CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 settembre 2020, n. 18414
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Valore probatorio – Scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli calcolati – Contraddittorio promosso dall’ufficio senza risposta del contribuente – Valenza di presunzioni legali – Onere di prova contraria
Rilevato che
Con l’avviso di accertamento per IRES, IVA, IRAP e altro 2004 la Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Potenza determinò, in base a studio di settore, il reddito d’impresa per l’anno 2004 della C. Imballaggi Industriali s.r.l. in € 163.122,00, a fronte di perdite dichiarate per € 67.770,00.
L’accertamento, impugnato dalla contribuente, fu annullato dalla Commissione tributaria provinciale la cui decisione, appellata dall’Ufficio, è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale per la Basilicata con la sentenza sopra detta.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre, per due motivi, l’Agenzia delle Entrate.
Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 31 gennaio 2020, ai sensi degli artt. 375, ult. co., e 380 bis 1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. n. 168 del 2016, conv. in legge n. 197 del 2016.
Considerato che
La Commissione tributaria regionale ha confermato l’annullamento dell’accertamento ritenendo gli studi di settore, “strumento di ausilio all’accertamento di tipo analitico presuntivo che come tale deve essere accompagnato da ulteriori elementi di fatto per assurgere a presunzioni idonee a fondare” l’atto impositivo. Detti studi costituiscono mezzi di accertamento parziale ricadenti nella previsione di cui all’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. 600 del 1973; di conseguenza, essi non assurgono a strumenti di ricostruzione generale del reddito, ma appartengono al novero dei metodi di rettifica di specifiche posso reddituali, mirando a correggere in aumento i valori dichiarati dei ricavi e dei compensi”.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione degli articoli 62 bis e 62 sexies del D.I. 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni dalla legge numero 427 del 29 ottobre 1993, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c.», deducendo che la sentenza aveva del tutto trascurato il caso specifico e la motivazione della sentenza di primo grado, che aveva annullato l’accertamento nel presupposto, fra l’altro, del mancato contraddittorio del contribuente; contraddittorio che invece era stato promosso dall’Ufficio e al quale il contribuente non aveva risposto.
Con il secondo motivo denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c.» perché la sentenza avrebbe del tutto ignorato gli altri elementi indiziari addotti dall’ufficio in unione allo studio di settore e violato i principi di distribuzione dell’onere della prova nel procedimento adottato dall’ufficio. I motivi, che, in quanto strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
Riguardo al valore probatorio degli studi di settore, e pertanto in ordine alla fattispecie di cui all’art. 62 bis e sexies d.l. 331/1993, convertito con modificazioni dalla l. 427/1993, è ius receptum in giurisprudenza che la determinazione del reddito mediante la loro applicazione, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa (Cass., 24330/2019; Cass. 3252/2019).
Infatti, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostannento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Cass., Sez. U, 26635/2009; Cass., 27617/2018).
La motivazione della sentenza della Commissione tributaria regionale si pone in contrasto con quest’orientamento, soffermandosi a lungo ad illustrare il valore meramente indiziario degli studi di settore ma ignorando la potenzialità degli stessi di assurgere a prova presuntiva (che sarà poi onere del contribuente inficiare in sede giudiziaria) nel caso in cui il contribuente, partecipando al contraddittorio, non adduca elementi concreti e convincenti che escludano l’applicabilità al suo caso concreto dello studio di settore oppure, come sostiene la ricorrente, si sia mantenuto inerte all’invito dell’Ufficio. Compie una dissertazione sul loro valore di mero indizio, ma ignora e tace sulla loro capacità di assurgere a presunzioni. Così argomentando, esprime e descrive una nozione incompiuta, e perciò illegittima, dello strumento accertativo che ha portato all’atto impositivo, negando alla fattispecie complessiva la valenza che può assumervi il comportamento del contribuente, che la sentenza non avrebbe dovuto ignorare.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale per la Basilicata, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio.
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