CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 settembre 2020, n. 18398
Tributi – Accertamento parziale ex art. 41-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 basato su elementi probatori presuntivi – Legittimità
Rilevato che
Sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione nei confronti della G.A. s.r.l., l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Perugia, Ufficio controlli, emise, con riguardo al periodo d’imposta 2007: a) nei confronti della G.A. s.r.l., l’avviso di accertamento n. T3N020601886, con il quale, sulla base di rilievi risultanti dal suddetto processo verbale (ricavi non contabilizzati per € 122.931,28; costi per spese di pubblicità non deducibili per € 2017,00; costi non deducibili perché non inerenti per € 5.477,00; costo dell’autovettura acquistata in leasing non deducibile per € 2.867,00; costi per l’acquisto di carburante non deducibili per € 4.212,00; quota di ammortamento del costo di un fabbricato non deducibile per € 2.611,00), accertò, ai sensi degli artt. 41 -bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, un maggior reddito d’impresa di € 149.395,12, «da imputare ai soci ex art. 5 del d.p.r. 917/1986», un maggior valore della produzione netta di € 157.421,03, ai fini dell’IRAP, e un maggior volume d’affari di € 122.931,28, ai fini dell’IVA; b) nei confronti di F.C. e di C.D., soci della G.A. s.r.l., gli avvisi di accertamento, rispettivamente, n. T3N010603245 e n. T3N010603246, con i quali, in virtù dell’anzidetta imputazione, accertò il conseguente maggior reddito imponibile ai fini dell’IRPEF;
i tre avvisi di accertamento furono separatamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Perugia (hinc anche: «CTP») che, riuniti i ricorsi dei contribuenti, li rigettò;
avverso tale pronuncia, la G.A. s.r.l., F.C. e C.D. proposero appello alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria (hinc anche: «CTR»), che lo accolse;
la CTR ritenne anzitutto fondato il motivo d’appello con il quale i contribuenti avevano dedotto l’illegittimità dell’accertamento parziale per carenza dei presupposti previsti dall’art. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, con la motivazione che tale accertamento «non può essere usato quando il risultato della verifica o dell’ispezione si fonda su presunzioni e non su elementi connotati dalla sostanziale certezza» e può «essere usato solo quando sussistano i requisiti tassativamente indicati dalla legge e cioè in presenza di fonti informative qualificate su cui si può fondare legittimamente l’accertamento ma, tra esse, non figurano, certamente, come nella specie, le presunzioni»;
la stessa CTR, ritenne fondati anche gli altri motivi d’appello, che erano stati riproposti dai contribuenti in seguito all’omessa pronuncia sugli stessi da parte della CTP;
quanto al motivo concernente l’accertamento di ricavi non dichiarati per € 122.931,28, la CTR lo reputò fondato con la motivazione che «l’ufficio [ha] effettuato un accertamento induttivo del reddito d’impresa prescindendo dalle scritture contabili ma solo basato sulla divergenza […] tra le quantità dei beni presenti nel magazzino alla data della verifica. Se infatti l’indagine fatta “a campione” appare del tutto legittima, […] il collegio osserva che lo scostamento finale sul dichiarato risulta solo dello 0,1% e, ciò nonostante, i verificatori giustificavano un accertamento induttivo dei ricavi di circa 123.000 euro soltanto perché i valori e le quantità finali non erano “oggettivamente determinabili” e quindi non potevano essere presi in considerazione. Tale assunto appare del tutto ingiustificabile anche alla luce del fatto che le rimanenze finali di magazzino alla data del 31/12/07 non siano state adeguatamente valutate mentre i verificatori ricostruivano in via induttiva il volume totale dei ricavi con il sistema del ricarico percentuale solo sulla base della non omogeneità delle categorie merceologiche e in considerazione che l’indice di rotazione del magazzino fosse inferiore allo standard stabilito dallo studio di settore applicato»;
circa i motivi di appello concernenti l’accertamento dell’indeducibilità di componenti negative del reddito d’impresa, la CTR li reputò fondati con la motivazione: a) quanto ai costi per spese di pubblicità per € 2017,00, che, riguardo agli stessi, «attinenti precedenti annualità[,] i contribuenti hanno applicato l’art. 108 TUIR»; b) quanto ai costi per € 5.477,00, dell’«omessa motivazione circa la ritenuta non inerenza»; c) quanto al costo dell’autovettura acquistata in leasing per € 2.867,00, «per il quale i verificatori hanno eccepito che il comodato non abbia data certa», che questo, invece, «risale, documentalmente, alla data dell’avvenuto riscatto»; d) quanto ai costi per l’acquisto di carburante, che «le schede di carburante per € 4.212 la documentazione di acquisto, anche se priva della sottoscrizione dell’addetto, non inficia l’inerenza del costo trattandosi di veicolo aziendale usato in via strumentale»; e) quanto, infine, alla quota di ammortamento del costo di un fabbricato per€ 2.611,00, che «il rilievo non risulta fondato in quanto i contribuenti non risultano proprietari del terreno valutato»;
per tali ragioni, la CTR, «in riforma della sentenza appellata, accoglie[va] il ricorso dei contribuenti»;
avverso tale sentenza della CTR – depositata il 9 maggio 2013 e notificata il 13 giugno 2013 – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 2 settembre 2013, a due motivi;
la G.A. s.r.l., F.C. e C.D. resistono con controricorso, notificato l’8/14 ottobre 2013;
Considerato che
con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’accertamento parziale «non può essere usato quando il risultato della verifica o dell’ispezione si fonda su presunzioni e non su elementi connotati dalla sostanziale certezza», atteso che gli «elementi», cui fa riferimento il predetto art. 41 -bis, «possono avere anche carattere indiziario» e che, alla luce della ratio di tale disposizione, un pregiudizio al diritto di difesa del contribuente potrebbe conseguire soltanto all’emissione, nei suoi confronti, di un «successivo atto impositivo che faccia seguito al primo, basandosi su elementi già conosciuti da parte del Fisco»;
con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., la carenza di motivazione della sentenza impugnata circa i fatti decisivi e controversi che l’accertamento di ricavi non dichiarati è «un accertamento induttivo», è «solo basato sulla divergenza […] tra le quantità dei beni presenti nel magazzino alla data della verifica» ed è errato perché «i verificatori [lo] giustificavano […] soltanto perché i valori e le quantità finali non erano “oggettivamente determinabili”» nonché che «le rimanenze finali di magazzino alla data del 31/12/07 non siano state adeguatamente valutate», atteso che tali affermazioni sono anapodittiche e non consentono, perciò, «di ricostruire l’iter logico seguito per addivenire alla decisione di annullamento dell’atto impositivo», e sono, per di più, contraddette dagli elementi fattuali, non considerati dalla CTR, che: a) l’avviso di accertamento, alla pag. 12, indica, quale disposizione applicata, il primo (e non il secondo) comma dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e il processo verbale di costatazione, ai fogli 33 e 34, mostra che la determinazione dei maggiori ricavi è avvenuta con metodo analitico; b) l’avviso di accertamento, a pag. 9, precisa che, in tale determinazione, «non si è tenuto conto nel costo del venduto del valore delle esistenze iniziali e delle rimanenze finali» («elemento principale su cui invece si baserebbe l’accertamento, secondo la CTR»), in quanto il valore di queste ultime era ritenuto inattendibile; c) l’avviso di accertamento e il processo verbale di constatazione evidenziano che tale ritenuta inattendibilità si basava su una pluralità di elementi (e non soltanto, come ritenuto dalla CTR, «sulla divergenza […] tra le quantità dei beni presenti nel magazzino alla data della verifica»), tra i quali la discrepanza tra il valore di magazzino assicurato (€ 300.000,00) e quello dichiarato (€ 900.000,00); d) il processo verbale di constatazione, al foglio 31 [rectius, ai fogli 30 e 31], evidenzia che elemento fondamentale posto a base della rettifica dei ricavi (e completamente trascurato dalla CTR) era costituito dagli apporti di liquidità (per€ 200.000,00) da parte dei soci alla società, indicati nella contabilità come «finanziamenti» ma che, in quanto incompatibili con i redditi da essi dichiarati e ritenuti, comunque, non giustificati, erano reputati occultare ricavi non contabilizzati; il primo motivo di ricorso è fondato;
questa Corte ha affermato il principio di diritto – che il collegio condivide e al quale intende, perciò, dare continuità – che «[l]’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n.633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare» (Cass., 28/10/2015, n. 21984, 04/04/2018, n. 8406, 07/11/2019, n. 28681);
ne consegue che l’accertamento parziale «non è, dunque, circoscritto all’accertamento del reddito d’impresa o solo a talune delle categorie di redditi di cui all’art. 6 del T.U.I.R., né, del resto, è richiesto all’ufficio di fornire la “prova certa” del maggior reddito, prova che può invece essere raggiunta anche con le presunzioni di cui alla fonte legale (qualora “risultino elementi” con l’accertamento parziale “possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili”, fatta sempre salva la possibilità per il contribuente di fornire specifica prova contraria, da sottoporre al vaglio del giudice di merito nella fase contenziosa (cfr. Cass. nn. 496/2013, 27323/2014)» (Cass., n. 21984 del 2015 e n. 8406 del 2018);
la sentenza impugnata, col ritenere che l’accertamento parziale presupponga necessariamente elementi «connotati dalla sostanziale certezza» e non possa basarsi su elementi probatori presuntivi si pone dunque in palese contrasto con i suddetti principi; anche il secondo motivo di ricorso è fondato;
le affermazioni della CTR circa i fatti – decisivi per il giudizio, in quanto posti a fondamento della decisione – che l’accertamento dei ricavi non contabilizzati è «un accertamento induttivo», è «solo basato sulla divergenza […], tra le quantità dei beni presenti nel magazzino alla data della verifica» ed è infondato perché «i verificatori [lo] giustificavano […] soltanto perché i valori e le quantità finali non erano “oggettivamente determinabili”» nonché che «le rimanenze finali di magazzino alla data del 31/12/07 non siano state adeguatamente valutate» sono prive di qualsiasi minimamente puntuale riferimento alla motivazione dell’avviso di accertamento (di cui la sentenza impugnata non dà mai chiaramente conto neppure nella esposizione dei fatti rilevanti della causa) o al testo del processo verbale di constatazione;
l’affermazione circa il fatto che «le rimanenze finali di magazzino alla data del 31/12/07 non siano state adeguatamente valutate», inoltre, non spiega in alcun modo perché tale valutazione sia stata inadeguata (né, tanto meno, come dette rimanenze avrebbero dovuto essere, invece, valutate);
le affermazioni circa i suddetti fatti risultano, dunque, fondamentalmente generiche e, quindi, sostanzialmente anapodittiche;
a fronte di ciò, la CTR ha altresì omesso di considerare gli elementi fattuali, emergenti dalla motivazione dell’avviso di accertamento (nonché dal testo del processo verbale di constatazione) – atti che l’Agenzia delle entrate, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, ha riprodotto, nelle parti di interesse – che: a) la rettifica dei ricavi era dichiaratamente avvenuta (pagine 10 e 12 dell’avviso di accertamento) «ai sensi dell’art. 39 c. 1 lett. d) del D.p.r. 600/73», disposizione che disciplina l’accertamento con il metodo cosiddetto analitico-induttivo; b) l’inattendibilità delle rimanenze finali era ritenuta sulla base di elementi plurimi, tra i quali anche la discrepanza tra il valore di magazzino assicurato di € 300.000,00 e quello dichiarato di € 900.000,00 (pagine 9 e 10 dell’avviso di accertamento e fogli da 23 a 30 del processo verbale di constatazione); c) soprattutto, la rettifica dei ricavi era basata anche sull’elemento fattuale degli ingenti apporti di liquidità (per € 200.000,00) da parte dei soci alla società incompatibili con i redditi degli stessi e comunque non giustificati (pagina 10 dell’avviso di accertamento e fogli 30 e 31 del processo verbale di constatazione);
tali elementi di fatto, anche perché dissonanti rispetto alle affermazioni dell’impugnata sentenza della CTR, se esaminati, avrebbero potuto determinare un esito diverso della controversia;
sulla base di quanto precede, accolti entrambi i motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, in diversa composizione, perché provveda al riesame della controversia nonché alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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