CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 agosto 2021, n. 22338

Tributi – Redditi prodotti all’estero – Credito per imposta pagata all’estero – Rimborso

Rilevato che

l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo avverso F.C. per la cassazione della sentenza n. 7846 della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, pronunciata in data 8 marzo 2015, depositata in data 4 settembre 2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’ufficio, in controversia concernente l’impugnativa della cartella di pagamento emessa a seguito di controllo formale ex art. 36-ter D.P.R. n. 600/1973, con cui l’amministrazione finanziaria aveva recuperato a tassazione la somma di euro 39.638,00 quale importo per i crediti d’imposta pagata all’estero, per il quale l’ing. C. aveva percepito il rimborso;

con la sentenza impugnata la C.t.r. ha ritenuto che la decisione appellata fosse coerente con l’impianto normativo richiamato nella fattispecie in tema di redditi prodotti all’estero da soggetti residenti in Italia ed avesse fatto corretta applicazione dell’art. 165 del d.P.R. n. 917/86;

secondo i giudici di appello, siccome la cartella non era stata preceduta da alcuna comunicazione formale circa l’omesso o carente versamento per l’anno 2007, l’amministrazione finanziaria aveva violato il disposto di cui all’art. 36 ter del d.P.R. n.600/73 e lo Statuto del Contribuente, che onera l’ufficio di esporre preventivamente i motivi della rettifica operata;

inoltre, la C.t.r. evidenziava che l’ing. C. aveva prodotto regolare dichiarazione per i redditi prodotti in Francia e che dal documento rilasciato dall’amministrazione francese risultavano redditi dichiarati, per l’anno 2006, per €184.215,00 ed una imposta pari ad €49.870,00;

dato lo sfasamento temporale esistente tra le procedure previste dalla normativa italiana e da quella francese, la C.t.r. rilevava che le imposte corrisponde in Francia erano divenute definitive solo con il versamento del saldo, avvenuto nel marzo 2008, e che, solo dopo tale data, il Dipartimento fiscale francese aveva rilasciato apposita ricevuta in base alla quale il contribuente poteva richiedere il rimborso o far valere il credito spettante, nel rispetto dell’art.165 commi 1 e 4;

nel caso di specie, secondo i giudici di appello, il credito di imposta era stato correttamente inserito nel mod.730/2008, per cui le imposte già versate in Francia per l’importo di €.49.870,00 erano state portate in diminuzione da quelle italiane;

a seguito del ricorso, il contribuente resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 24 giugno 2021, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n .197;

il controricorrente ha depositato memoria telematica, con cui ha eccepito il giudicato esterno formatosi su identica questione tra le stesse parti per un’annualità successiva (anno di imposta 2008), allegando la sentenza della C.t.r. della Campania, sez. staccata di Salerno, n.1913/2017 del 2 marzo 2016, divenuta definitiva per mancata impugnazione dell’ufficio;

Considerato che

preliminarmente, deve rilevarsi che non esplica efficacia vincolante la sentenza resa tra le parti, munita dell’attestazione del giudicato e relativa all’anno di imposta 2008, in quanto tale decisione, sebbene riguardi questioni in parte coincidenti, si basa su presupposti fattuali non necessariamente identici e soggetti a possibili cambiamenti nei diversi anni di imposta;

in particolare, l’Agenzia ricorrente nella fattispecie oggi in esame contesta, tra l’altro, la circostanza che il reddito conseguito dal contribuente quale dipendente dell’A.L. distaccato in Francia non sia stato inserito nella dichiarazione dei redditi presentata in Italia nell’anno di imposta 2006;

sul punto, alcuna efficacia vincolante può riconoscersi alla decisione definitiva, relativa all’anno 2008, che ha accertato che il reddito dichiarato in Italia ed in Francia era relativo all’unico rapporto di lavoro dipendente del contribuente con la A. che lo aveva distaccato in Francia, non potendosi escludere che la situazione di fatto fosse diversa nell’anno di imposta 2006;

invero, come è stato detto, sebbene l’efficacia del giudicato tributario non trovi ostacolo nell’autonomia dei periodi di imposta, esse si giustifica soltanto in relazione agli elementi tendenzialmente permanenti e non a quelli variabili da periodo a periodo (cfr. Cass. . Sez. 5, Ordinanza n. 37 del 03/01/2019; . Sez. 5, Ordinanza n. 13152 del 16/05/2019);

passando all’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt.165, commi 1, 2 e 7 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917, 2729 e 2697 cod. civ., nonchè 36 ter d.P.R. n.600/1973, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.;

secondo la ricorrente, l’art.165 d.P.R. n. 917/1986 non prevede la possibilità di chiedere il rimborso in Italia delle imposte pagate all’estero, ma solo la possibilità di utilizzare queste ultime come credito di imposta fino a concorrenza dell’imposta dovuta in Italia, per cui legittimamente l’ufficio aveva emesso la cartella impugnata, recuperando a tassazione l’importo del credito d’imposta pagata all’estero indicato al rigo PL 28 e PL 63 del modello 730 2008, relativo all’anno di imposta 2007, rimborsato dal datore dì lavoro al contribuente;

il motivo è inammissibile;

secondo l’orientamento costante di questa Corte, «il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità dì ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione. (Nella specie, la S.C. era stata investita con un ricorso rimasto carente dì specifiche censure avverso la ritenuta fittizietà della sede di una società risultante da una fusione trasfrontaliera – costituente solo una delle tre, autonome ragioni poste a sostegno della impugnata decisione di fallimento – di cui si era, invece, lasciata la valutazione al “prudente apprezzamento della Corte)» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013);

di conseguenza l’omessa impugnazione di una rationes decidendi rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza( cfr. Cass. sent. n. 18641/2017);

nel caso in esame, il ricorso, sebbene in rubrica faccia riferimento alla violazione dell’art. 36 ter d.P.R. n.600/1973, nella successiva illustrazione non sviluppa in alcun modo tale profilo dì doglianza;

dunque, non risulta impugnata la statuizione dei giudici di merito, secondo cui l’amministrazione finanziaria aveva violato il disposto di cui all’art.36 ter del d.P.R. n.600/73 e lo Statuto del Contribuente, che onera l’ufficio di esporre preventivamente

i motivi della rettifica operata, in quanto, prima di emettere la cartella, l’ufficio non aveva inviato alcuna preventiva comunicazione formale circa l’omesso o carente versamento per l’anno 2007;

tale statuizione, da sola idonea a sorreggere la decisione adottata dai giudici di appello, non essendo stata impugnata, rende inammissibile la doglianza rivolta a contestare la ratio decidendi relativa alla violazione dell’art.165 T.u.i.r.;

solo per completezza, deve rilevarsi che la statuizione non impugnata della C.t.r. risulta conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «in tema dì imposte sui redditi, la cartella di pagamento, che non sia preceduta dalla comunicazione dell’esito del controllo ex art. 36 ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è nulla, poiché tale comunicazione assolve ad una funzione di garanzia e realizza la necessaria interlocuzione tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente prima dell’iscrizione al ruolo, in ciò differenziandosi dalla comunicazione della liquidazione della maggiore imposta ex art. 36 bis dello stesso decreto, che avviene all’esito di un controllo meramente cartolare ed ha il solo scopo di evitare al contribuente la reiterazione di errori e di consentirgli la regolarizzazione di aspetti formali, per cui l’eventuale omissione non incide sull’esercizio del diritto di difesa e non determina alcuna nullità» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15311 del 04/07/2014);

dunque, il ricorso va dichiarato inammissibile e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente;

rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.700,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali, euro 200,00 per esborsi, i.v.a. e c.p.a. come per legge.