CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 ottobre 2018, n. 24357
Appalto – Violazione dei criteri di cui all’art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 – Utilizzo di strumenti di proprietà dell’appaltante
Rilevato che
1.1. Con distinti ricorsi al Tribunale di Roma (poi riuniti), S.G. e S.M., premesso di aver seguito un corso di formazione tenuto dalla T. S.p.A., al termine del quale erano stati formalmente assunti quali conducente dalla S.A.I.S. Trasporti S.p.A. (in forza di contratti di formazione e lavoro con decorrenza dal 3/9/2000, poi trasformati in contratti a tempo indeterminato), nell’ambito del servizio di trasporto notturno urbano oggetto di un contratto di appalto dell’11/6/2000 prorogato per un triennio e quindi ulteriormente prorogato fino al 31/3/2004, quindi licenziati in data 16/4/2004 a seguito del mancato rinnovo del contratto di appalto e in pari data assunti dalla S. S.p.A. capogruppo di un’associazione temporanea di imprese, chiedevano il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto subordinato a tempo indeterminato nei confronti della T. S.p.A. (da ultimo subentrata nella gestione del trasporto pubblico urbano della città di Roma) assumendo, con riferimento al primo appalto, la violazione del divieto di cui all’art. 1 della l. n. 1369/1960 e con riferimento al secondo appalto la violazione dei criteri di cui all’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 rilevando che le società appaltatrici erano prive dei mezzi e dei veicoli forniti dalla T.
S.p.A. che gestiva direttamente lo svolgimento del servizio;
1.2. il Tribunale respingeva la domanda;
1.3. la decisione era confermata dalla Corte di appello di Roma;
riteneva la Corte territoriale che, a fronte di plurime emergenze processuali deponenti per una diretta gestione dei rapporti da parte della S.A.I.S. (assunzione degli obblighi inerenti l’espletamento dell’appalto, esercizio del potere direttivo, di controllo e disciplinare nei confronti dei dipendenti, predisposizione dei turni), la circostanza della messa a disposizione degli autobus da parte dell’appaltante integrasse un apporto del tutto marginale specie in considerazione del fatto che era emerso che era la stessa S.A.I.S. ad occuparsi – con assunzione dei relativi oneri – di tutte le attività (manutenzione automezzi, rifornimenti, premi assicurativi, revisioni, forniture divise) necessarie per assicurare il corretto espletamento del servizio;
rilevava, inoltre, che era sempre la S.A.I.S. ad assumersi l’effettivo rischio economico rappresentato dall’eventualità che, mediante il corrispettivo concordato, essa non riuscisse a coprire i costi e gli esborsi da affrontare per l’organizzazione del servizio;
2. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, propone ricorso per cassazione il solo S.G. fondato su tre motivi;
3. resiste con controricorso l’ATAC S.p.A. (già T. S.p.A. giusta atto di fusione del 21 dicembre 2009, Notaio Marco Papi, Rep. n. 118.036 in atti);
4. entrambe le parti hanno depositto memorie.
Considerato che
1.1. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 3, l. n. 1369/1960 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.);
censura la sentenza impugnata per aver malamente applicato il principio di presunzione assoluta di nullità dell’appalto quando l’appaltatore utilizzi, come nella specie, strumenti di proprietà dell’appaltante ed in particolare per aver minimizzato l’utilizzo da parte della S.A.I.S. degli autobus forniti dall’appaltante, la cui decisiva rilevanza era, al contrario, già emersa dalla stessa dichiarazione confessoria, resa come parte in causa in identico giudizio, dalla S.A.I.S. (che era priva di una propria organizzazione, di propri mezzi e personale) oltre che dalle deposizioni testimoniali rese dai signori F. e M.;
1.2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1, co. 3, della l. n. 1369/1960 in combinato disposto con il successivo art. 5 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.);
critica la decisione impugnata per aver individuato quale ipotesi ulteriore rispetto alle cinque fattispecie di appalto legittimo quella in cui rilevi il solo ‘esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori;
1.3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003 in relazione all’art. 11 disp. prel cod. civ.(art. 360, n. 3, cod. proc. civ.);
censura la sentenza impugnata per avere, la stessa, di fatto applicato retroattivamente al rapporto di lavoro la normativa del 2003;
2. i tre motivi da trattarsi congiuntamente sono infondati alla luce di quanto evidenziato da questa Corte nella recente decisione n. 15292 del 12 giugno 2018, relativa a fattispecie del tutto analoga;
3. va innanzitutto precisato che è lo stesso ricorrente a chiarire che l’appalto per cui è causa è intervenuto nella vigenza della l. n. 1369/1960 e che la questione dibattuta nel giudizio di merito è stata quella dell’utilizzo da parte della società appaltatrice dei mezzi e degli strumenti di proprietà dell’appaltante (v. pag. 4 del ricorso per cassazione);
secondo quanto già affermato da questa Corte, in tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie vietata dalla legge n. 1369/1960 solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore;
la sussistenza o meno della modestia dell’apporto va accertata in concreto, e il relativo apprezzamento costituisce valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se logicamente e correttamente motivata (v. Cass. 26 aprile 2003, n. 6579; Cass. 13 febbraio 2004, n. 2852; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4181; Cass. 15 gennaio 2008, n. 657; Cass. 15 luglio 2009, n. 16588);
nella specie la Corte territoriale, facendo corretta applicazione degli indicati principi, ha ritenuto, con riferimento al contratto di appalto stipulato nel 2000 ed oggetto di successive proroghe, del tutto marginale l’utilizzo da parte della S.A.I.S. degli autobus di proprietà della T. (già ATAC) ciò sulla base di un complessivo apprezzamento di tutti gli altri elementi del contratto di appalto e delle specifiche risultanze di causa;
così ha evidenziato che era l’impresa appaltatrice a dover organizzare e svolgere, sopportando i relativi oneri economici, una serie di molteplici attività indispensabili affinché i mezzi messi a sua disposizione dall’appaltante in comodato gratuito potessero essere in concreto utilizzati quali fattori produttivi (rifornimento del carburante, manutenzione ordinaria e straordinaria, pulizia giornaliera, rimessaggio custodito, revisioni periodiche, disbrigo pratiche amministrative per pagamento tasse annuali di possesso, premi assicurativi RCA, incendio e furto ecc.), che era inoltre la S.A.I.S. a farsi carico di reperire, nell’ipotesi di guasti e di altri eventi che non potessero essere fronteggiati con le vetture di scorta fornite dall’appaltante, mezzi comunque necessari a garantire l’espletamento del servizio;
inoltre, ha sottolineato che era sempre la società appaltatrice ad organizzare e dirigere autonomamente l’attività lavorativa svolta dai dipendenti assunti per l’espletamento del servizio, esercitando il potere direttivo, di controllo e disciplinare nei confronti dei dipendenti, ad organizzare le turnazioni, a rilevare le presenze ed a provvedere alle sostituzioni, a scegliere e a contrattare con le Agenzie di lavoro interinale nell’ipotesi di esigenza dell’apporto di ulteriori unità lavorative, ad occuparsi delle verifiche di idoneità alla guida dei conducenti, a fornire le divise, munite dell’indicazione dell’impresa affidatala e del nominativo ovvero del numero di matricola dell’agente;
ha altresì evidenziato che la S.A.I.S. si era impegnata ad assicurare che i capolinea centrali della rete notturna (P.zza Venezia e P.zza dei Cinquecento) fossero presenziati da proprio personale in costante contatto telefonico e/o radio con la centrale operativa dell’ATAC oltre a rispettare un ‘indice di regolarità (pari al rapporto tra le corse effettuate e le corse programmate x 100) del 99,6% (incorrendo in caso di scostamenti negativi in penali) ed a rispondere di ogni danno apportato agli autobus, impegni che, secondo quanto riferito dai testi escussi erano stati regolarmente assolti;
ha, da ultimo, sottolineato che le condizioni pattuite nel contratto di subaffidamento fossero tali da far permanere in capo all’appaltatrice un effettivo rischio economico rappresentato dall’eventualità che, mediante il corrispettivo complessivamente concordato, essa non riuscisse a coprire i costi e gli esborsi da affrontare per l’organizzazione ed erogazione del servizio che si era impegnata a fornire;
dal complesso delle suddette circostanze la Corte territoriale ha tratto il convincimento che non fosse configurabile un appalto illecito di manodopera rimarcando che, pure nella prospettiva di tutela perseguita dal d.lgs. 276/2003, tratti qualificanti di un appalto genuino fossero l’esistenza di una concreta organizzazione della prestazione lavorativa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori e il rischio di impresa, non costituendo, al contrario, l’utilizzo di strumenti di proprietà del committente elemento di per sé decisivo per la qualificazione del rapporto in termini di appalto o interposizione vietata;
questo non voleva dire che occorresse fare applicazione anche con riferimento all’appalto del 2000 della disciplina legislativa successivamente intervenuta ma solo che quest’ultima fosse in qualche modo in linea con la prescelta interpretazione giurisprudenziale formatasi con riferimento alla l. n. 1369/1960;
trattasi di motivazione congrua e logica oltre che rispettosa della (comune) ratio della legislazione di tutela secondo cui ciò che è essenziale, per la sussistenza di un vero e proprio contratto di appalto, è che i lavori appaltati siano effettivamente svolti da un soggetto che abbia concretamente la forma e la sostanza di una impresa, sia con riguardo al profilo tecnico, sia sotto l’aspetto strettamente economico ed organizzativo;
del resto, effettivamente, con l’abrogazione della l. n. 1369/1960 ad opera dell’art. 85 lett. c) del d.lgs. n. 276/2003, ha perso rilievo essenziale la circostanza che capitali, macchine o attrezzature siano fornite dall’appaltante, circostanza cui in precedenza la legge n. 1369/60 collegava la presunzione assoluta in ordine alla sussistenza di un’interposizione vietata di manodopera, presunzione che, però, si sottolinea, operava nei termini sopra specificati – e cioè solo quando il conferimento di mezzi fosse di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore -, con la conseguenza che, come ora previsto dall’art. 29, co. 1, del d.lgs. n. 276/2003, l’organizzazione dei mezzi può risultare anche dal mero esercizio del potere organizzativo e del potere direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto per la realizzazione dell’opera o per la effettuazione del servizio;
con i motivi di ricorso sostanzialmente si sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinché si fornisca un diverso apprezzamento delle prove (e così in particolare di talune deposizioni testimoniali) ed in particolare si addivenga ad una differente valutazione (nel senso auspicato dal ricorrente) dell’importanza attribuita, nel contesto della regolamentazione dei rapporti intercorsi tra la S.A.I.S. e la T. S.p.A., alla prevista utilizzazione da parte della società appaltatrice dei mezzi forniti dall’appaltante;
né possono assumere valenza per inficiare il suddetto ragionamento decisorio le dichiarazioni che si assume confessorie rese nel corso di altro procedimento dalla S.A.I.S. circa l’assenza di una propria autonomia decisionale ed operativa, non emergendo che si fosse trattato di dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale con la conseguenza che le stesse, prive della forza propria della confessione, ben potevano formare oggetto di libera valutazione da parte del giudice, peraltro nei confronti di un soggetto diverso dal preteso confidente, ed essere altresì considerate (come in effetti accaduto) contraddette da elementi probatori di segno contrario;
4. conclusivamente il ricorso deve essere rigettato;
5. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
6. va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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