CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 ottobre 2022, n. 28778
Rapporto di lavoro – Somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado – Riforma – Azione restitutoria – Prescrizione
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello di R. F. I. s.p.a. e condannato il lavoratore, M.P., alla restituzione della somma corrisposta in virtù di sentenza di primo grado, emessa in altro giudizio fra le parti, poi riformata in appello con pronuncia passata in giudicato perché confermata in cassazione;
2. avverso la sentenza della Corte d’appello M.P. ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi, mentre RFI resiste con controricorso;
3. è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
4. entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c., in relazione all’art. 336 cod. proc. civ., laddove la Corte d’appello, ritenendo che la RFI potesse avanzare domanda di restituzione anche in separato giudizio, ha erroneamente riconosciuto efficacia interruttiva della prescrizione al controricorso per cassazione depositato dalla medesima società nell’ambito dell’originario giudizio, sia perché il predetto atto non era stato tempestivamente allegato dalla RFI ma semplicemente richiamato nella sentenza della Corte di cassazione, sia perché non era noto il contenuto del controricorso, e, in particolare, se con tale controricorso fosse stata manifestata la volontà di RFI di far valere il diritto alla restituzione (risultando, al contrario, pacificamente, che la RFI non aveva proposto domanda di restituzione nell’originario giudizio di appello);
2. con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa valutazione di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., per non avere la Corte di merito considerato che già dalla semplice lettura della sentenza della Corte di cassazione, ove veniva menzionata la proposizione del controricorso da parte di RFI, si evinceva che la società non aveva avanzato in quel giudizio alcuna domanda di restituzione della somma, sicché non poteva attribuirsi al predetto atto alcun valore interruttivo della prescrizione;
3. con il terzo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. nonché la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e, in ogni caso, la violazione dell’art. 1988 cod. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che il lavoratore non aveva contestato il merito della pretesa restitutoria, in tal modo travisando l’eccezione di riconoscimento del debito formulata dalla RFI, quale atto interruttivo della prescrizione, in una non contestazione, con motivazione apparente, in quanto, come facilmente riscontrabile dalla lettura della memoria agli atti, il lavoratore non aveva inteso riconoscere alcun diritto;
4. il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi. Infatti, nella sentenza impugnata è stata attribuita valenza interruttiva della prescrizione al controricorso per cassazione depositato da RFI nell’originario giudizio, definito con sentenza di questa Corte del 22 marzo 2005, così pervenendo al rigetto della eccezione di prescrizione della domanda di restituzione sollevata dal lavoratore, atteso che il controricorso era intervenuto entro i dieci anni dalla pubblicazione della sentenza della Corte d’appello (2002);
5. nondimeno, con tale decisione la Corte territoriale ha omesso di considerare l’incidenza della riforma dell’art. 336 cod. proc. civ. sull’efficacia interruttiva degli atti intervenuti nell’originario giudizio, secondo il principio espresso da Cass. Sez. 1, 03/03/2022, n. 7088, cui occorre dare continuità, condividendone le motivazioni espresse a fondamento. In particolare, come osservato da Cass. Sez. 1, n. 7088 del 2022, cit., l’ammissibilità della domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, direttamente nel giudizio di appello, escludendone la contrarietà al divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ., in quanto configurabile come una mera facoltà della parte, che può optare in via alternativa per l’instaurazione di un autonomo giudizio in data successiva alla riforma della sentenza di primo grado, «non solo non dice nulla in ordine al dies a quo del relativo termine di prescrizione, ma anzi, consentendo di anticipare la proposizione della domanda rispetto alla predetta riforma, potrebbe costituire un utile argomento a favore della decorrenza del termine dalla pubblicazione della sentenza di secondo grado, anziché dal suo passaggio in giudicato. […] La questione dev’essere invece risolta avendo riguardo a quanto disposto dall’art. 336, secondo comma, cod. proc. civ. in ordine all’effetto espansivo esterno della sentenza di riforma o di cassazione, e tenendo conto, in particolare, delle modificazioni che tale disposizione ha subìto nel tempo. Nel suo testo originario, la norma in esame prevedeva infatti che la riforma estendesse i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata soltanto se disposta «con sentenza passata in giudicato», in tal modo escludendo la possibilità di ricollegare la caducazione degli stessi alla mera pubblicazione della pronuncia di riforma. Proprio in virtù di tale precisazione, la giurisprudenza di legittimità ha affermato ripetutamente, anche in epoca recente, che il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza di condanna successivamente riformata soggiace, ai sensi degli artt. 2033 e 2946 cod. civ., al termine di prescrizione decennale, che inizia a decorrere dal giorno in cui è divenuto definitivo, con la riforma della predetta sentenza, l’accertamento dell’indebito (cfr. Cass., Sez. Un., 9/05/1991, n. 5186; Cass., Sez. III, 15/02/2018, n. 3706; Cass., Sez. III, 5/11/2001, n. 13635). La disciplina è mutata per effetto dell’art. 48 della legge n. 353 del 1990, che ha modificato l’art. 336, secondo comma, cit., sopprimendo il riferimento al passaggio in giudicato, ed autorizzando quindi a ritenere che la sentenza di riforma spieghi la sua efficacia espansiva fin dal momento della pubblicazione, determinando ipso facto la caducazione dei provvedimenti e degli atti dipendenti dalla sentenza riformata, ivi compresi quelli di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, divenuti ormai privi di titolo giustificativo, con la conseguente insorgenza dell’obbligo di restituire le somme pagate o di ripristinare la situazione preesistente (cfr. Cass., Sez. III, 30/04/2009, n. 10124; 2/12/2001, n. 16170; Cass., Sez. I, 6/12/2006, n. 26171). Sulla base di tali considerazioni, è stato affermato, in riferimento alla prescrizione dell’azione restitutoria, che il relativo termine di prescrizione comincia a decorrere, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma, precisandosi tuttavia che, ove la domanda sia proposta in sede di gravame, la prescrizione resta interrotta con effetti permanenti fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado, ai sensi degli artt. 2943, secondo comma, e 2945, secondo comma, cod. civ., a condizione però che la predetta richiesta sia stata espressamente formulata nell’atto di appello o nel corso del giudizio:
l’effetto interruttivo non opera infatti automaticamente, dal momento che il diritto alla restituzione non ha alcuna correlazione con lo specifico rapporto controverso, trovando la sua fonte in un fatto nascente dal processo, ovverosia nell’avvenuta esecuzione di un titolo giudiziale poi riformato, che potrebbe del tutto mancare o comunque sopravvenire al momento dell’impugnazione, con la conseguenza che tale fatto dev’essere autonomamente portato alla cognizione del giudice di appello (cfr. Cass., Sez. VI, 25/10/2018, n. 27131). Alla stregua di tali precisazioni, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il termine di prescrizione dell’azione restitutoria decorre necessariamente dal passaggio in giudicato della sentenza di appello può ritenersi accettabile soltanto in riferimento ai giudizi instaurati in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 353 del 1990, ai quali si applica il testo originario dell’art. 336, secondo comma, cod. proc. civ., non risultando invece condivisibile con riguardo a quelli instaurati dopo la riforma, per i quali occorre distinguere a seconda che nel giudizio di appello sia stata o meno proposta la domanda di restituzione»;
7. nel caso di specie, erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che la prescrizione rimanesse interrotta per effetto del controricorso per cassazione depositato dalla RFI senza aver colto la differente applicazione del principio in relazione alla applicabilità o meno della disciplina riformata di cui all’art. 336 cod. proc. civ. e senza interrogarsi sulla proposizione o meno della domanda di restituzione nell’ambito di quel giudizio;
8. pertanto, non essendosi la Corte territoriale uniformata all’anzidetto principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata, e la causa rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori motivi. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.