CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2022, n. 7197
Tributi – Imposta unica sulle scommesse – Versamento – Bookmaker avente sede all’estero e privo di titolo concessorio – Soggetto gestore per conto del bookmaker – Obbligato in solido
Rilevato che
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli notificava a S. M. Limited, soggetto esercente l’attività di raccolta scommesse con sede all’estero, un avviso di accertamento con il quale veniva contestato il mancato versamento dell’imposta unica sulle scommesse di cui al d.lgs. n. 504 del 1998 per l’anno 2011, quale soggetto obbligato in solido con il titolare di un CDT (Centro Trasmissione Dati), che operava per conto del bookmaker estero.
Contro l’atto impositivo la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Latina che lo rigettava.
L’appello proposto avverso la pronuncia di primo grado veniva respinto dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR ha confermato la decisione di prime cure sul presupposto che l’imposta unica sulle scommesse fosse dovuta anche dai bookmakers aventi sede all’estero ed operanti al di fuori del sistema concessorio.
Avverso tale decisione S. M. Limited propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Chiede disporsi rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267, secondo comma, TFUE, sui quesiti indicati in ricorso.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale all’esito del quale entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
1. Preliminarmente, si deve disattendere l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza che la ricorrente ha avanzato con la memoria.
Invero, in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., Sez. Un., 5 giugno 2018, n. 14437) e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., Sez. Un., 23 aprile 2020, n. 8093).
In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo (Cass., Sez. 5″, 5 marzo 2021, n. 6118; Cass., Sez. 5″, 30 marzo 2021, n. 8757). Per cui, tenendo anche conto delle recenti pronunzie della Corte sulla medesima questione (di cui si dirà in appresso), la controversia può essere esaminata in camera di consiglio.
2. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, in merito alla illegittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società contribuente, avente sede a M., per mancata traduzione dell’atto impositivo in lingua inglese.
3. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1998, come interpretato dall’art. 1, comma 66, lett. b), della legge n. 220 del 2010, in merito al presupposto soggettivo dell’imposta.
4. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, lett. b), della legge n. 288 del 1998 e 112 cod. proc. civ. in merito al presupposto territoriale dell’imposta.
5. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE e dei principi unionali di parità di trattamento e di non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con riferimento all’art. 1, comma 66, della legge di stabilità 2011 e dell’art. 112 cod. proc. civ.
6. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 401 della direttiva 2006/112/CE, in merito alla contrarietà della disciplina normativa di cui al d.lgs. n. 504 del 1998 al divieto di mantenere o introdurre imposte sul volume d’affari diverse dall’imposta sul valore aggiunto.
7. Con il sesto motivo si denuncia, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, 5, comma 1, e 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 e 10, comma 4, della legge n. 212 del 2000, per non avere la commissione tributaria regionale applicato l’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza.
8. I motivi da 1 a 5 – la cui stretta ed intima connessione ne suggerisce l’esame congiunto, avendo tutti attinenza, sotto diversi profili, ai presupposti dell’imposta unica sulle scommesse – sono infondati.
In primo luogo, si osserva che nessuna specifica previsione normativa, né il citato art. 7, della legge n. 212 del 2000, dispone che l’atto impositivo debba essere redatto nella lingua del soggetto destinatario, dovendosi, invero, presumere che lo stesso, in quanto soggetto passivo nel territorio nazionale, sia in grado di comprendere il contenuto dell’atto; inoltre la ricorrente, ancorché soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia, ha in concreto nei gradi del merito svolto le sue articolate difese, contestando la pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato e dimostrando così di avere adeguatamente compreso le ragioni di fatto e di diritto poste alla base dell’atto impugnato. Questa Corte ha già ritenuto – in fattispecie analoga il cui principio trova applicazione anche net caso per cui è processo – che il vizio dell’atto impositivo emesso in lingua italiana nei confronti di soggetto appartenente alla minoranza linguistica tedesca privo dell’informazione sul diritto di sollevare eccezione di nullità per la mancata traduzione ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. n. 574 del 1988, è in concreto sanato ove il destinatario abbia comunque promosso, in sede amministrativa o giurisdizionale, un procedimento volto alla difesa dei propri diritti (Cass. n. 26407 del 2018).
Le questioni sottoposte allo scrutinio del collegio sono state oggetto di approfondito esame da parte di questa Corte (da ultimo: Cass., Sez. 5^, 31 marzo 2021, nn. 8907, 8908, 8809 e 8910; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2021, nn. 9080 e 9081; Cass., Sez. 5^, 2 aprile 2021, nn. 9144, 9145, 9146, 9147, 9148, 9149, 9151, 9152, 9153, 9160, 9162 e 9168; Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2021, nn. 9516, 9528, 9529, 9530, 9531, 9532, 9533 e 9534; Cass., Sez. 5^, 14 aprile 2021, nn. 9728, 9729, 9730, 9731, 9732, 9733, 9734 e 9735; Cass., Sez. 5^, 21 aprile 2021, nn. 10472 e 10473), che è recentemente pervenuta alle seguenti conclusioni.
Sin dalle origini, il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (art. 6 del D.L.vo 14 aprile 1948 n. 496), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge n. 2033 del 15 giugno 1951, con riguardo all’istituzione dell’imposta unica, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi «(…) debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria (…)».
Il presupposto dell’imposizione non è stato, dunque, correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che è, appunto, il servizio di gioco e, in questo ambito, il prelievo colpisce, dunque, il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.
Tale carattere permea, in termini sistematici, l’intera disciplina dei tributi sui giochi. Così è in materia di prelievo erariale unico, dove l’art. 39, comma 13, primo periodo, del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 novembre 2003 n. 326, disponendo: «Agli apparecchi e congegni di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate», ancorava il presupposto dell’imposizione all’utilizzazione degli apparecchi e congegni per il gioco lecito [«agli apparecchi (…) si applica un prelievo»].
Questa connotazione, del resto, era stata rilevata anche dalla sentenza depositata dalla Corte Costituzionale il 19 ottobre 2006 n. 334, la quale aveva sottolineato il parallelismo con «l’imposta sugli intrattenimenti, dall’art. 1 del d.P.R. n. 640 del 1972 e dal punto 6 della tariffa allegata allo stesso d.P.R.», norma che, come modificata dall’art. 1 del D.L.vo 26 febbraio 1999 n. 60, prevedeva: «Sono soggetti all’imposta gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività indicati nella tariffa allegata 6 al presente decreto, che si svolgono nel territorio dello Stato». Tale disposizione, adoperando la parola «svolgono», aveva un diretto ed evidente riferimento al concreto esercizio del gioco.
Analogamente, in materia di IVA, dove l’art. 10, n. 6, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 prevede un regime di esenzione nel caso della raccolta delle scommesse e, dunque, sulla prestazione del servizio del gioco.
È chiara, d’altra parte, la ratio di una simile impostazione: lo Stato ha interesse, sia fiscale che extrafiscale, a che le attività di gioco che si realizzano sul proprio territorio – ossia, nel luogo dove si trova fisicamente lo scommettitore e, comunque, esse siano svolte – siano soggette al proprio ordinamento.
Queste ragioni di ordine storico e sistematico caratterizzano il quadro normativo di riferimento, che è così articolato:
– conformemente all’art. 1 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma dell’art. 1, comma 2, della Legge 3 agosto 1998 n. 288, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; l’art. 3 del medesimo D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce: «Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro í quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse»;
– a norma dell’art. 1, comma 66, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, «(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanzeamministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) l’art. 3 del d.lgs. [n. 504/1998] si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni»;
– l’art. 16 del Decreto reso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 10 marzo 2006 n. 111 prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;
– ai sensi dell’art. 1, comma 644, lett. g), della Legge 23 dicembre 2014 n. 190, l’imposta unica si applica «su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento».
Il quadro normativo è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni, rispettivamente, con la Costituzione e col diritto unionale.
La Corte Costituzionale, con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. 3 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa dell’art. 1, comma 66, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore, con l’art. 1, comma 66, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del «gestore per conto terzi» (ossia del titolare di ricevitoria) al «gestore per conto proprio» (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, secondo il giudice delle leggi, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggetta a imposizione.
In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.
Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass., Sez. 3^, 27 luglio 2015, n. 15731).
La stessa giurisprudenza penale (Cass., Sez. 3^, 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza del ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker, consistente nella «(…) raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite – […]».
Ne deriva, secondo la Corte costituzionale, che, quanto al ricevitore, l’attività gestoria, che costituisce il presupposto dell’imposizione, va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Né, ha aggiunto, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.
La rivalsa svolge, pertanto, funzione applicativa del principio di capacità contributiva poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitore, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione.
In conseguenza di tale articolato percorso, dunque, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504 e dell’art. 1, comma 66, lett. b, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può, difatti, procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla Legge 13 dicembre 2010 n. 220 (Corte cost., 23 gennaio 2018, n. 27).
Il giudice delle leggi ha anche chiarito che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa dell’art. 1, comma 66, lett. b), della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore.
Ne consegue che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma solamente i bookmakers, con o senza concessione, in base alla combinazione degli art. 3 del D.L.vo 23 dicembre 1998 n. 504 e 1, comma 66, lett. b, della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.
A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi per le annualità dal 2011.
L’illegittimità costituzionale della norma in esame, infatti, è stata riscontrata «in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011» con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., «giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla legge n. 220 del 2010».
A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmakers.
La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i «rapporti successivi al 2011», quindi, non soltanto per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma.
In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della Legge 13 dicembre 2010 n. 220, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto.
Orbene, considerato che nel presente giudizio si controverte sul periodo d’imposta del 2011 e che viene in rilievo la sola posizione del bookmaker, le censure – anche a prescindere dai profili di inammissibilità delle doglianze in quanto articolate sulla posizione del Centro Trasmissione Dati (CTD) anziché su quella del bookmaker – sono infondate.
L’obbligazione solidale del bookmaker privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, non può qualificarsi quale dipendente, con la conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del bookmaker.
La Corte costituzionale, infatti, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il bookmaker), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di «organizzazione ed esercizio» delle scommesse soggetta a imposizione, svolgendo entrambi l’attività gestoria delle scommesse, sicché la pronuncia di incostituzionalità, se da un lato ha inciso sulla parte della norma interpretativa in cui ha configurato, per il periodo precedente all’entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, non ha fatto venire meno la responsabilità del bookmaker privo di concessione. Il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731 del 2015); attività, queste, tutte svolte in Italia.
9. Il sesto motivo, che censura la sentenza d’appello per non avere applicato l’esimente dell’obiettiva incertezza normativa, è infondato.
Invero, in tema di sanzioni amministrative, fino alla data di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 66, l. n. 220 del 2010, la quale ha interpretato l’art. 3, d.lgs. n. 504 del 1998 prevedendo che soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse è anche chi svolge l’attività di gestione delle stesse pur se privo di concessione, esisteva una condizione di obiettiva incertezza normativa, rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione (Cass. n. 9531 del 2021).
Poiché la presente controversia concerne l’anno di imposta 2011, non trova applicazione nella fattispecie in esame l’esimente dell’obiettiva incertezza normativa.
10. Quanto alla richiesta di sospensione del giudizio sulle questioni pregiudiziali formulate dalla ricorrente, va anzitutto osservato che la Corte di Giustizia (sentenza 6 ottobre 2021, in causa C-561/19) ha affermato che l’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi.
Orbene, sulle tematiche sottese alle questioni prospettate dalla ricorrente si è già pronunciata la Corte di Giustizia (sentenza 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 21), escludendo qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, di modo che la normativa italiana «non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la (omissis), nello Stato membro interessato». Non si ravvisa, pertanto, alcuna necessità di promuovere dinanzi alla Corte di Giustizia le questioni pregiudiziali dedotte in ricorso.
11. In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni e sulla scorta della richiamata decisione della Corte costituzionale, il giudice di appello ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati, avendo ritenuto l’assoggettamento ad imposta unica sulle scommesse per l’anno 2011 del bookmaker avente sede all’estero e privo di titolo concessorio e, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
12. In considerazione dell’esito complessivo del giudizio e della recente formazione della giurisprudenza di legittimità in materia, le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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