CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 ottobre 2022, n. 28775
Infortunio sul lavoro – Colpa del datore – Violazione dell’obbligo di formazione e informazione – Azione di regresso INAIL
Rilevato che
1. Il Tribunale di Lecco, adito dall’Inail con azione di regresso, ha condannato G.A., legale rappresentante della V. s.r.l., a versare all’Istituto la somma di euro 314.469,98, erogata in relazione all’infortunio occorso il 13.7.2010 al dipendente E.A.L.
2. La Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello di A., ha determinato l’importo da versare all’Inail in euro 289.469,98, confermando nel resto la decisione di primo grado.
3. La Corte territoriale ha premesso che l’infortunio si è verificato mentre il dipendente, intento a eseguire le operazioni di pulizia di un macchinario taglia lamiere, rimaneva impigliato con il braccio sinistro e veniva trascinato dai coltelli circolari in movimento; ha escluso che la Corte d’appello di Milano, sezione quinta penale, con sentenza del 4.6.2014, avesse riconosciuto un concorso di colpa del lavoratore; ha escluso che la condotta posta in essere dal dipendente potesse considerarsi abnorme; ha ritenuto sussistente la colpa del datore di lavoro per la mancanza sulla macchina cesoiatrice di protezioni in grado di impedire l’accesso alla zona pericolosa e il contatto dell’operatore con gli organi in movimento, nonché per inadeguata valutazione del rischio e mancanza della necessaria formazione e informazione; ha rideterminato l’importo dovuto dal datore di lavoro all’Inail detraendo da quanto liquidato dal tribunale la somma di euro 11.000,00 già versata dal datore di lavoro all’Istituto a titolo di provvisionale liquidata in sede penale.
4. Avverso tale sentenza G.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, illustrato da successiva memoria. L’Inail ha resistito con controricorso.
5. La proposta del relatore è stata comunicata alle pari, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Considerato che
6. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., falsa applicazione degli artt. 2087, 2104, 1218, 1227 cod. civ., per non avere la sentenza impugnata valutato la condotta dell’infortunato e il suo concorso di colpa nel verificarsi dell’infortunio, confermando la pronuncia di primo grado con cui è stata erroneamente ritenuta l’esclusiva responsabilità dell’infortunio in capo al datore di lavoro.
7. Si sostiene che la sentenza impugnata abbia errato nel ritenere che la Corte d’appello penale avesse escluso un concorso di colpa dell’infortunato; che, al contrario, i giudici di appello nel processo penale avevano riconosciuto una parziale compensazione delle spese di lite in favore del lavoratore (parte civile nel processo penale); che fin dal primo grado il datore di lavoro aveva allegato e chiesto di provare che, se da una parte risultava confermato che il macchinario in questione era privo di qualsiasi forma di protezione atta ad impedire il verificarsi di tale tipologia di infortuni, dall’altra era emerso altresì che l’infortunato aveva provveduto alla pulizia da solo e, soprattutto, a tal fine aveva bloccato il pulsante di avviamento dell’apparecchiatura, provocandone il movimento veloce e continuo per evitare di dovere più volte azionare il macchinario durante la pulizia delle lame; che la condotta colposa del lavoratore avrebbe dovuto costituire il punto di partenza per l’accertamento, da parte della Corte di merito, del grado di corresponsabilità del predetto, con conseguente riduzione del quantum dovuto dal datore di lavoro all’Inail.
8. Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la complessiva ratio decidendi della sentenza impugnata. Questa non solo ha escluso che la Corte d’appello penale avesse riconosciuto un concorso di colpa dell’infortunato ma ha, essenzialmente e in modo assorbente, accertato che “l’attività lavorativa da cui è scaturito l’infortunio non è stata preceduta da una adeguata e congrua formazione del lavoratore” (e specificamente “formazione e informazione che trattasse in modo analitico e specifico il funzionamento e rischi della linea di taglio”) e che tale circostanza “preclude la configurabilità di una possibile concorrente responsabilità del lavoratore”.
9. I giudici di appello hanno quindi accertato l’esclusiva responsabilità di parte datoriale nella causazione dell’infortunio ed escluso un concorso di colpa del lavoratore sul rilievo che questi non avesse ricevuto la necessaria formazione e informazione sull’utilizzo in sicurezza del macchinario ed hanno considerato tale condotta omissiva della società datrice di lavoro quale causa autonoma e sufficiente dell’evento lesivo verificatosi ai danni del dipendente.
10. Il motivo di ricorso in esame non si confronta con questa autonoma e assorbente ratio decidendi, ma pretende di desumere il concorso di colpa del lavoratore dalle statuizioni (sulle spese processuali) contenute nella sentenza penale d’appello, che peraltro non fa stato nel giudizio di regresso dell’Inail (v. Cass. n. 27102 del 2018).
11. Secondo la costante giurisprudenza di questa S.C., ove sia impugnata una statuizione fondata su più ragioni argomentative, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura; diversamente, l’omessa impugnazione di una delle autonome rationes decidendi oppure la resistenza di una di esse all’impugnazione, e quindi la definitività della decisione sul punto, rende inammissibile per difetto di interesse la censura relativa alle altre statuizioni poiché inidonea a determinare la cassazione della pronuncia suddetta (cfr. Cass. n. 3633 del 2017; n. 18441 del 2017; n. 3386 del 2011; n. 24540 del 2009; n. 4349 del 2001).
12. Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
13. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
14. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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