolezza.
E’ vero, peraltro, che l’art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997, valorizzato dalla motivazione della sentenza d’appello, prevede, al terzo comma, che la dimostrazione dell’omessa esecuzione del pagamento di un tributo, dovuta a fatto denunciato all’autorità giudiziaria ed addebitabile esclusivamente a terzi, costituisce un’esimente dalla responsabilità amministrativa tributaria per mancanza di colpevolezza.
Tuttavia, nel caso di specie, non è configurabile tale fattispecie, non trattandosi dei mero omesso pagamento dei tributo, ma dell’omissione di tutte le attività dichiarative, oltre che contabili, strumentali a tale adempimento.
Tanto meno, poi, la circostanza che il contribuente si sia affidato per anni ad una consulente priva dei titoli legittimanti l’esercizio della professione, senza chiedere alcun riscontro della relativa attività pluriennale, può valere, comunque, ad escludere la colpevolezza del trasgressore, che si manifesta invece negligente, essendo incorso sia in culpa in eligendo che in culpa in vigilando (cfr. Cass. 10/03/2017, n. 6223, peraltro relativa allo stesso contribuente ed alla medesima fattispecie, ma per anno d’imposta diverso), non risultando che abbia provato di aver adottato adeguate cautele nell’individuazione della terza persona cui si è rivolto e nella verifica dell’operato di quest’ultima.
3. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 e 55 d.P.R26 ottobre 1972, n. 633, e dell’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, per avere, erroneamente, il giudice a quo ritenuto che la detrazione dell’Iva corrisposta dal contribuente sugli acquisti potesse essere applicata per la sola circostanza che l’Ufficio, nell’accertamento controverso, aveva riconosciuto, ai fini delle imposte dirette, «i costi degli acquisti effettuati».
3.1. Il motivo è fondato.
Infatti, «La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili.» (Cass., Sez.U., 08/09/2016, n. 17757).
Pertanto, «In tema di IVA, il diritto alla detrazione deve essere riconosciuto anche nel caso di violazione di requisiti formali di cui agli artt. 18 e 22 della direttiva n. 77/388/CEE (cd. sesta direttiva) – quali la mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, ovvero l’omessa tenuta del registro IVA acquisti – qualora il contribuente dimostri, mediante fatture o altra idonea documentazione contabile, il rispetto dei requisiti sostanziali di cui all’art. 17 della citata direttiva, purché detto diritto venga esercitato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello nel quale è sorto ai sensi dell’art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998.» (Cass. 27/07/2018, n. 19938).
Nel caso di specie, così come eccepito dall’ufficio anche nel giudizio di merito (cfr. narrativa della sentenza impugnata) il termine di decadenza, che è quello biennale stabilito dall’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 (già ritenuto compatibile con la normativa unionale: Corte giust. 28 luglio 2016, causa C-332/15, Astone), non è stato rispettato, in considerazione de! fatto che nel biennio utile (e per tutto il periodo 1999-2005) non sono state presentate le prescritte dichiarazioni (cfr. Cass. 10/03/2017, n. 6223, cit., relativa allo stesso contribuente ed alla medesima fattispecie, ma per anno d’imposta diverso).
4. Il ricorso va accolto e va quindi cassata la sentenza impugnata in relazione ad entrambi i capi investiti dai motivi accolti.
Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto dell’originario ricorso del contribuente, limitatamente ai profili ancora d’interesse.
5. Le spese di merito si compensano per la peculiarità del caso e le spese di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente in relazione ai profili ancora d’interesse.
Compensa le spese dei gradi di merito e condanna l’intimato a rifondere alla ricorrente quelle del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
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