CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2022, n. 7269
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico – Redditometro – Scostamento tra reddito dichiarato e accertato – Raffronto – Nozione di reddito netto – Art. 38, DPR n. 600 del 1973 – Disciplina applicabile ratione temporis – Rilevanza della perdita da partecipazione
Rilevato che
1. F.B. ha proposto ricorso, affidato ad un motivo, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia di cui all’epigrafe, che aveva rigettato l’appello principale del contribuente ed accolto quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bari che, dopo averli riuniti, aveva:
– dichiarato inammissibili i due ricorsi proposti dallo stesso contribuente contro l’avviso d’accertamento sintetico, relativo all’anno d’imposta 2008, che, in materia di Irpef, aveva rideterminato il suo reddito per effetto dell’applicazione del “redditometro” di cui all’art. 38, comma quarto e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;
– accolto il ricorso dello stesso contribuente contro l’avviso d’accertamento sintetico, relativo all’anno d’imposta 2007, che, in materia di Irpef, aveva rideterminato il suo reddito per effetto dell’applicazione del “redditometro” di cui all’art. 38, comma quarto e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
All’esito della sentenza d’appello qui impugnata, pertanto, la CTR, pur ritenendo ammissibili i ricorsi introduttivi del contribuente avverso l’accertamento relativo al 2008, li ha comunque ritenuti infondati nel merito, così come quello avverso l’accertamento di cui al 2007.
Pertanto, entrambi gli accertamenti sono stati confermati dalla sentenza ora impugnata.
L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
Il ricorrente ha prodotto memoria.
Considerato che
1. Con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata per la violazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione ai commi primo e secondo dell’art. 8 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e degli artt. 56, 83 ed 84 dello stesso d.P.R. n. 917 del 1986.
Assume infatti il contribuente che, con riferimento ad ambedue gli avvisi d’accertamento, la CTR avrebbe erroneamente ritenuto corretto l’operato dell’Amministrazione che, al fine di verificare lo scostamento di oltre un quarto tra il reddito dichiarato e quello sintetico, ha comparato il «reddito complessivo netto», accertato sinteticamente sulla base degli indici di capacità contributiva, di cui al quarto comma dell’art.38 d.P.R. n. 600 del 1973, con il «reddito complessivo dichiarato» dal contribuente, di cui al primo ed al quarto comma dello stesso articolo, interpretando tuttavia quest’ultimo come «reddito complessivo netto dichiarato», ovvero come «reddito imponibile», di cui al quadro RN del Modello Unico.
Così facendo, rileva il contribuente, l’Agenzia, e la CTR, non avrebbero considerato che in entrambi gli anni d’imposta egli aveva goduto di un reddito di partecipazione derivante dalla s.a.s. della quale era accomandatario, che aveva costituito pertanto un utile civilistico, idoneo ad incrementare la sua effettiva capacità di spesa, anche se, ai fini fiscali, non aveva determinato un incremento del reddito imponibile, poiché era stato compensato in ciascuna delle due annualità con perdite d’impresa di esercizi precedenti.
Nella sostanza, il ricorrente lamenta che il «reddito complessivo netto dichiarato» sia stato identificato dalla CTR con quello « risultante dalle deduzioni e detrazioni», ovvero di fatto con quello «imponibile» di cui al quadro RN, rigo RN4, del Modello Unico, derivante dalla differenza tra il «reddito complessivo» di cui al quadro RN, rigo RN1 (dato dalla somma dei redditi di ogni categoria, determinati sulla base di specifici criteri, afferenti alla persona fisica contribuente, al netto delle detrazioni e ad esclusione delle entrate per legge non assoggettate all’Irpef) e gli oneri deducibili e le deduzioni.
Secondo il ricorrente, invece, il reddito «dichiarato» che l’Amministrazione avrebbe dovuto prendere in considerazione ai fini dell’accertamento effettuato sarebbe stato piuttosto (oltre a quello derivante da fabbricati) quello di partecipazione «non depurato della perdita (nella fattispecie derivante da esercizi pregressi), che residua solo sul piano liquidatorio dell’imposta ma mantiene inalterato senza inquinarlo il possesso della ricchezza idoneo a far fronte alle spese di mantenimento e di gestione dei beni».
Ritiene peraltro il contribuente che la sua tesi sarebbe conciliabile con il settimo comma del ridetto art.38, il quale stabilisce che «Dal reddito complessivo determinato sinteticamente non sono deducibili gli oneri di cui all’art. 10 del decreto indicato nel secondo comma.», ovvero il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, in materia di Irpef. Secondo il ricorrente, infatti, la disposizione non avrebbe potuto annoverare anche le perdite in questione, «sia perché estranee alla determinazione dell’Irpef persone fisiche, sia perché inserite nel TUIR quale impianto naturale della disciplina della tassazione del reddito.».
2. Il motivo è inammissibile, poiché non risultano integrati i requisiti di forma-contenuto di cui all’art. 366, primo comma, num. 6, cod. proc. civ., di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass. 15/01/2019, n. 777; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass. Sez. U., 03/11/2011, n. 22726).
Infatti, nel corpo del motivo, il ricorrente non deduce di aver prodotto nel giudizio di merito (né quindi specifica in quale grado e fase la produzione sia eventualmente avvenuta) l’avviso di accertamento e, soprattutto, le dichiarazioni dei redditi relative agli anni d’imposta accertati, limitandosi a riportare alcune voci che deduce esposte nei relativi modelli Unico. Non sono quindi individuabili univocamente gli elementi della fattispecie concreta che sono stati presi effettivamente in considerazione dall’Amministrazione e dalla sentenza impugnata, né quelli che secondo il contribuente avrebbero dovuto piuttosto essere considerati. Di conseguenza, resta preclusa la puntuale comprensione della specifica ed effettiva violazione di legge attribuita al giudice a quo nell’interpretazione e nell’applicazione, nel caso concreto, del concetto di «reddito complessivo netto».
3. Tanto premesso, deve rilevarsi che il motivo è comunque anche infondato, ponendosi in contrasto con quanto già ritenuto da questa Corte, con orientamento al quale si intende in questa sede dare continuità ulteriore.
La questione che pone il ricorrente consiste in sostanza nell’interpretazione del concetto di «reddito complessivo netto», con riferimento al reddito «dichiarato», di cui al ridetto art. 38, comma quarto, d.P.R. n. 600 del 1973, che andrebbe considerato al lordo degli oneri deducibili.
Al riguardo tuttavia questa Corte, con riferimento alla pretesa «violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, […] per avere interpretato la nozione di reddito dichiarato netto di cui alla norma suddetta con riferimento agli oneri di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 10 (TUIR) e non piuttosto alla nozione di reddito netto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, comma 1» ha già affermato che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi con metodo sintetico, come regolato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, la rettifica dell’IRPEF va operata rapportando il reddito complessivo netto così accertato con il reddito dichiarato dal contribuente al netto degli oneri deducibili, dovendo essere eseguito il raffronto sulla base di dati omogenei» (Cass. 19/10/2007, n. 21932, in motivazione; conformi, in materia di Irpef, Cass. 16/04/2007, n. 8984 e, da ultimo, Cass. 30/03/2021, n. 8721, in motivazione).
Nello stesso senso, con specifico riferimento proprio ad un caso in cui il giudice del merito aveva ritenuto di dare rilievo alla posta negativa risultante dalle perdite di esercizio della società di persone di cui i contribuenti erano soci, questa Corte aveva già affermato che « In tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla rettifica delle dichiarazioni eseguita con metodo cd. “sintetico” (art. 38, comma quarto del d.P.R. n. 600 del 1973), viene in rilievo, ai fini della rettifica “de qua”, il reddito complessivo netto del contribuente, costituito sia dalle poste attive, sia da quelle passive, senza che, in ordine alle singole poste, sia consentita alcuna indagine, con la conseguenza che, ove esso risulti inadeguato di fronte ad elementi certi acquisiti dall’Ufficio, ed occorra far luogo all’accertamento sintetico, non possano acquistare rilievo le singole parti passive emergenti dalle dichiarazioni.» (Cass. 14/06/2002, n. 8552; conforme Cass. 14/03/2008, n. 6947).
Le argomentazioni del ricorrente, al fine di contrastare in particolare tale ultimo arresto, sono sostanzialmente basate sull’ affermazione che la rilevanza attribuita al reddito imponibile al netto delle perdite dovrebbe rimanere circoscritta alla liquidazione dell’imposta, rimanendo insignificante rispetto al possesso della ricchezza idoneo a far fronte alle spese di mantenimento e di gestione dei beni sui quali si fonda il c.d. redditometro.
Tuttavia, come rilevato puntualmente nella motivazione della citata pronuncia, « Va peraltro aggiunto che è, altresì, erronea l’affermazione della sentenza secondo cui “il reddito del contribuente non risulta congruo ed addirittura diventa negativo solo in conseguenza, di una finzione giuridica”. La norma fiscale prevede infatti che le perdite subite dalla società, vanno dichiarate dai soci perché esse evidenziano un effettivo indebitamento a cui il socio è costretto per far fronte alla perdita societaria, senza che le stesse possano considerarsi come delle poste fittizie o figurative.» (Cass. 14/06/2002, n. 8552, cit., in motivazione).
4. E’ opportuno, peraltro, sottolineare che nell’evoluzione legislativa dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 l’aggettivo «netto» è venuto meno.
Va però considerato che al caso di specie si applica, ratione temporis, l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 nella versione antecedente le modifiche introdotte dall’art. 22 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, poiché tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009.
Infatti, il primo comma del predetto art. 22 d.l. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice.
A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le « disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
Al riguardo questa Corte (Cass., 06/10/2014, n. 21041; Cass., 6/11/2015, n. 22744; Cass., 29.01.2016, n. 1772; Cass. 21.11.2019, n. 30355), nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che:
a) non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo,ex plurimis, Cass., 26/02/2019, n. 556) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento;
b) neppure è in questione il principio del favor rei, la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro;
c) comunque, l’ individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale ed a fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo anche il principio tempus regit actum, altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali.
Non rileva pertanto, in questa sede, la variazione del quarto comma dell’art. 38, laddove non si legge più «determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente», ma solo «determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente», così come nel successivo sesto comma si parla della « determinazione sintetica del reddito complessivo».
Lo stesso deve dirsi per il novellato ottavo comma dell’art. 38, a norma del quale « Dal reddito complessivo determinato sinteticamente sono deducibili i soli oneri previsti dall’articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917; competono, inoltre, per gli oneri sostenuti dal contribuente, le detrazioni dall’imposta lorda previste dalla legge. […]»; mentre il settimo comma ante novella disponeva al contrario: «Dal reddito complessivo determinato sinteticamente non sono deducibili gli oneri di cui all’art. 10 del decreto indicato nel secondo comma.».
Non è quindi applicabile al caso sub iudice la modifica legislativa de qua.
5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 , se dovuto.