CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 novembre 2020, n. 24517
Tributi – IVA – Credito – Rimborso – Richiesta di restituzione per indebita erogazione – Presentazione dichiarazione integrativa con esposizione del credito – Controllo automatizzato delle dichiarazioni – Rilevazione credito inesistente – Sanzioni per omesso versamento – Esclusione
Rilevato che
Il 22 maggio 2009 la Direzione Provinciale di Reggio Emilia dell’Agenzia delle Entrata erogava alla E. s.r.l., corrente in Reggiolo (RE), un rimborso i.v.a. di E 130.000,00;
con provvedimento prot. 18832 del 24 luglio 2009 lo stesso Ufficio comunicava che il rimborso non avrebbe dovuto essere erogato e ne domandava la restituzione;
in conseguenza di detta richiesta la contribuente presentava, il 23 settembre 2010, apposita dichiarazione integrativa per l’anno 2008, esponendo nuovamente il suo credito (così “riportato in avanti”) e utilizzandolo in compensazione del pagamento di altri debiti i.v.a. fino all’importo della somma capitale (€ 130.000.00), sanzioni (€ 13.000,00) e interessi (€ 9.380,00);
il sistema di controllo automatizzato rilevava la non spettanza dell’importo, siccome relativo ad un rimborso già erogato, ed emetteva avviso bonario notificato il 28 novembre 2011 per il pagamento complessivo di oltre centonovantunomila euro;
fra il 7 gennaio e il 16 marzo 2012 la contribuente eseguiva, tardivamente, i pagamenti sopra specificati, tutti con compensazioni di altri crediti, compreso quello evidenziato e “portato in avanti” con la dichiarazione integrativa;
a fronte del rigetto dell’istanza di autoannullamento della cartella, la contribuente adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, che, preso atto della congiunta richiesta delle parti di dichiarazione di cessazione della materia del contendere in ordine al pagamento del tributo, rigettava il ricorso nella parte concernente la sanzione applicata, ritenendo che “la percezione di un rimborso non dovuto nell’ottica dell’erario e della legge vigente si identifica in toto con la perdita derivante dal mancato o insufficiente pagamenti di un’imposta non dovuta. Non può pertanto non conseguirne un uguale trattamento sanzionatorio”;
la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, con la sentenza qui impugnata, precisato che il thema decidendum si era limitato alla quota delle sanzioni eccedente il 10% già corrisposto dalla contribuente, ha invece accolto il ricorso della E. s.r.l. in base al principio di legalità e di tassatività delle sanzioni amministrative.
Contro la sentenza ricorre per un unico motivo l’Agenzia delle Entrate.
La E. s.r.l. ha resistito con controricorso e depositato memoria.
Per la trattazione della causa è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 26 giugno 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197.
Considerato che
L’Agenzia delle Entrate denuncia <<violazione e falsa applicazione dell’art. 13, commi 1 e 2, del d.lgs n. 471/1997 nonché l’art. 20, commi 1 e 7, D.M. 567/1993 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.>>, ritenendo errata l’applicazione di principio al caso concreto.
Spiega che “il fatto che la contribuente abbia riportato un credito inesistente in dichiarazione – e a prescindere dal fatto che il credito era già stato chiesto a rimborso e già erogato – determina l’incrocio da parte del sistema dell’esistenza del credito d’imposta con l’esistenza dei versamenti di imposta cui quel credito si riferisce. Dunque la cartella che viene fuori dal sistema del controllo automatizzato di cui all’art. 36-bis D.P.R. n. 600/1973, serve semplicemente a richiedere il pagamento delle imposte in conseguenza del quale quel credito sarebbe sorto.
“Di fatto il sistema conserva il credito a favore del contribuente che l’abbia indicato in dichiarazione ma, incrociando con l’assenza dei versamenti di imposta riferiti a quel credito, fa uscire una cartella per recuperarli. Il credito indicato indebitamente non viene cancellato, ma viene mantenuto a sistema e rimane nella disponibilità del contribuente il quale può utilizzarlo in compensazione o eventualmente chiederlo a rimborso. Nel caso concreto, infatti, il credito maturato è stato utilizzato per compensare l’importo della cartella come già riportato in narrativa. Visualizzata in quest’ottica, dunque, è evidente che si tratti di una ipotesi del tutto coincidente a quella del mancato versamento di cui all’art. 13, commi 1 e 2, del D.lgs. n. 471/1997. Bisogna considerare, invero, che l’Ufficio non può rettificare l’esistenza dei crediti indicati in dichiarazione senza un vero e proprio accertamento – ma deve limitarsi a quanto dichiarato dal contribuente e verificare se a fronte dei crediti indicati in dichiarazione siano stati effettuati i relativi versamenti. Per contro, appare non rilevante la questione della precedente richiesta a rimborso e conseguente erogazione del credito, la cui sorte è del tutto indifferente da quella che qui interessa. La presente controversia deriva dalla mera indicazione in dichiarazione di un credito inesistente (solo occasionalmente avente il medesimo valore di quello erogato dal Concessionario e poi negato dall’Ufficio) con relativo omesso versamento e conseguente emissione della cartella poi impugnata con il ricorso introduttivo il presente giudizio. Dunque, appare del tutto non conforme a diritto la statuizione della sentenza impugnata che distingue il caso in questione dal caso di omesso versamento previsto dall’art. 13 del D. lgs. n. 471/1997”.
È un argomento che non convince.
Ammesso, secondo quanto è dato comprendere, che il sistema automatizzato abbia esattamente rilevato, nella dichiarazione integrativa del settembre 2010 un credito i.v.a. inesistente – cosa che può aver giustificato l’avvio del procedimento per il suo recupero, ma non la sua prosecuzione, una volta emerso l’errore – è innegabile che il sistema non si è curato del fatto che si è trattava dello stesso credito (illegittimamente) portato dalla contribuente a rimborso nel 2008 ma comunque esistente, tanto che la successiva estinzione per compensazione riferita alla sorte capitale è stata accettata e ha comportato in parte qua la cessazione della materia del contendere”. L’applicazione della sanzione prevista per il caso di dichiarazione di credito inesistente si pone come un’illegittima applicazione estensiva di una norma sanzionatoria, pari alla parzialità con la quale II sistema automatico ha letto la dichiarazione integrativa del 2010.
Certamente, l’azione della contribuente – che avrebbe dovuto rimborsare l’importo indebitamente ricevuto sin dalla notifica della revoca del pagamento, avvenuta nel luglio del 2009 e che invece ha aspettato fino all’ottobre del 2010 per inserirlo in una dichiarazione integrativa, quando già il meccanismo di accertamento automatico si era già avviato – è stata illegittima; ma l’illegittimità è legata al ritardo nella restituzione di un indebito, non già all’ipotesi, affatto diversa, dell’omesso versamento di un’imposta: il principio di stretta legalità che informa il sistema delle sanzioni in materia tributaria (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3) preclude all’Ufficio di applicare la sanzione prevista per il caso di omesso versamento, totale o parziale, dell’imposta all’ipotesi in cui il contribuente ottenga un rimborso non dovuto, per l’evidente diversità delle due fattispecie e quindi per la palese impossibilità di individuare una medesima ratio sanzionatoria nei due casi, apparendo sufficiente al riguardo riflettere sulla circostanza che, in quello considerato, il fatto che sarebbe sanzionato appare riconducibile non già ad un comportamento proprio del contribuente, bensì ad un errore dell’Ufficio, che avrebbe dovuto verificare con più attenzione la spettanza del rimborso e quindi negarlo se non dovuto (così, Cass., 15938 del 2010). Ed è significativo in proposito il fatto che l’art. 38 – bis DRP 633 del 1972 – nel testo vigente pro tempore – da un lato prevede particolari cautele per il rimborso di importi superiori a € 15.000,00, dall’altro lato – e specularmente – non prevede, per il mancato rispetto del termine di sessanta giorni stabiliti dal comma 8, alcuna sanzione amministrativa: a dimostrazione che, in questo caso, deve essere l’Erario a prestare la massima prudenza.
La sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che ha deciso la controversia sulla base del principio di stretta legalità e rinviato all’operato del legislatore per prevenire o reprimere eventuali abusi del contribuente, non merita quindi le censure poste. Essa va quindi confermata, fermo restando il thema decidendum come delimitato dalla Commissione Tributaria Regionale alla quota delle sanzioni eccedente il 10% già corrisposto, in ordine al quale la contribuente non ha proposto ricorso incidentale.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla E. s.r.l. le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.100,00, per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
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